sarà facile all'Austria (che non è potenza d'essere prostrata al primo colpo), qualora tutta l'Italia non abbia unico esercito ed unico governo, usar termini convenienti a disunirci, promettendo di non offendere, anzi di riconoscere e di ricevere nella sua amistà il tale o il tal altro principato, la tale o la tal'altra repubblica, e disuniti, vincerci. L'Austria sa fare a tempo la volpe e il lione: ne' trattati di Luneville del 1801, di Presborgo del 1805, di Schoenbrunn del 1809, ella riconobbe l'indipendenza della Lombardia, ed era apparecchiata a riconoscerla nel 1848. Che fece in quest'ultima guerra? Separò prima il re di Napoli, di poi il pontefice, quindi il granduca di Toscana; ed il Piemonte, rimasto solo, oppresse facilmente a Novara. Si dirà che i principi erano disposti a tradire; ma i popoli sono anch'essi disposti ad essere ingannati. Nè ci deve sedurre l'esempio della Lombardia, la quale, con magnanima e memorabile risoluzione, rifiutò la proffertale indipendenza per non dividere le sue sorti da quelle di Venezia, perciocchè allora le armi italiane erano vittoriose, e la speranza della completa liberazione era persuasione di tutte le menti. Diffatti simile generosità non mostrò Venezia, quando vennero i giorni della sventura e del disinganno, ed ella avrebbe accettato anco il nome e le condizioni di città libera dell' impero; se non che l'Austria, che non avea più necessità di fare la volpe, s' era di già messa sul lione. Nè di ciò è da chiamarne in colpa i Veneziani: quest'è l'umana natura; e i buoni ordini di uno stato sono appunto quelli che pongono i popoli nella necessità di esser buoni, non quelli che sulla loro virtù confidandosi, riescono poi all'occorrenza inefficaci a prevenire o a portar rimedio al male. XV. COME SIA UTILE ALL'ITALIA L' UNITA' E perchè i popoli in generale non fanno mutamenti grandi che per la propria utilità, io non voglio tralasciare di discorrere come sarebbe utile l'ordinamento dell'Italia in unico stato, durante la pace, or che ho dimostrato la necessità di unico reggimento durante la guerra. E per ragionare ordinatamente di questa materia, dico che ogni rivoluzione intende a diffondere nella società un maggior numero di beni morali e materiali. Quanto più questi sono grandi e copiosi tanto più è grande il numero degli uomini interessati a consegurli, tanto quindi più numerose e gagliarde le forze vive della società che concorrono nell'impresa. Se un governo potesse dare sempre e costantemente ad un popolo tutti i beni morali e materiali de' quali questo è capace, le rivoluzioni sarebbero impossibili, e gli uomini avrebbero una forma di reggimento eterna, come quella colla quale si governano i castori e le pecchie. Ma perchè l'uomo è per sua natura mutabile e perfettibile, e ciascuna forma di governo non può dare che certi beni determinati, ne siegue che mutando o crescendo i bisogni, l'antica forma di reggimento non può più soddisfarli, ed è necessità che si muti. Le nuove forme politiche non sono adunque che mezzi più o meno adatti ed efficaci a soddisfare i bisogni de' popoli. A chi chiedesse che brama il popolo in Italia, lo statuto costituziozionale o la repubblica, la federazione o l'unità? Risponderei: brama quella forma di governo, per la quale possono essere più completamente appagati. Or primo bisogno di un popolo ne' tempi nostri è il completo sviluppo delle proprie forze economiche, i commerci, le industrie, il benessere del maggior numero: il popolo ne ha l'istinto, non ne ha la scienza. Un tempo unica condizione necessaria alla prosperità di uno stato era la libertà, e bastava che una città vivesse libera, perchè si vedessero in essa crescere gli abitatori, moltiplicare le ricchezze, prosperare le arti, aumentare i privati e pubblici comodi e fiorire gli ingegni. Così fecero i loro progressi grandissimi le città italiane del medio evo, quand' erano più civili, possenti, ricchi, e gloriosi i comuni di Venezia, Pisa, Genova e Firenze, che non la Francia e l'Inghilterra. Ma costituitisi i grandi stati della moderna Europa, ordinati gli eserciti stabili, inventate le artiglierie, trovate le nuove maniere di costruzione navale, le macchine per filare, per tessere, per foggiare il ferro, perfezionata l'arte della stampa, applicata in mille guise la forza motrice del vapore; la prosperità degli stati non è più il risultato della sola libertà, ma sì della libertà congiunta alla grandezza e all'unità. Come in dinamica l'effetto sta in ragion composta della velocità e della massa; così nelle cose economiche la prosperità sta in ragion composta della libertà e della grandezza dello stato; e l'impulso unico è sempre, in condizioni eguali, il più forte: perciocchè l'unità raccoglie le forze e le attitudini della nazione, e le contempera ed armonizza subordinandolé a un pensiero comune. Le strade ferrate, i grandi stabilimenti industriali, le grandi intraprese commerciali non sono possibili che agli stati grandi, non trovandosi giammai ne' piccoli tante forze economiche, che all'uopo bastino, come dimostrò l'esposizione universale della industria, fatta in Londra nell'anno 1851, dove si videro gli stati grandi e unitari, ancorchè non liberi, come l'Austria, la Russia, la Prussia, aver fatto progressi maggiori de' piccoli stati, ancorchè liberi, e questi essere sempre vinti da quelli nel buon mercato e nella perfezione. L'Italia è tanto scaduta nelle industrie e ne' commerci, non solamente perchè schiava, ma anco, e principalmente, perchè divisa. La divisione è imperfezione: Pittagora trovava l'istesso antagonismo fra l'uno e il moltiplice, che fra il bene e il male; Dante diceva: In omni genere rerum illud est optimum quod est maxime unum (1); e la più notevole sentenza che parmi sia negli scritti di monsignore Della Casa è questa: «La bellezza vuole essere Uno quanto si può il più; e la bruttezza, per lo contrario, è Molti (2) ». Uno scrittore caro all' Italia diceva: «Ovunque è sapienza ivi si tende all' unità. La vita istessa di tutti gli esseri non è se non lo sforzo di tutti gli elementi che li compongono verso l'unità. Ovunque non vi è unità, ivi non è più sapienza, nè virtù, nè vita (3) ». Per gli esseri organizzati dividersi è perire, e più sono organizzati più l'unità è condizione necessaria della loro vita. L'uomo ismembrato muore; non così altri animali poco organizzati, che tagliati a pezzi vivono e si riproducono. Una nazione, che ha coscienza di sè, non assumendo l'unità che le appartiene, degrada nella scala degli esseri, e cade al livello di quelle creature inferiori che non han bisogno di unità, la quale è condizione essenziale della umana società. La debolezza dell' ordinamento federale proviene non solo da' suoi intrinsechi difetti; ma anco da ciò, che gli interessi, non compresi dell'associazione generale, vincono quelli de' quali questa si compone; e la nazione è tanto meno libera e tanto meno potente quanto è più circoscritta da un numero d'interessi indipendenti. (1) De monarchia. (3) Cuoco, Platone in Italia. All'Italia federale mancherebbero sempre le grandi forze collettive. Or l'unione delle forze è da per sè stessa una potenza economica: cento artigiani e cento possessori di capitale, unendo e combinando i lavori ed i capitali, producono non come cento volte uno, ma come trecento o anche come cinquecento. Così è che la piccola industria non può giammai gareggiare colla grande nè in qualità, nè in buon mercato, e molto meno ne' vantaggi dell'operaio. Lo stesso dicasi dal commercio, il quale, indipendentemente dol servigio materiale che rende all'industria, è un eccitamento alla consumazione, e quindi un produttore di valori. La rendita degli stati non è la misura esatta della loro ricchezza; ma di certo ell'è un elemento del quale bisogna tener conto nella computazione della ricchezza. Or la statistica dimostra, che uno stato di grandezza doppia di un altro, non ha la sua rendita doppia, ma tripla e anche quadrupla; sì che può dirsi in termini generali essere la rendita, in ragione della grandezza degli stati, non proporzionale, ma progressiva. E basti questo esempio: la Francia paga circa trenta milioni di lire per ogni milione d'anime: a questo ragguaglio la Sicilia dovrebbe pagarne sessanta milioni circa: or la non paga che ventisei milioni, e frattanto la miseria è grande, le gravezze insopportabili, sebbene le sue terre sieno le più feconde d'Europa. Or se libera fosse, l'aumento della pubblica prosperità potrebbe rendere sopportabili quei gravami, ma raddoppiarli sarebbe impossibile. La sua industria rimarrebbe sempre al disotto di quella delle grandi nazioni unitarie, non foss' altro perchè mancante di quei mezzi d' istruzione industriali, pe' quali vuolsi il concorso intellettuale e materiale di un gran popolo. E l'artigiano abile, non solamente fa meglio il suo lavoro, ma anche fa più lavoro, sia per la conoscenza de' migliori metodi e degli Storia d'Italia 40 |