legi elettorali saranno stabilite con apposito regolamento (1).» La legge andò a partito all'unanimità dei suffragi; tanto quel provvedimento, che ora gli scrittori della parte moderata deridono e sbeffeggiano, era allora da tutti creduto savio, o almeno necessario. Non sorse una voce contraria nel parlamento, dove pure erano in maggioranza gli avversari del ministero democratico: i giornali loro non esitarono ad applaudire: in Firenze era gioia grandissima. Addì 30 di gennaio, il granduca si partiva per Siena, dove risiedea la famiglia reale, sin da quando fu costituito il ministero democratico. Le fazioni divideano quella città. Feccia di volgo, incitata e assoldata da alcuni patrizi e preti, avea infuriato a più riprese contro a liberali; avea ingiuriato, percosso, imprigionato onorevoli cittadini, nè avea avuto ribrezzo d'insolentire contro a quelli, che in Lombardia aveano versato il loro sangue e nella cattività dell'Austria erano stati travagliati per rendere all' Italia la sua indipendenza. Queste reità erano da alcuni pubblici ufficiali, non solamente tollerate, ma anco, come dimostrazioni di affetto al principe, lodate. Il granduca fu ricevuto con grande applauso, e vi furono uomini così stolti o così iniqui, che osarono in quell'occasione gridar morte alla italiana costituente e viva all' arciduca d'Austria ed al re di Napoli, in una città sino quasi il di innanzi rinomata per amore di libero reggimento, e per sensi magnanimi e civili. Iniqui uomini erano giunti con le loro perfide arti a riaccendere le antiche gare municipali, (1) Documenti, vol. II. Storia d'Italia, Vol. IV. 6 come ne'tempi de'guelsi e de'ghibellini: a Siena spiaceva ciò che a Firenze era gradito: altra volta la lupa e il giglio veniano a contesa, con vergogna e danno di Toscana, anzi di tutta Italia. Chi applaude in Siena alla costituente e al ministero è vituperato e percosso; e la guardia civica sta co'sediziosi. Il principe ringrazia delle accoglienze oneste e liete fatte a lui e alla sua famiglia. L'indomani, su pei cantoni si lessero appiccati cedoloni, che dicevano : « La costituente italiana è una invenzione del Montanelli toscano, la quale spinge il po. polo ignorante al macello della guerra ed alla miseria. O popolo, non cedere alla violenza dei pochi tristi, o pazzi, che te la lodano. Roma non la vuole; il Piemonte non l'approva; tu solo vuoi rimanere ingannato? Lo stato è in miseria, e questa crescerà per la guerra, perchè il ricco dovrà alimentarla col danaro, che serviva a darti lavoro, e tu dovrai sostenerla con gli stenti e i pericoli della vita ». A mezzogiorno gli scolari ai quali imprecavasi morte, si radunano e deliberano ridursi a studio nell'università di Pisa, abbandonando Siena, la città che s'era tutta sollevata per vendicare la morte del Petronici, e per difendere e assicurare la gioventù studiosa, che con materna cura ospitava. Tant'erano i tempi mutati! I liberali, provocati più volte ed oltraggiati, addì 2 di febbraio si adunano sul prato della Lizza, e mandano a pregare il prefetto spieghi al popolo, costituente cosa sia; ed e'così fa. Anco il granduca promette di parlare alla moltitudine parole di concordia e di pace. Tutti accorrono alla piazza; e quivi chi grida evviva a Leopoldo solo, chi a Leopoldo e alla costituente, chi sventola bandiere bianche e rosse, e chi quelle de'tre colori. Il granduca si fa al balcone, saluta e niente dice. Gli animi accesi s'infiammano: dalle grida si viene alle mani ed alle coltella, e sangue cittadino in zuffa scellerata è versato! I ministri scriveano al principe o ritornasse a Firenze, o la loro dimissione accettasse. Il principe rispondea pregandoli caldamente a non volere abbandonare il governo dello stato, e l'indomani mandava altra lettera al Montanelli del tenore seguente: « Signor presidente del consiglio dei ministri. Benchè mi sia dato di supporre, che una lettera fatta dirigere nella serata di ieri al ministro dell' interno, lettera che dovrebbe essere giunta costi poco dopo la spedizione di quella da lei e da tutti i suoi colleghi indirizzatami nella scorsa notte, possa avere calmato le apprensioni del ministero, voglio aggiungere la lusinga che i ministri non saranno per applicarsi al partito accennato nella lettera collegiale. Quanto al mio ritorno, io sono nella necessità di dire, che non può essere così immediato come si desidererebbe, perchè lo stato della mia salute non mi permette in questo momento di pormi in viaggio. Mi fo pertanto a pregare i ministri a voler recedere dall'idea di abbandonare i loro posti, e raccomando ad essi la vigilanza e la tutela dell'ordine pubblico. lo la invito a far noto tutto questo a' suoi colleghi, e mi confermo suo affezionatissimo Leopoldo ». La fatica del viaggio, il rammarico de' casi di Siena avevano reso infermo il principe (cosi dicea il giornale del governo): doversi quivi rimanere per qualche tempo; ma volere i ministri intorno a sè, o almeno uno di loro: vi andrebbe il Montanelli e con lui il segretario del ministro dell'interno, Costantino Marmocchi, nativo del Sanese. « La stretta armonia tra il principe e il suo ministero (soggiungeva il giornale), anzichè soffrire alterazione, sempre più si conferma ». Andava il Montanelli, ed il Guer. razzi, che volea ad ogni modo salvare il principe al quale troppo strettamente avea oramai unito la sua sorte, gli scrivea questa lettera confidenziale : « Se non crepo, reggerò ogni cosa. Retrogradi e rossi mi tengono in subuglio il paese: bisogna dare una zampata ad ambedue. Saluta il granduca e digli da mia parte che oggi non gli scrivo, perchè proprio non posso. Non mi muovo più di palazzo. Abbia coraggio e fede in noi, come noi ne abbiamo in lui. Cacci via da sè gente che non sa altro che atterrirlo e lasciarlo indifeso; e siccome io non ho mezze misure, se credi, leggigli anche questo pe. riodo, ed anche tutta la lettera. Quando può, torni con la famiglia, conquisti e si mantenga i cuori. Diavolo! Vuol egli acquistare fiducia mostrando sospetto? Alla granduchessa sopratutto insinua questo; si ricordi del proverbio: Il diavolo non è brutto come si dipinge; e noi non siamo orsi. La mostra (e sei tu) val meglio della balla (che sono io), e questo succede sempre; ma non si offrono angioli per campioni di demonii ». Facete parole eran queste, che per chi ben considera dicon moltissimo, e che chi fosse il Guerrazzi e quali i suoi intenti apertamente disvelano. Il Montanelli non era ammesso alla presenza del principe, che addi 7 di febbraio: lo trovava infermo, sonnolento, privo di forze, incapace di udir proposte di affari. Dicea però sentirsi un poco meglio; uscirebbe nella giornata a far breve passeggiata in carrozza: e alle ore quattro usciva dal palazzo e dalla città con la famiglia, e smesso ogni infingimento, galoppava a Porto Santo Stefano, lasciando queste due lettere, dirette al presidente del consiglio dei ministri: << Signor Presidente. Nel lasciar Siena non creda che sia in me il progetto di abbandonre la Toscana, cui sono troppo affezionato. Raccomando vivamente e con fiducia i familiari miei ed in Firenze ed in Siena, che sono ignari del tutto del progetto mio. Priego di lasciare che mi seguitino quelli di cui ho strettamente necessità, che sono appunto quelli che ho qui in Siena: e priego ancora a voler facilitare il modo che mi seguitino gli equipaggi miei e della famiglia; quelli che parimenti ho in Siena, che senza di ciò si rimarrebbe privi di quello che è strettamente necessario alla vita. Intendo compresi nel numero delle persone che mi seguitino l'aio de' miei figli, o il loro cavaliere di compagnia, e la mia segreteria. Prendendo la direzione della strada regia maremmana le persone del mio seguito troveranno l' indicazione del luogo ove io mi son diretto. Siena 7 febbraio, 1848. Suo affezionatissimo Leopoldo ». Dicea la seconda: << Scorsi otto giorni da che io mi trovo in Siena, e sapendo da più parti che moltissime voci nella capitale ed altrove dicono che la mia lontananza da Firenze muove da cagione di timore, o di altra più rea natura, io posso ora e debbo apertamente palesarne la causa vera. Il desiderio di evitare gravi turbamenti mi spinse il 22 gennaio 1849 ad approvare che fosse in mio nome presentato alla discussione ed al voto delle assemblee legislative il progetto di legge per la elezione de' rappresentanti toscani alla costituente italiana. Mentre la discussione dovea maturarsi al consiglio generale ed al senato, io mi riservava ad osservare l'andamento della medesima, ed a riflettere tanto sopra con dubbio che sorgeva nell'animo mio, che potesse cioè incorrersi con quella legge nella scomunica indicata nel breve di sua Santità del primo gennaio 1849, da Gaeta. Questo mio dubbio manifestai ad alcuno dei ministri, accennando loro che il pericolo intrinseco della censura mi sembrava dipendere principalmente dal mandato che si sarebbe poi conferito a' deputati della costituente, e di cui non |