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strumenti più adatti, sia perchè le facoltà più sviluppate sollecitano l'uomo ad azione più vigorosa e gagliarda.

É follia sperare di raggiungere le altre nazioni, se non avremo una capitale, nella quale possano convenire gli uomini d'alto ingegno di tutta l'Italia. In questi grandi e permanenti comizi della intelligenza, gli studi acquistano quell' unità che li rende possenti, l'emulazione e la gara accendono gli animi, la scienza riscuote l'onore e il premio che l'è dovuto. Cresce, colla larghezza delle materie, la vigoria dell'ingegno, nè v'è comico che possa far bene la sua parte col teatro deserto. A quella scuola si educano i giovani; odono, osservano, imparano; nè i giovani soli, imperocchè chi può dire di non aver più da imparare?

Di più, nello stato attuale delle industrie e dei commerci europei, chi non ha strade ferrate può dirsi non abbia mezzi di comunicazione, imperocchè questi stanno in ragione inversa del tempo e del prezzo. Or le strade ferrate, negli altri paesi, sono effetti di prosperità industriale e commerciale preesistenti: mancando di questa, l'Italia non avrà strade ferrate, se non pochissime, e più per diporto che per utile; mancherà quindi, in paragone delle altre nazioni, di mezzi di comunicazione. I vantaggi commerciali della nostra posizione geografica e topografica derivano dalla facilità che abbiamo di esportare i nostri prodotti, di ricevere i prodotti forestieri; ma principalmente di far servire i nostri porti ed i nostri mercati come depositi e stazioni di transito fra l'Oriente e l'Occidente. Or i grossi depositi non sono possibili senza i grandi mercati, nè questi senza i paesi grandi, come le stazioni di transito non sono possibili senza i mezzi di comunicazione facili, rapidi e a buon mercato. Con la moderna navigazione non vi sono più scali intermedi necessari: possono quindi gli stranieri frequentare o no, a loro arbitrio, i nostri mercati, e di certo non li frequenteranno sintantochè Venezia, Ancona, Taranto, Messina, Napoli, Civitavecchia, Livorno e Genova non saranno porti e porte di una grande nazione, sintantochè le strade ferrate non avranno unito l'Adriatico al Mediterraneo, e il mare Jonio alle Alpi, vantaggi impossibili, senza l'unificazione politica. Continueranno quindi i nostri porti e i nostri mercati ad essere deserti, continueranno le industrie innaturali, che sono veri scemamenti di forze, perdite vere. È la sola unità politica, che unificando interessi, ordini, leggi, cambi e credito, moltiplicando ed ordinando i mezzi rapidi di comunicazione, creando grossi mercati, rendendo non necessarie le industrie innaturali, sopprimendo ogni interno impedimento, e dando piena sicurtà all'esterno, potrà far risalire l'Italia a quel grado di prosperità e gloria, dove, in proporzione de' tempi, trovavasi collocata nel medio evo. Lo spirito del secolo tende fortemente all' unità; e sventura a chi gli si oppone: le scienze, i commerci, le industrie, le arti, l'istessa beneficenza, tutto, sotto le varie forme dell'associazione, corre con forza irresistibile all' unità, e la divisione del lavoro non crea che una necessità di più di unificazione, perciocchè là dove bastava un artigiano, or si richiede l'opera di molti armonicamente riuniti nell' unità dell'arte e della produzione.

XVI.

DI UN ORDINAMENTO FEDERALE CHE MOLTO SI AVVICINA ALL'UNITARIO.

Ma perchè vi sono alcuni che, scorgendo i mali della federazione, vorrebbero evitarli, senza incorrere, com'ei dicono, ne'mali dell'unità, è qui utile toccare brevemente del loro concetto. E' vorrebbero che l'Italia avesse unica assemblea politica, unico esercito, unica armata unico sistema di dogane, d'istruzione, di poste, di monete, di pesi e misure; ma che ciascuno stato ritenesse un' assemblea legislativa per decretare le proprie leggi e le imposte, e per provvedere ai bisogni particolari della provincia. Or lasciando stare che queste assemblee sarebbero pericolosissime in tempo di guerra, come indietro si è discorso, io dico che non sarebbero di alcuna utilità in tempo di pace.

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Napoli e Sicilia hanno un codice ch'è d'origine francese, il quale è rimasto sempre incolume nelle diverse rivoluzioni che dal 1845 in poi hanno agitato quelle provincie: Roma si governò un tempo col codice francese, più lungamente la Romagna, la quale se ne trovò sì contenta, che, petizionando al pontefice, o sollevandosi in armi, prima cosa richiesta o decretata è stata sempre il ristabilimento di quel codice. Lo stesso dicasi di Lombardia, di Parma, di Modena, di Piemonte e della Toscana: in questa provincia il codice leopoldino, modificato dalle successive disposizioni legislative, si è tanto accostato al francese, che la differenza è quasi scomparsa; ed in Piemonte, la prima volta che il popolo applaudi a re Carlo Alberto, fu appunto quando e' sanzionò un codice, che nella parte contrattuale (la più lodata e tenuta in pregio) è similissimo al francese. Se le provincie italiane fossero libere, il codice che certamente adotterebbero, salvo poche modifiche, sarebbe quello di Francia, il quale è prodotto non della particolare civiltà francese, ma della generale civiltà europea della fine del secolo passato e del principio del secolo presente, come sarebbe facilissimo di dimostrare. Nessun pericolo e nessun danno ne verrebbe quindi alle provincie italiane, se il carico di apportarvi quelle modifiche, che si reputano necessarie, fosse affidato all'assemblea nazionale; ma utilità grande, perchè le riforme riuscirebbero di certo più savie e più proficue, allorchè fossero prepa rate e deliberate dalla sapienza collettiva della nazione. In Italia non vi sono più feudi, non v'è schiavitù personale, non servitù della gleba: i fedecommessi, le esenzioni, le processure segrete, le torture personali come mezzo di prova, o non esistono legalmente, o sono unanimemente abborriti. Non v'è qui adunque la necessità, per la quale negli Stati Uniti d'America, nel Messico e nella Confederazione degli Svizzeri fu lasciato all'assemblea degli stati il potere legislativo. I nuovi ordini di civiltà sono sempre ricevuti senza ostacolo quando gli interessi contrari sono spenti: quest'opera di preparazion e fu incominciata da Pietro Leopoldo di Toscana, dal ministro Tanucci in Napoli, da Giuseppe II in Lombardia: di poi vennero i francesi e la compirono, e gli interessi contrari furono sì bene spenti, che nel 1815, per ogni sforzo che facessero, non riuscì al pontefice e ai principi di farli rivivere. In quanto poi al diritto di decretare le imposte, o queste saranno, con norma unica, ridotte alla sola sulla rendita o sul capitale, sia proporzionale, sia progressiva, ed allora manca la materia sulla quale deliberare dovrebbero le assemblee degli stati; o le imposte saranno regolate secondo l'iniquissimo sistema ordinario, ed allora seguirà che il bene della nazione sarà sempre posposto al bene dello stato, e tutti i vantaggi economici dell unione completamente cesseranno. Nell' un caso adunque l'ordine proposto sarà vano, nell'altro dannoso.

V'è ancora chi dice: l'Italia abborre la centralizzazione; e si confondono questi due termini di unità e centralizzazione, che sono fra loro distintissimi. Unità è qualità di ciò ch'è uno, di ciò che nella sua specie,

o nella relazione speciale in cui si considera, non ha eguali: centralizzazione, voce barbara in Italia e nuova in Francia prima del 1789, è la riunione di ogni autotorità, forza e vita in un centro comune. L'idea di unità è adunque indipendente da quella di centralizzazione, e vi può essere unità senza centralizzazione, come in Inghilterra; centralizzazione senza unità, come in Russia. La nazione una ha necessariamente un centro politico, onde muove la direzione forte ed attiva degli interessi generali; la nazione centralizzata non ha vita politica, amministrativa ed economica che nella sede della suprema autorità; tutto il resto è cadavere. Quando la Francia creò la sua fatale centralizzazione, si trovava in una di quelle tristi necessità, nelle quali si creano le dittature: la centralizzazione francese non fu di fatti che la dittatura di Parigi sopra tutte le provincie: per l'Italia sarebbe una stoltezza e un delitto, senza pretesto e senza scusa; un'impresa impossibile, perchè ripugna all' indole e alle tradizioni del popolo, non che alle nostre attuali condizioni, non avendo noi avuto nel passato un Luigi XIV, nè avendo nel presente una Parigi, cioè un centro di forze intellettuali e materiali preponderanti su tutta la nazione. Osservate le storie: il dittatore (sia uomo, sia classe, sia città) preesiste sempre alla dittatura: la legge non fa che constatare e sanzionare un fatto esistente. Or in Italia manca la città dittatoriale, non esiste quindi il pericolo della centralizzazione.

A questo si deve aggiungere, che l'applicazione delle nuove dottrine democratiche toglierebbe ogni difficoltà. Ho detto nuove, e avrei dovuto dire antiche, almeno per noi italiani. Scrisse già il Machiavelli: <<< Credo che un uomo prudente non debba fuggire il giudizio popolare nelle cose particolari circa le distribuzioni dei gradi e delle dignità; perchè solo in questo il popolo non s' in

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