taglione, che indi a poco se ne tornò ad Arezzo. Seguirono gli altri l'esempio, ed il campo scomparve, con grande vergogna del governo. Il quale, vedendosi venir meno le armi cittadine, fece appello alle piemontesi, ed ottenuto che qualche migliaio di soldati si soffermassero a Lucca e a Pisa, ripigliò animo, dichiarò cessato ogni potere del municipio livornese, ed elesse a governatore di quella città il Tartini. Vano tentativo, perciocchè i Livornesi non vollero riconoscere e ricevere il nuovo governatore, ed il ministero non potè in altro modo vendicarsi che interrompendo ogni comunicazione con Livorno, denunziando a' potentati europei quella città come un nido di pirati, e dichiarando ch'egli non faceasi mallevadore nè della vita, nè delle sostanze di quei forestieri che vi dimoravano. Ritornava in quei giorni in Toscana Giuseppe Montanelli, caro dapprima, carissimo dopo il sangue versato per la causa della indipendenza italiana e la cattività in Austria dignitosamente sopportata. Entrato nel parlamento, mettea e vincea il partito, che il ministero adoprasse ogni mezzo di conciliazione per pacificare Livorno. I ministri, che invano eransi opposti, eleggevanlo a governatore di quella città; ed i Livornesi lo accoglievano con grandi acclamazioni e festeggiamenti. Allora il Guerrazzi ritornava a Firenze accompagnato dai ringraziamenti del municipio, del collegio de' curiali e della camera di commercio di Livorno che tributavangli. infinite lodi come restauratore della pubblica tranquillità. Addi 10 di ottobre, il Salvagnoli nel consiglio generale, ed il senatore Bufalini nell'alto consiglio interpellavano il ministero su' negoziati della lega italiana. Rispondevano al primo i ministri Giorgini e Marzucchi; al secondo, il presidente Capponi: l'Italia si avrebbe in breve, non che una lega, una stabile e perpetua confederazione: sederebbe in Roma la gran dieta italiana: quivi non solamente i principi, ma anco i popoli della penisola invierebbero loro oratori e commissarii; quivi costituita ed ordinata sarebbe la nazione. La quale dichiarazione fu ricevuta con grandissimo applauso dal parlamento e dal popolo, e parve ridare al ministero quell'autorità e riputazione, che avea perduta. Ma questo mutamento fu di breve durata, imperocchè non tardò a sapersi come quel concetto era ben lungi dal recarsi in atto; e avvegnachè di ciò non si potesse ragionevolmente chiamare in colpa il governo toscano venendo le maggiori difficoltà da Roma e da Torino, nondimeno era a lui di nocumento, usando i popoli chieder conto a'loro reggitori, non solamente delle intenzioni, ma anco degli effetti e della fortuna. Nè di lieve imbarazzo e carico erano al ministero le faccende di Livorno, stato nello stato, repubblica democratica in principato costituzionale, anomalia e contrasto degli ordini e leggi comuni, sprone ed esempio a' bramosi di novità. Quivi la stampa era liberissima, anzi sfrenata; quivi permessi erano i circoli chiusi in altre città; quivi la guardia civica includea ogni condizione di cittadini, ed eleggeva i suoi ufficiali sino al grado di colonnello; quivi le milizie fregiavansi de' tre colori italiani; quivi il Montanelli gittava alle commosse moltitudini il concetto e la parola di costi. tuente italiana, che contrastava a' disegni ed alle opere del ministero; ma che pure il ministero avea approvato, come il Montanelli affermò più tardi nel consiglio generale, e nessuno de' ministri smenti: che anzi è noto come il discorso del Montanelli a' Livornesi fosse stato pria letto dai ministri Capponi, Giorgini e Samminiatelli, e da loro in qualche parte emendato, nel complesso accettato e commendato. La pubblica opinione si rivolgeva nuovamente contro a' ministri; il parlamento li osteggiava; una loro proposta di legge intorno alle adunanze politiche, era nel gran consiglio completamente modificata: gravi tumulti conturbavano la capitale: i ministri si dimettevano, lasciando lo Stato in tristissime condizioni, e quando il male era tanto cresciuto che ogni rimedio potea credersi inefficace. Ed invero il vecchio era odia. to; il nuovo, non rassodato: forze militari non v'erano; sulle cittadine poteasi far poco fondamento, e mancava sino una fazione potente che potesse essere consiglio e braccio del governo nelle sue deliberazioni e nei suoi atti. La parte moderata volea fossero ministri il Ricasoli, il Salvagnoli, l'Azeglio, il Corsini; la parte democra. tica volea il Montanelli e il Guerrazzi: dieci giorni durò quella lotta e la indecisione del principe. Lucca, Pisa, Arezzo, Livorno mandavano loro oratori a Firenze per chiedere un ministero democratico; i circoli di propria autorità si riaprivano; la stampa rompeva ogni freno; il popolo tumultuava; tutta Toscana era sossopra: da ultimo il gran duca chiamò il Montanelli a Firenze, e uditi i suoi disegni, gli affidò l'incarico di comporre un ministero. Parve al Montanelli impossibile governare senza il Guerrazzi, e vinta la ripugnanza del principe, lo scelse a compagno. Ora un ministero nel quale entrava il Guerrazzi non poteva essere dominato che dal Guerrazzi, ingegno vasto, anima forte, schiavo in continua rivolta, che odiava gli oppressori, e dispregiava gli oppressi. Egli avea dell'umana natura ricercati e conosciuti i vizi, non le virtù: provato avea le carceri, il confino, la povertà, l'odio de'propri concittadini: or adorato come un Dio, or maledetto come un demonio, avea preso in uggia adulatori e de. trattori. Il suo nome mettea paura e sgomento grandissimo nella parte moderata, che mostrò in quella occasione come poco conoscesse la natura e l'indole di quell'uomo, che pur ben conoscea l'ambasciatore inglese, lord Hamilton, s'è vero, come narrano, ch'ei consigliasse il granduca ad accettarlo per ministro. Il Guerrazzi, che saliva al potere con la guerra volea governare con la pace, e di unità col Montanelli profferse la presidenza del consiglio de' ministri a Gino Capponi, che della passata amministrazione non avea contratto l'odio, essendo nata a tutti la somma probità, e degli errori e delle colpe di colleghi scagionandolo nella pubblica opinione l'infermità dalla quale era travagliato, l'indole confidente e bonaria, ed una vita integerrima e santa. Il Capponi volea compagno il Mar. zucchi, e non consentendo a questo il Montanelli e il Guerrazzi, egli non accettò il proffertogli onore; ma promise aiutare con l'opera e il consiglio il nuovo ministero. Di poi questa promessa non attenne, per colpa di chi stavagli a'fianchi e la sua buona fede abusava, macchiando un nome sino allora da tutte le parti ve. nerato e osservato. Il Montanelli rassicurava gli animi paurosi: chi con lui non consentiva da lui niente temeva, essendo a tutti nota la mansuetudine dell'indole sua, e la dolcezza dell'animo. Egli ebbe quindi la presidenza del consiglio ed il ministero degli affari esterni; il Guerrazzi il ministero dell'interno; l'avvocato Giuseppe Mazzoni, quello della giustizia; Augusto A. dami, quello delle finanze, de' lavori pubblici e del commercio; Mariano d'Ayala, già ufficiale nello esercito napolitano, quello della guerra; Francesco Franchini, quello della istruzione pubblica. Eran tutti uomini onestissimi, probi, integerrimi, desiderosi del bene, abborrenti dai soprusi e dalle violenze: non volea opprimere alcuno, ma frenare gli immoderati, preservare in buon essere lo Stato, onorare e tenere ben soddisfatti tutti i cittadini. Ma e' si affaticavano indarno in quest'opera di concordia, perciocchè nella parte democratica erano uomini di poco senno, ciechi per passione, imprudenti e ciarlieri, e nella parte moderata non pochi ambiziosi, che voleano disfogare la loro rabbia contro a chi li avea cacciati di seggio, che ricordavano più gli oltraggi antichi che i benefizi presenti e che ambivano maneggiar soli il governo dello Stato, preferendo la rovina alla comunanza degli uffici o al reggimento degli emuli. Il nuovo ministero, che prese il nome di democratico, volea riformare gli abusi, migliorare le istituzioni dello stato, accrescere le sue libertà; ma a comandare le cose forti conviene esser forte, nè si può con dolcezza farle osservare: or il ministero democratico non era forte, e la parte moderata, che senza di lui avrebbe corso grave pericolo, facea ogni opera per indebolirlo ancor più, suscitandogli dappertutto ostacoli ed impedimenti. Fu quindi egli costretto a sciogliere il gran consiglio e a riconvocare i collegi elettorali. Livorno ebbe a Governatore Carlo Pigli, professore nella università pisana, in gran favore di popolo, che fu accolto con feste, luminaria e popolari tripudi. Una generale amnistia fu conceduta, che il Guerrazzi annunziava a Livorno con le seguenti parole: « Sua Altezza ieri sera ha firmato l'amnistia generale per tutti i delitti politici di Toscana. Intende e vuole che comincino tempi nuovi. Da qui innanzi chi rompe paStoria d'Italia, Vol. IV. 5 |