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ottobre, conferenze di Moirency; inverno '86, nuova erezione dei pennoncelli, e infine nell'agosto di quell'anno nuovi negoziati a Servet. E termino le mie osservazioni su questa vertenza Saluzzese, chiedendo se non sia per avventura troppo severo il giudizio dell'egregio prof. G. sul Marchese Ludovico II (pag. 353). Nemico del nostro Duca, venduto alla politica francese, macchiato di turpi delitti, non ha diritto, lo so, alla nostra simpatia; l'equità vuole però che non disconosciamo in lui le poche doti ch'egli ebbe, e forse è troppo ritenerlo pauroso e vile.

Strettamente collegato colla questione di Saluzzo è il viaggio che il nostro Duca intraprese in Francia nel 1489. Su ciò un solo rilievo. Il ch. G. nella recensione mi appunta d'essermi formato un concetto erroneo di questo viaggio perchè lo credetti all'improvviso risoluto dal Duca, mentre dalla Storia delle Alpi marittime del Gioffredo risulta ch'esso era già deciso nell'ottobre '88; nel presente libro tempera alquanto la rigidità della sua affermazione, dicendo che stando all'U. il viaggio fu stabilito solo verso la metà di dicembre. Questa è indubbiamente l'epoca in cui fu deciso (e allora? c'è differenza fra stabilito e deciso?), ma le ragioni del precedente viaggio a Nizza mostrano che Carlo I doveva averne da un pezzo intenzione, e insiste a citare Gioffredo (pagg. 385, 386 n. 4; cfr. recen. p. 9). Ora quest'autore, nè al punto indicato dal G. (col. 1157-58) dove parla della mala intelligenza tra Provenzali e Nizzardi, nè in seguito, dove prende a discorrere dell'andata del Duca a Nizza, racconta le accoglienze che gli si fecero, ed espone da quali motivi fu suggerita la sua visita, non reca una sola parola allusiva al progetto del viaggio in Francia (1). Al ch. prof. sa male ch' io abbia affermato che il Duca provvide a sue spese all'alloggio durante il suo soggiorno in Francia, e cita una lettera 7 maggio 1489 di Teodoro Roero al Duca di Ferrara, da cui risulta che gli erano apparecchiati suntuosi appartamenti presso quelli del Re (pag. 388; cfr. recen. p. 10). A quell'epoca il Duca si trovava, credo, a Plessis; io ho documenti che mi insegnano che a Tours nell'aprile, ad Amboise nel giugno, Carlo I dovette perfin pagarsi l'affitto delle lenzuola; mi pare sia facile accordarsi ritenendo che l'ospitalità del Re si limitasse al castello di Plessis.

Buone le osservazioni intorno alla politica italiana di Carlo I, e le lodi che il G. tributa perciò ai suoi consiglieri, sebbene io non comprenda perchè, dal fatto che essi ispiravano bene il principe nella politica estera, debba di necessità inferirsi che gli dessero pure in quella interna suggerimenti favorevoli alle aspirazioni dei Piemontesi

(1) Il Gioffredo dice bensì che, fra l'altro, il Duca s'adoperò a por rimedio alle ostilità fra i suoi sudditi ed i francesi, ma non accenna, anche lontanamente, che di questi fatti prendesse contezza per poterne poi conferire col real cugino, come afferma il G.

(pag. 384). Importante il documento recato dal G. sull'autopsia praticata sul corpo del Duca Carlo, per la morte del quale egli accetta il momento da me fissato, cioè quattr'ore avanti il giorno del 14 marzo, ma si mostra tuttavia alquanto titubante perchè legge in un altro documento, in data 14 marzo, che la morte avvenne circa la settima ora della notte precedente; e non avverte che invece le due indicazioni concordano perfettamente, perchè tant'è dire: quattr'ore avanti l'alba del 14 marzo, quanto (contando all'italiana): alle sette della notte precedente il 14; si ha sempre circa l'una antimeridiana del 14 (1). Or venendo all'ultimo periodo di questo racconto, alla reggenza di Bianca, devo premettere che abbastanza buona mi par l'idea che s'è formato il G. delle due fazioni che, coi nomi di Savoiarda e Piemontese andavano contrastando; idea che meglio si comprende, perchè espressa in una sintesi efficace, nella sua recensione (pag. 11). Giustissimo che, in Corte, e dell'una e dell'altra fazione facevan parte uomini nati sui due versanti delle Alpi, sebbene in quella Savoiarda predominassero i nativi d'oltremonti e viceversa; esatto, e d'altronde naturale appunto perchè nella fazione Piemontese erano in maggioranza gli uomini nati in Italia e perchè essi s'appoggiavano sul favore del popolo Piemontese, che questa cercasse di preferenza l'alleanza colla Lombardia, verso la quale l'attiravano maggior conformità di razza, di costumi, di lingua; mentre i Savoiardi trovavano il natural sostegno in Francia, sebbene i continui rivolgimenti politici cagionassero talvolta un'inversione completa, e si dovesse veder Racconigi cliente del Re, mentre i baroni savoiardi, che pur avevano feudi, onori e possessioni in Francia, gli si voltavano contro; ma non è più esatto dire che tali fazioni fossero puramente di Corte, determinate da interessi aulici, non popolari, poichè di fianco alla fazione cortigiana un'altra esisteva popolare,

(1) Su queste date di morti e di nascite qualche altra osservazione. Il G. ritiene Iolanda Ludovica nata il 12 anzichè l'11 luglio, e mi fa carico di non aver neppure inteso il documento che cito (p. 365). Ora la relazione del battesimo dice: die XI iullii die mercuri, una nota del giorno 12 nel conto tes. gen. dice la principessa già nata a Voures de nuyst, il che, secondo il nostro computo, importa le 11 pomerid. dell'11. Un errore nella relazione non è supponibile perchè si ha la doppia designazione della data e del giorno della settimana che collimano. Ma quando il Duca, come dice il G., scrive ai Pinerolesi in data del 13 che hesterna nocte gli nacque una bambina, non vuol significare la notte ultima, ma bensì quella di ieri, ossia la notte sopra il 12, e così anche il documento invocato dal G. contro me viene insomma a darmi ragione. Quanto al Duca Carlo Gio. Amedeo, checchè osservi il G. (pag. 389; cfr. recens., pag. 10), siam perfettamente d'accordo a dire che nacque nella notte sopra il 24 (Bianca, pag. 128, n. 2) il che non contraddice per nulla la nota della relazione del battesimo: die XXIII junii, hora quinta noctis, cioè le 11 pom. del 23. Spesso le divergenze che, in queste materie, s'incontrano nei documenti e nella loro interpretazione dipendono solo dai diversi modi di computar le ore, o dal far cominciare il giorno piuttosto alla mezzanotte che al mattino o alla sera.

costituita da un vero antagonismo fra Savoiardi e Piemontesi, che era prodotto dalla gelosia e dal disprezzo con cui i sudditi piemontesi guardavano a quelli d'oltre alpi. Nella gran massa dei Piemontesi, gentiluomini e comuni, cominciava ad accentuarsi un dissidio, anzi contrasto e rivalità, cogli oltremontani, è costretto a riconoscerlo fin dal 1478 anche il G. (pag. 245), che scrive poi all'anno 1487: i Piemontesi strillavano, al solito, nè giustamente, contro il maggior favore concesso ai Savoiardi (pag. 364); dove l'espressione al solito richiama tutte le rimostranze, tutte le proteste, tutte le suppliche fatte incessantemente dai Piemontesi per ottener quella parità di trattamento che loro sembrava non avere. E come i Piemontesi disprezsassero i Savoiardi, tenendoli allo stesso tempo in conto di oppressori, ben mostrano i versi macaronici che l'A. cita a pag. 461. Certo fra gli uomini di Corte queste passioni regionali avevano poca forza; essi le sfruttavano più che non le sentissero, ed i privati interessi, le inimicizie, i rancori, le gelosie personali facevan sì ch'essi si ascrivessero all'una od all'altra parte, e andassero mutandola, senza punto badare al luogo di lor nascita, ma nel grosso della popolazione era profonda la scissura. I Piemontesi, e perchè erano istintivamente attratti verso i fratelli Lombardi, e perchè tale era l'atteggiamento dei loro capi, desideravano nel 1490, come, salvo le eccezioni, sempre avevano desiderato, l'alleanza con Milano e la riconciliazione col Racconigi, discendente, se m'è lecito dir così, da un ramo italo-piemontese di Casa Savoia, ma questa era una forma in cui s'esplicava la loro contrarietà di vedute e di desiderî coi Savoiardi, non ne costituiva l'essenza. Sotto un certo aspetto potrebbe dirsi che quest'antagonismo rappresentava la lotta tra l'elemento aristocratico-feudale, onnipotente in Savoia, troppo potente alla Corte, e quello democratico-comunale, di cui in gran parte del Piemonte si conservavano traccie nelle franchigie e negli statuti municipali, era mantenuto dal desiderio della borghesia, del terzo stato, che quasi esisteva solo in Piemonte, di veder dischiusa con maggior facilità anche per sè la via agli onori e al potere, di veder più equamente ripartiti i carichi fra tutti i sudditi, nobili e plebei; preludiava insomma, in timidissima misura che pur sembrava audacia di fronte ai costumi e alle opinioni dei tempi — a quella civile eguaglianza che è conquista moderna, ma aspirazione antichissima. Ma poichè erano le ibride fazioni di Corte, e non quelle popolari più schiette e ben delineate, che avevano influenza nel governo, questo incompleto apprezzamento che il G. fa della situazione non toglie che siano lodevolissime le pagine in cui descrive l'affannoso muoversi dei partiti intorno a Bianca diventata reggente, come è eccellente la dipintura dei caratteri della Duchessa e dei maggiorenti della Corte. Non so tuttavia darmi ragione del severo giudizio che pronunzia il G.

sul contegno del Moro in quei primi giorni e sulle istruzioni che dava ai suoi agenti, accompagnandolo, manco a dirlo, con una frecciata al mio indirizzo (pag. 410), perchè insomma se la condotta del Moro gli era suggerita dal proprio interesse, nè io mai volli dissimularlo, ciò non implica che consigliar Bianca a stringersi con Milano, e al caso forzarle anche la mano intrigando coi sudditi, non si risolvesse a vantaggio di Savoia. Poichè questa doveva per forza lasciarsi attrarre nell'orbita d'una delle due potenze confinanti, meglio era cedere all'influenza Lombarda che non alla Francese. Ed anche qualche mese dopo, imponendo con arti subdole a Bianca l'accordo col Saluzzese, il Moro seguiva quella politica tortuosa ed infinta ch'era purtroppo generale in Europa, ma contribuiva a quel risultamento fortunato ed importante, accennato pure dal G., che l'Italia pareva, ed avrebbe potuto essere, finalmente padrona di sè, fuori di timore d'ogni straniera invasione (pag. 447). Col sussidio specialmente di documenti Milanesi è assai ben descritto il lungo periodo delle trattative col Senza terra, cui s'intrecciano i gravi casi della sorpresa compiuta dal Marchese di Saluzzo e dall' invasione Sforzesca; bene (pag. 431) il racconto dei dissapori col Monferrato, e specialmente della duplice cattura di Zanino d'Annone e di Teodoro Roero, al qual proposito il G. ignora una lettera assai importante di Bianca allo zio Marchese, in data 28 maggio, la quale c'insegna come il Monferrino tentasse allora, con false notizie, seminar zizzania tra Savoia e Milano (1).

Interessanti i ragguagli che il G. offre intorno alle relazioni con Francia; solamente Imbault de Romagnan (pag. 427 n. 3; cfr. recen. p. 13) è equivoco per de Romagnieu (2). Quanto alla missione compiuta da Filippo presso il Re nell'autunno del '90, son lieto di poter dir qui che è un semplice errore tipografico quello che mi rimprovera il G. (pag. 458; cfr. recen. pagg. 13-14) d'aver affermato che il Sire di Bressa conobbe i disegni ostili del de Serve solo il 10 dicembre. Dovrebbe leggersi 1o; ed è infatti in quel giorno che Filippo, trovandosi a Chaponney nel Delfinato, fece in tutta fretta partir un corriere a portar nuove urgenti al Capitano di Perosa e alla Duchessa (3); ed

(1) Arch. Cam. Tor., Pat. Duc., 1490-91, f. 152. Di qui si scorge pure che alla Corte di Monferrato erasi inviato non il sire di Rosazza, come dice il G. (p. 432), ma il signor di Rochaz (Giorgio di Monfalcone).

(2) Imbaudo Rivoire signore di Romagnieu (villaggio di Bressa) scudiero ducale, era uno di quei nobili che, avendo i loro possessi sui confini tra Francia e Savoia, e movendo spesso feudalmente da entrambi i Sovrani, partecipavano in certo modo delle due nazionalità, e servivano l'uno e l'altro Signore quasi indifferentemente. Così Imbaudo era venuto in Piemonte, come legato di Francia, nei giorni in cui moriva Carlo I; Bianca poi nell' accommiatarlo, il 23 marzo, l'incaricava di una missione presso il Re, della quale egli era già tornato a dar conto in principio di maggio. Patenti 5 e 14 maggio 1490, Conto tes. gen., 1488-90, ff. 554 v., 579.

(3) Risulta dal conto del tesoriere OUDRY, che forse il G. conobbe solo da quanto io stesso ne andai citando.

io non so poi davvero perchè, quanto al ricevimento fatto dal Re allo zio, non avrei dovuto parlare di accoglienze onorevoli, conviti e serenate senza distinguere il doppio periodo di cattivi poi buoni trattamenti (pag. 460 n. 1), mentre di questo doppio periodo non parla neppure il G. il quale dice semplicemente: il Senza terra era stato ricevuto da Carlo VIII, nè senza cordiali accoglienze (pag. 459). Soddisfacente assai il racconto dei torbidi interni, delle fazioni di Mondovi, Vigone, Moncalieri, della rivolta del Faucigny, ecc.; troppo incompleti i diversi accenni alla questione del Vallese (1); di nuovo eccellente l'esposizione degli affari di Ginevra e della ribellione del La Chambre, e con piacere vedo che il G. rinuncia a credere che con costui e col Re suo protettore fosse già concluso l'accordo nel marzo, ammettendo invece con me che chi contribui a condurre a buon porto l'intricata vertenza fu l'Ambasciata Milanese, giunta a Parigi solo il 29 marzo, e che i definitivi accordi arrivarono solo il 14 maggio a Torino, portati dal Monfalcone (pagg. 479-80; cfr. recen. p. 14). Assai buona e diffusa la narrazione delle ostilità fra Genovesi e Nizzardi, meno copiose (in quest'ultimo decennio) di quanto avrei supposto, argomentando da ciò che scrive il G. nella recensione del mio studio, le notizie sulle relazioni cogli altri potentati d'Italia.

L'ultimo Capo è destinato alla discesa di Carlo VIII, e a dir con brevissime parole la morte del Duca infante, che seguì dappresso la ritirata del Re francese. Espone il G. assai bene le condizioni della politica Italiana al momento della ben nota missione di Péron de Baschi (2), e ben giudica che Bianca, favorendo i Francesi, s'acconciava per necessità ad un male cui non poteva fuggire. Conciso, ma efficace tutto il racconto (3); buono, se non irrefutabile, l'argomento con cui cerca scolpar la Duchessa di Savoia dall'accusa d'aver partecipato anch'essa agli intrighi che, sul finir del settembre, s'ordivano in Asti contro il Moro (pag. 516); più convincente la prova che Bianca, nell' aprile 1495, agiva con doppiezza (ben perdonabile visto il tristo ambiente in cui viveva) protestando ufficialmente di voler chiuder i

(1) A proposito: non è dal Conto del tes. gen. 1490-91 f. 486, ma bensì da quello 1491-92 f. 165 che si rileva come il Provana andasse nel marzo '91 a trattar col vescovo di Sion. Evidentemente il G. (pag. 467) riportando parte d'una mia nota, in cui, perchè si riferiva anche ad altri fatti, si trovavano entrambe le indicazioni (Bianca, pag. 198) ebbe la disdetta di non sceglier quella che faceva al caso suo. (2) Intorno alla quale il G. non conosce una pregevole Memoria del PERRET: La mission de Péron de Baschi à Venise in Bibl. de l'École des Chartes, 1891, pag. 287.

(3) Che in quanto io scrivo sul ricevimento del Re a Torino vi sia patente contraddizione fra il testo e le note (Lo Stato, pag. 512, n. 2) è verissimo. Io pel primo la rilevai dichiarando che non metteva conto di fermarsi a discuter su punti d'importanza affatto secondaria (Bianca, pag. 252, n. 3).

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