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passi ai Francesi, e di nascosto porgendo favore ed incoraggiamenti al Duca d'Orléans (1).

Ed ora, s'io volessi spigolar qua e là nel grosso volume potrei notar qualche inesattezza sfuggita al ch. A. Così mai non fu Vescovo di Losanna nessun Cardinale Guglielmo della Rovere (pag. 131); così non è nella seconda metà del 1475, ma nel gennaio di quell'anno, che il Senza terra da Berna invitava i fratelli ad un convegno a Losanna per cercar un accordo cogli Svizzeri (pag. 129); è nel febbraio, non nell' aprile 1478, che Iolanda prometteva agli Svizzeri il saldo della indennità dovuta per la restituzione del Vaud (pag. 233 n. 2). E potrei rilevare la strana disattenzione per cui il G., dopo aver molto discusso, finisce a non dir quale sia, secondo lui, la vera data della morte di Iolanda (pagg. 238-39), appuntare Francesco di Savoia fatto zio di Filippo (pag. 307), l'ambasciatore francese La Viste chiamato Claudio invece d'Oberto (pag. 450), ecc. Ma a me non pare ufficio di critico serio e cortese quest'affannosa caccia d'inavvertenze, di sviste, e fin di mende tipografiche per crescer la somma degli appunti e delle censure, onde senza più m'affretto a conchiudere, chiedendo venia al lettore se troppo a lungo l'intrattenni in argomenti che presentano per lui forse un troppo limitato interesse, ed augurandogli, in compenso della noia ora inflittagli, che possa presto leggere un altro volume del Gabotto, al pari di questo istruttivo, dilettevole e simpatico. L. USSEGLIO.

Biblioteca storica siciliana, vol. I. G. ARENAPRIMO, La Sicilia nella battaglia di Lepanto. Messina, Giuseppe Principato, editore, 1892.

Dopo che al 1453 Maometto II il Conquistatore detronizzava l'ultimo imperatore di Costantinopoli, imbaldanzi di molto la potenza ottomana, e il vessillo della mezzaluna si sollevò minaccioso per tutta l'Europa.

Maometto II continuò la vittoriosa sua marcia verso il Danubio e si dispose ad invadere anche l'Italia, e già la sua cavalleria devastava le campagne del Friuli e la sua flotta incendiava Otranto, essendo Venezia impotente a resistere.

La sua morte salvò l'Europa da maggiori sventure. Il nipote Selim

(1) Devo avvertire che Matteo di Castellamonte fu mandato a Perosa a ricevere gli arcieri delfinaschi il 21 aprile e non tre giorni dopo il 9 (ossia il 12) come, riproducendo un mio errore di stampa, scrive il ch.o G. (pag. 518). Egli cita qual sua fonte il Conto tes. gen. 1494-95 f. 149, che è pur citato da me, ma certo mi fece l'onore di credermi su parola e non vide cogli occhi proprii il documento, che altrimenti avrebbe rilevato l'errore.

si volse all'Oriente ed ebbe la Siria e l'Egitto. Solimano II portò la Turchia all'apice della potenza.

Conquistò l'isola di Rodi e Belgrado e colla sanguinosa battaglia di Mohacz metà d'Ungheria; si avanzò fin sotto le mura di Vienna, ma fu costretto a ritirarsi, e ritornatovi al 1532 anche una volta dovette batter la ritirata, per la sagace politica di Carlo V, che minacciava colla sua flotta Costantinopoli.

Messa al sicuro la Germania, Carlo V rivolse le sue forze per fiaccare altrove la potenza musulmana, onde l'impresa di Tunisi, che lo copri di gloria; ma il Turco non per questo sgomentossi, anzi le coste della Sicilia specialmente furono il suo bersaglio: Lipari, Patti, Agosta, Pantelleria, Lentini vennero saccheggiate.

Da ciò la nuova impresa di Carlo V ad Algeri, dove a stento potè salvare la vita.

Crebbe allora l'audacia del Turco, e quando al 1560 don Giovanni La Cuerda volle riconquistare l'isola delle Gerbe, antico possedimento della Sicilia, una terribile sconfitta toccò alla nostra flotta, e Selim II, imitando gli ambiziosi disegni dei suoi predecessori, minacciò l'isola di Cipro.

Venezia tentò indarno difendere il suo possedimento; Famagosta prima e Nicosia dopo caddero in potere del Turco, e lungo e penoso sarebbe dir degli eccidî e delle stragi commesse.

La caduta di Cipro, ultimo baluardo della Cristianità in Oriente, scosse l'Europa cristiana, ed una lega perpetua offensiva e difensiva fu conchiusa tra Pio V, Filippo II di Spagna e la Serenissima Repubblica dell'Adriatico; un'armata fu allestita e si raccolse a Messina sotto il comando di don Giovanni d'Austria, figlio naturale di Carlo V.

Presso le isole Curzolari, all'imboccatura del golfo di Lepanto il 7 ottobre 1571 l'armata della Lega s'incontrò colla turca, e da quel momento incominciò a decadere la potenza degli Osmani.

La battaglia di Lepanto è una delle principali glorie italiane, giacchè gli sforzi maggiori furon fatti dagli Italiani, e la parte presa da ciascuno in quella memoranda battaglia è stata descritta da varii scrittori.

Il P. Guglielmotti e il Carinci per lo Stato Romano, il Manno pel Piemonte, il Veroggio per Genova, il Conforti per Napoli, il De Lorenzo per la Calabria, il Mulas per la Sardegna, e per la Sicilia il professore Salomone-Marino, valoroso ed intelligente cultore delle patrie memorie.

Nel 1886 pei tipi del Giornale Araldico di Pisa, il chiarissimo barone Giuseppe Arenaprimo pubblicava una monografia riguardante la parte avuta dalla Sicilia in quella battaglia navale.

In seguito poi a nuovi studi e nuove ricerche, sentì il chiaro A. il bisogno di riformare, correggere ed accrescere la sua monografia, e

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nel 1892 inaugurava la Biblioteca storica siciliana, edita da Giuseppe. Principato di Messina, con un elegante nitido volume dal titolo:

La Sicilia nella battaglia di Lepanto.

L'importanza del tema, la forma elegante e spigliata, il modo con cui la narrazione è condotta, fanno leggere con molto piacere e diletto il volume, che consta di circa trecento pagine.

L'A. si avvale delle pubblicazioni sul riguardo, e nei primi tre capitoli riassume maestrevolmente i prolegomeni della grande giornata. Nel capitolo quarto, dopo di avere sulla scorta del La Lumia e dello Amari riassunto gli ordinamenti civili e militari dell'isola nostra sotto il governo spagnuolo nel secolo XVI, e dopo di aver assai rapidamente accennato alla marineria siciliana, passa a discutere sulla importante questione del numero delle galere siciliane, che presero parte alla spedizione di Lepanto, e sostiene che esse dovettero essere nel numero di dieci.

In questo non sono d'accordo gli scrittori contemporanei, e le navi son noverate or quattro, or dieci, or sedici; l'A. dopo lunghissima discussione non lascia un concetto esatto delle sue ragioni, sicchè la questione rimane irresoluta.

Il capitolo si chiude con pochissime righe sulle fanterie siciliane ed i loro comandanti.

Il capitolo quinto comprende l'elenco dei principali cavalieri siciliani, che presero parte nell'armata della Lega. Essi sono in numero di trentasei; ma ventuno erano stati già pubblicati al 1880 dal professore Salomone-Marino nel libro: Dei famosi uomini d'arme siciliani fioriti nel secolo XVI.

Nei due capitoli sesto e settimo l'A. si occupa delle consulte dei comandanti, tenute a Messina, delle loro decisioni, della disposizione della flotta, del viaggio della stessa fino alle Curzolari, della descrizione della battaglia, degli illustri campioni che vi soccombettero.

Negli ultimi tre capitoli il ritorno a Messina dei vincitori e le feste; il trionfo di don Giovanni d'Austria, le lodi che i poeti tributarongli, le ambasciate, le onoranze di Palermo.

Chiude il libro un'appendice di venti documenti, dei quali alcuni sono inediti.

Gli studiosi debbono essere molto grati al barone di Montechiaro del suo contributo alle patrie memorie, e noi vogliamo augurarci che l'egregio A. seguitando nel nobile arringo, abbia minor fretta nel pubblicare i suoi lavori, e sappia un po' meglio armonizzarne e proporzionarne le parti. FERDINANDO LIONTI.

Campagne del Principe Eugenio di Savoia. Opera pubblicata dalla divisione storica militare dell'i. e r. Archivio di guerra austroungarico, fatta tradurre e stampare da S. M. Umberto I, Re d'Italia. Del complesso di questa grandiosa pubblicazione e dei primi suoi tre volumi fu già discorso nella « Rivista storica » (vol. VIII, fasc. IV, anno 1891). Daremo ora un breve sommario del vol. IV, che narra la campagna dell'anno 1702, secondo della guerra per la successione di Spagna. Incomincia collo esporre (pag. 3-37) la situazione politica e militare al principio dell'anno, la quale è riassunta nei termini seguenti:

« L'anno 1702 chiari dunque completamente la situazione militare << e politica nella contesa per la Corona di Spagna.

<< Stavano coll'Imperatore apertamente e pronti in armi gli Stati <<< Uniti Neerlandesi e, della parte tedesca del Romano Impero, i Circoli << della Franconia, dell'Alto-Reno, del Reno elettorale, della Vestfalia «<e l'Elettore Palatino. Inoltre, per virtù di convenzione, davano << truppe ausiliarie o noleggiate la Prussia, la Sassonia, la Danimarca, << il Brunswick-Luneburgo, il Brunswick-Celle, l'Assia-Cassel ed altri << minori Principi tedeschi. E in Italia aderivano pure, benchè passi<< vamente, alla causa imperiale i Duchi di Guastalla e di Modena e << la Principessa di Mirandola.

<< Dall'altra parte, per la Francia, stavano la Spagna coi suoi dominii << italiani di Napoli e Milano e coi Paesi Bassi spagnuoli, il Duca di << Savoia, l'Elettore tedesco di Baviera, l'Elettore tedesco di Colonia, i << Duchi di Mantova, Parma e Castiglione e la ribellione ungherese.

<< Neutralità esitante, ma proclive alla Francia, osservavano il Papa, << la Repubblica di Venezia e la Toscana; la Svizzera dava a soldo << truppe alle due parti; la Turchia tacita covava il suo corruccio, << curando le sue ferite di S. Gothard, di Vienna, di Monte Harsány, << di Belgrado, Nissa, Szlankamen e Zenta ».

Segue (pag. 41-62) la esposizione degli apparecchi per la guerra fatti dalle Potenze belligeranti, i quali, solleciti e poderosi nella ricca Francia ove imperava assoluta la volontà del Sovrano, furono lenti e scarsi nello stremato Impero ove il difettoso ordinamento statale era a volta a volta peggiorato tanto dall'azione quanto dall' inerzia d'una burocrazia pigra ed impicciosa, ove le Diete paesane erano restie ad accordare i contributi necessarii per le spese militari, e anche dopo di averli concessi ne indugiavano il pagamento. Aggiungasi che a capo del Consiglio aulico di guerra stava un uomo (Mansfeld) fiacco, inesperto, vecchio, acciaccoso, in una parola inetto a quell'alto ufficio in quei difficili frangenti.

Poi è narrata (pag. 65-356) molto particolareggiatamente la campagna in Italia. Le forze comandate dal Principe Eugenio avrebbero

dovuto essere circa 32 000 fanti e 14 000 cavalieri con 64 cannoni leggieri (da 3 libbre), 12 gravi e 4 mortai, ma in realtà non erano che 24 000 fanti e 11 000 cavalieri. Queste truppe erano accantonate sulle due rive del Po, attorno a Mantova e nel territorio circoscritto ad ovest dall'Oglio (da Ostiano in giù) e dal Crostolo, a sud dalla linea Novellara-Mirandola, ad est dal Tione, a nord dalla linea ValeggioCastiglione delle Stiviere.

L'Armata gallispana, che in principio dell'anno aveva una forza effettiva di circa 28 000 fanti e 7000 cavalli con un numero non precisato di cannoni e che andò via via aumentando pel sopraggiungere di grossi rinforzi, stava col nerbo principale, comandato dal Maresciallo Villeroy, in Cremona e dintorni; il resto in Milano, nel Monferrato, sull'Adda, ecc., più un corpo (Tessẻ) distaccato in Mantova.

Benchè scarse fossero le truppe imperiali in Italia, a Vienna, per istigazione dei fuorusciti napoletani, avrebbesi voluto che Eugenio spiccasse dalla sua piccola Armata un grosso distaccamento verso Napoli per suscitarvi una sollevazione; l'avere attraversato questo disegno va ascritto a merito del Principe, ma egli allora incontrò per ciò molte critiche e spiacevolezze.

Prima che di Francia giungessero al Villeroy gli attesi rinforzi, Eugenio volle tentare un'audacissima sorpresa a Cremona. Dal prete Antonio Cosoli aveva saputo d'una fogna asciutta, che dal fosso di cinta della città andava a metter capo nella cantina del Cosoli, per la quale era possibile penetrare di soppiatto nella fortezza. Alla sordina, ma energicamente e presto fu predisposta la temeraria impresa (V. pag. 83 del vol.), che riuscì soltanto a mezzo pel concorso di circostanze imprevedute e in parte imprevedibili. All'alba del 1° febbraio il Principe penetrò in Cremona con poche truppe; in conseguenza del pessimo stato delle strade, rammollite da una gran pioggia, uno dei due corpi che dovevano venirgli a rincalzo arrivò in ritardo, ma non tanto da non partecipare all' azione, l'altro invece, che veniva dalla destra del Po, giunse soltanto verso sera, quando i Francesi avevano già incendiato il ponte, ed Eugenio, dopo di avere per 10 ore strenuamente combattuto contro forze più che doppie delle sue, aveva già dato il segnale della ritirata. Questa fu eseguita in buon ordine e senza molestie da parte avversaria, sicchè gl'imperiali trassero secoloro prigionieri lo stesso Maresciallo Villeroy, più di 60 ufficiali, circa 300 soldati, oltre la preda di 5 stendardi, 3 bandiere e 500 cavalli. Le conseguenze morali di quella impresa equivalsero a quelle d'una vittoria, tanto fu lo sgomento dei Francesi e il giubilo degl' imperiali. I quali anche materialmente ne trassero un notevole vantaggio, perocchè i Francesi restrinsero i loro alloggiamenti, ed Eugenio potè allargare la sua sfera d'occupazione e d'approvvigionamento.

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