miglianza veruna colla francese; i Guasconi ed i Provenzali adoprano i loro propri idiomi: in Alsazia e in Lorena si parla il tedesco, ed il vallone nelle provincie confinanti col Belgio. Diversi i costumi, gli usi, le opinioni politiche e religiose, la civiltà: un Parigino e un Overgnate non so davvero in che si rassomiglino. E nella Gran Bretagna, qual differenza fra l'Inghilterra propriamente detta, la Scozia, l'Irlanda! E nelle Spagne quanta poca somiglianza fra i Castigliani, i Valenziani, gli Andalusi, i Catalani, gli Aragonesi, i Baschi, i Navarresi, gli Asturiani e quei della Galizia e della Estremadura! Non dico io già, che gli abitatori delle varie provincie d'Italia non abbiano loro caratteri e qualità particolari; ma affermo la minima differenza in paragone delle altre grandi nazioni: di più, le differenze maggiori si riscontrano nelle varie parti della medesima provincia. Così, a cagione d' esempio, il Napolitano ha indole e costumi diversi del Calabrese; il Veneziano del Lombardo, il Ligure del Piemontese, il Romagnolo dal Romano: al contrario, i Calabresi somigliano a' Siciliani, gli Abruzzesi a' Romagnoli, i Carrarini ai Toscani e via discorrendo. Se fosse vero adunque che i costumi de' vari popoli d'Italia sono così difformi d' aver di bisogno di governi distinti dovrebbe farsi una nuova ripartizione di stati, diversa affatto dell' attuale. Nè parmi più solido l'altro argomento che trar si vorrebbe dalla storia; perciocchè lasciando da parte le antichissime confederazioni, che troppo poco conosciamo per poterne giudicare, dalla rovina dell'impero romano in poi io non vedo in Italia alcuna confederazione, ma sì moltissime leghe, temporanee, brevissime, potenti nel male, impotenti nel bene, non pria concluse disciolte. Dicono capo di una confederazione Gregorio II, grandissimo confederatore Gregorio VII, confederatore massimo Alessandro III. Or la storia dimostra, che nè il secondo, nè il settimo de' Gregori stabilirono delle confederazioni; ma ch'e' si collegarono or ad una or ad un'altra delle città guelfe secondo gli interessi della Chiesa consigliavano; ed Alessandro III non che fondare la lega lombarda, la disciolse e la tradi. Gli stessi comuni lombardi non si unirono giammai in durevole ed ordinata confederazione, ma conclusero delle leghe temporanee, fermate oggi, disciolte domani, rifatte il dì seguente, con nuovi patti, con altri collegati, a solo oggetto di guerra. Lo stesso dicasi della lega toscana ai tempi di Celestino III, e della seconda di Lombardia a' tempi d'Innocenzo III. Firenze per combattere Pisa si collegava con Genova; Bologna per combatter Modena con Firenze si collegava: così tutte le altre città: così i papi, gli imperatori, gli Ezzelini, gli Estensi, i Torriani, i Visconti, gli Sforzeschi, i Medici; nè badavasi se i collegati fossero italiani o forestieri, purchè fossero nemici del nemico, purchè facessero guerram vivam et non recredutam, come dicono gli atti di quel tempo. È quindi un errore l'affermare, come alcuni fanno, che la confederazione italiana fu idea e fatto incontrastabile del medio evo. Il fatto incontrastabile è, che il medio evo non ebbe confederazioni, che le leghe o amistà guelfe ubbidivano al pontefice quando lor tornava conto, e quando no, facevano a lor modo, cacciavano preti e frati, vendevano i beni delle chiese e i vasi sacri, e non curavano le scomuniche del Vaticano, come si trovano esempi moltissimi nelle storie di Milano, di Bologna, di Parma, di Firenze, di Pistoia; e che i comuni ghibellini facevano lo stesso, sotto la nominale autorità dell' imperatore. XIII. DELLE RAGIONI CHE SOGLIONO ADDURSI Prima dell'anno 1848, coloro i quali proponevano, come meta degli sforzi comuni degli italiani, una lega fra principi, o tutto al più una confederazione, scrivevano: «Sogno è sperare da una sola città capitale che voglia ridursi a provinciale; maggior sogno che sei si riducano sott'una; sogno massimo che si accordino le sei a scegliere quell'una ». E mentre queste parole si pubblicavano, Lucca si commoveva, tumultuava e forzava il duca a ritirarsi prima del tempo da quel reggimento, per ridursi da città capitale del ducato Lucchese a città provinciale del gran ducato Toscano, e poco tempo dopo (escludendo Milano della quale può dirsi che aspirava ad essere capitale del regno dell'Alta Italia) Modena, Parma e Venezia la loro unione col Piemonte decretavano, e così il titolo, l'onore e i vantaggi d'essere città capitale rinunziavano. Si dirà che Lucca credea a sè più utile essere città provinciale della Toscana, che capitale di un piccolo Stato oppresso, disordinato, smunto da un principe scioperato; che Parma e Modena disperavano potersi difendere dalle armi austriache invocate da'loro principi; che Venezia temè l'abbandono del Piemonte e fu trascinata dalle provincie: il che potrebbe esser vero. Ma ciò non fa che il preteso sogno non sia stato realtà; e prova che ogni supposto ostacolo sparirebbe allorchè si dimostrasse alle città capitali che gli effimeri, scarsi, spesso vergognosi e sempre odiosi vantaggi de'quali godono, dovrebbero, nell'unitario ordinamento dell' Italia, trasmutarsi per esse in vantaggi reali, abbondanti, onorevoli e da nessuno invidiati. Tutto ३ adunque si riduce a questo: ricercare se veramente lordinamento unitario compensi per le città capitali i vantaggi attuali: se questo è, persuaderlo. Qui ha confine il dovere degli scrittori: se poi i popoli chiuderanno volontariamente gli occhi alla verità, o si lasceranno trascinare dallo stolto orgoglio di un nome, repugneranno al vero, si ostineranno a vivere nell'inganno, gli scrittori non potranno avere alcun rimordimento, e, giustificati innanzi alla propria coscienza e all'avvenire, avran ragione di piangere sulla cecità della patria e la misteriosa fatalità che la destina a perpetua debolezza e servitù. Ma finchè gli scrittori, persuasi sinceramente unica via di salute per l'Italia essere il suo ordinamento unitario, non avranno dimostrato con solidi argomenti questa verità, o si saranno contentati di parole vuote di significato, di frasi sonore, di declamazioni ampollose, di vanità poetiche, la risponsabilità de'mali d'Italia cadrà in gran parte sopra di loro. L'eloquenza tribunizia è utile, quando la persuasione ed il convincimento sono entrati negli animi; se no, è fuoco di paglia, che leva una fiamma e si spegne. Or nelle cose politiche queste baldorie costan sangue e lagrime infinite, e lascian rovine che la vita intera di una generazione non basta sempre a sgombrare. Questo discorso, se intendessi proseguirlo, mi trarrebbe troppo lungi dall'argomento proposto, al quale ritornando, dico, che non è sogno massimo si accordino le sei città capitali a scegliere l'una; imperocchè, ammessa la persuasione e volontà di ordinare l'Italia in unico Stato, io non so qual città potrebbe levare le sue pretensioni innanzi a Roma. Disputavasi difatti negli anni quarantotto e quaran'anove di lega, di confederazione, di costituente; ma tutti in questa consentivano: centro e principio del nuovo ordinamento dell'Italia, qualunque ei fosse, dover essere Roma, la città che la posizione geografica, la tra Storia d'Italia 39 dizione istorica, la celebrità del nome, lo splendore delle arti, la magnificenza dei monumenti, rendono senza rivali, non che in Italia nel mondo; Roma che tutti gli italiani debbono amare come principio comune della propria civiltà: Latiale caput, dicea Dante, cunctis pie est Italis diligendum, tamquam commune suae civitatis principium (1). Una sola corona mancava a Roma, e l'ha meritata nell'anno 1849. Bisognava ch'ella mostrasse, che tanti secoli di schiavitù politica e religiosa, la quale è bastata a rendere deserte ed insalubri le sue campagne, non ha avuto efficacia per infiacchire il suo animo ed il suo braccio. La città dei papi, de'cardinali, de'prelati, dell'inquisizione e de'gesuiti ride delle scomuniche e affronta quattro eserciti, quasi che niente possa farsi all'ombra del Campidoglio che non sia grande e magnanimo! Altro argomento contro all'unità traevano alcuni scrittori dal sistema orografico e idrografico della Penisola. Non niego io già che sarebbe stata più utile, per certi riguardi, all'Italia una configurazione meno allungata e più circolare; ma non so vedere nelle due grandi divisioni geo-strategiche della Penisola (la valle del Po e la regione appenninica) non che un impedimento, un ostacolo notevole all'unificazione politica; e molto parmi siasi esagerato su questo proposito il difetto dell' Italia e il vantaggio della Francia. Questo tanto magnificato ostacolo dell' Appennino non ha impedito alla dominazione napolitana di stendersi sino all'Adriatico e al mare Ionio, e alla piemontese sino al Mediterraneo; come non ha impedito a Roma di riunire al patrimonio di San Pietro le Romagne e la Marca, e di dominare su di una parte considerevole della valle del (1) Epist. iv, 10. |