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DOMENICO CARUTTI, Storia della Corte di Savoia durante la Rivoluzione e l'Impero francese. L. Roux e C. ed. Torino-Roma, 1892.

Il Barone Carutti consacra questi anni della sua ancor florida vecchiezza a proseguire l'illustrazione della storia subalpina, e, con questi due bei volumi pubblicati dal Roux, riprende a narrare la storia degli Stati di S. M. il Re di Sardegna dalla morte di Carlo Emanuele III alla ristorazione della monarchia avvenuta nel 1814. Volle intitolare questi volumi: Storia della Corte, ecc., ma l'opera dà più di quello che il titolo prometta; è un difetto, ma meno comune del difetto opposto, come il lettore sa bene.

Gli anni a' quali rivolse ora la sua attenzione il Carutti sono de' più lagrimevoli per la Storia della Casa di Savoia; conviene risalire alla prima metà del secolo XVI per trovarne d'altrettanto tristi. Vittorio Amedeo III, fedele all'alleanza austriaca, malgrado le tentazioni della Francia rivoluzionaria, n'è mal compensato dal malfido alleato, e la sua predizione si verifica: i Francesi giunti una volta in Piemonte, s' impadroniscono anche de' due Ducati di Milano e di Mantova. Ad onore de' vinti sta questo: che il vincitore era il più grande uomo di guerra de' tempi moderni, e faceva omaggio egli stesso alla prodezza de' suoi antagonisti.

Carlo Emanuele IV ereditava nel 1796 la « corona di spine », come egli la chiamava, e come fu per lui difatti quel serto stesso che pur di si viva luce aveva brillato sulla fronte di Vittorio Amedeo II e di Carlo Emanuele III. Altro che la politica ardimentosa di cui parlava fin dal 1792 Giuseppe Gorani ! (1). Il Piemonte era occupato da' Francesi che vi stabilivano la repubblica; diventava, non molto di poi, una provincia francese, e il Re riparava in Sardegna (2). Le vittorie austrorusse, di cui l'Austria voleva cupidamente profittare, a solo proprio vantaggio e con sacrificio degli alleati, lo aveano egualmente stomacato degli amici e de' nemici; sopravvennero poi Marengo e la pace

(1) Non alludo all'opera in cui il venturiero lombardo notomizzava la monarchia sarda, la quale non fu stampata e andò perduta, alla pari dell'altra che s'intitolava: Osservazioni sulla città e repubblica di Genova. Alludo bensì alla famosa lettera diretta al Re di Sardegna da Parigi il 1° settembre 1792; essa è compresa fra quelle Lettere a' sovrani, che più volte vennero poi stampate come predizioni. La edizione prima reca il titolo: Lettres aux Souverains sur la Rév. Franç. par J. Gorani citoyen français, à son ami Ch. Pougens à Paris chez Guill. Junior. Quai des Augustins M DCC XC III l'an IId de la Rév. Fr. (un vol. en 8o de pp. 108). Detta lettera al Re di Sardegna, è riprodotta in parte da MARC Monnier a p. 282 del suo brillante volume sul Gorani pubblicato dal Lévy a Parigi nel 1885. V. pure CUSANI, Il Conte G. Gorani ( Arch. Stor. Lomb. », 31 dicembre 1878).

(2) Oltre a' documenti citati dal CARUTTI, V. quelli pubblicati dal FRANCHETTI così nel testo della sua Storia d'Italia dal 1789 al 1799 (cap. V, § 10, p. 335), come nella nota 3a al cap. V (p. 411) nota che s'intitola appunto Della caduta di re C. Em. IV di Savoia e de' buoni uffici usatigli dalla Corte di Berlino ».

d'Amiens a troncare le ultime speranze del re, ed egli abdicò in favore di suo fratello il Duca d'Aosta, che assunse la corona il 1802 col nome di Vittorio Emanuele I.

Il Piemonte dopo il governo dei tre Carli (Bossi, Botta e Giulio) fu annesso alla Francia col nome di 27a Divisione militare « perciò la sua storia finisce e si occulta in quella di Francia come rivolo in fiume, nè ricomincia se non nel 1814 col ritorno del re». Nondimeno a' gravi capitoli in cui ha narrata la ristorazione del 1814 e i fatti diplomatici, politici e militari di quell'importante biennio 1814-1815, il Carutti ne ha fatti precedere tre: La Corte di Savoia in Roma Il re in Sardegna L'impero Napoleonico in Piemonte. Di questi il secondo tratta l'importante questione del matrimonio della principessa Beatrice di Savoia coll'arciduca Francesco d'Austria-Este e delle brighe austriache per escludere il ramo di Carignano dal succedere nel regno, e l'ultimo ragguppa insieme varii fatti non ignorati, ma caratteristici per tratteggiare la società e il governo a Torino dal 1802 al 1804. Per questo capitolo oltre che dello Sclopis e di Nicomede Bianchi nelle classiche loro opere, il Carutti si è servito degl'interessanti ricordi, che leggonsi nel tomo VI delle Memorie di Beniamino Constant, sulla corte di quel Camillo Borghese, che fu il padrino d'un altro Camillo, ben altrimenti celebre: ossia del Conte di Cavour. Per esprimere il sentimento che si destò nelle popolazioni quando l'edificio napoleonico cominciò a far sentire quel misterioso scricchiolio che era foriero della prossima caduta, giustamente il Carutti ha riferite le parole di Massimo D'Azeglio: « Quale fu lo sbalordimento della numerosa classe d'uomini che si sentivano schiacciati sotto quell' enorme peso fuor d'ogni speranza di salute, e sdegnosi pur sempre d'un tanto danno e d'una tanta vergogna, quando sorse loro il primo barlume di una possibile redenzione! Quando si sparse portata, si può dire, sul vento, la prima voce: Napoleone è vinto! Napoleone si ritira!....... » (1). Ma a proposito de' fatti narrati e delle trattative diplomatiche riferite e discusse dal senatore Carutti, non sarà inutile ricordare che il suo starsene quasi sempre attaccato esclusivamente a' documenti dell'Archivio

(1) Il folklore ci dà questi sentimenti in istrofe espressive, se non sempre molto dilette alle Muse. P. e. le seguenti fanno parte d'una canzone che cantavasi in Piemonte dopo il disastro di Russia:

Non più ladri politici,
Colla pistola in mano,
Il tributo inumano
Ci verranno a rapir.

Non più del morto padre

L'eredità già mia
A legge avara e ria
Soggetta ancor sarà.

Non più la legge barbara
Di crudel coscrizione
Mena alla perdizione
La nostra gioventù.

Non ho modo di riscontrare se leggansi fra i canti pubblicati da C. NIGRA. Io le traggo da un opuscolo stampato da A. BossoLA per nozze Gioja-Bossi (Spezia. Tip. Artistica) e intitolato: Saggio di canzoni popolari.

Torinese(1) lascia all'esposizione delle lacune, che facilmente egli avrebbe evitato allargando l'esame ad altri documenti, e facendone quell'uso giudizioso che, con tanti passati suoi scritti, ha mostrato di saperne fare. Si fosse giovato di quest' altri documenti, anche senza citarne con precisione la provenienza; si fosse servito di molte più monografie che non ha fatto, anche senza darcene una scrupolosa citazione bibliografica, gli saremmo stati grati egualmente; sappiamo bene che ad un veterano odiatore di certi sistemi moderni anche in ciò che hanno di buono, non si può chiedere rinunci, per amor nostro, alle sue abitudini! Sono piccolezze, dirà qualcuno; voi volete, dirà un altro, che scrittori incanutiti negli studi scrivano come piace a' critici novellini. Risponderò ch'io questo solo desidero: che un'opera risulti il meglio possibile, specialmente quando reca in fronte il nome d'un valoroso; anche per gli scrittori vale il vecchio proverbio: Noblesse oblige! G. BIGONI.

GIUSEPPE COSTETTI, La Compagnia reale sarda e il teatro italiano dal 1821 al 1855, con prefazione di LEONE FORTIS, in-8°, pp. XXVIII-230. Milano, Max Kantorowicz, 1893.

I quattro ultimi re di Sardegna ebbero al loro stipendio la Compagnia drammatica che portò con molto onore il nome di Compagnia reale sarda. La fondo Vittorio Emanuele I colla provvisione del 28 giugno 1820, assegnandole 50.000 lire di dotazione annua, ma non potè come sovrano incoraggiarne i primi passi, perchè essa cominciò le sue recite negli ultimi d'aprile del '21 dopo l'abdicazione del suo fondatore: Carlo Felice invece l'ebbe cara è nota la sua passione un po'

sui generis pel teatro e son tradizionali i grissini con cui soleva riconfortarsi lo stomaco durante la rappresentazione: però negli ultimi del regno fu sul punto di scioglierla. Con Carlo Alberto fu scemata di ventimila lire la dotazione annua, ma la Compagnia prosperò ugualmente, anzi toccò col 37 l'apogeo per numero e valore di artisti, ricchezza di repertorio, frequenza di pubblico in Piemonte e fuori, chè col '24 aveva ottenuto di poter recitare in certe stagioni anche negli altri teatri della penisola. Le libertà costituzionali le furono dannose: si vide tolti i molti privilegi di cui godeva, confermato solo transitoriamente il sussidio, ancor diminuito, finchè dopo soli cinque anni del regno di Vittorio Emanuele II poco tenero d'altronde di spettacoli teatrali che non fossero le azioni coreografiche o

(1) Su questo e sulle questioni sollevate in proposito dal Perrero, mi sia permesso rinviare il benevolo lettore ad un mio articolo inserito nella Biblioteca delle scuole classiche italiane, di quest'anno 1894.

i circhi equestri - fu privata anche di quel poco che le era stato lasciato e ridotta col nome onorifico degnamente portato sino allora alle condizioni delle altre compagnie girovaganti da un capo all'altro d'Italia.

Si sciolse col '55, ma ne rimase lungamente memoria nelle tradizioni dei pubblici ed in particolare del torinese e del mondo comico. Vivono tuttora alcuni degli ultimi rappresentanti di questo periodo glorioso del teatro drammatico italiano, quali Adelaide Ristori ed Ernesto Rossi, e i nomi degli astri maggiori della Compagnia reale sarda rammentano anche dopo tanti anni quanto la Compagnia avesse saputo elevarsi al disopra delle altre sue contemporanee per metodo di recitazione, affiatamento, dignità di vita, profondo amore dell'arte. Questa bella pagina della storia del teatro nel nostro secolo, che segna una grande benemerenza della dinastia sabauda, non era mai stata finora oggetto di una compiuta trattazione. Ce l'ha data ora il Costetti, applaudito autore drammatico, e spigliato narratore di aneddoti teatrali. Chi non ha letto con piacere le Figurine del teatro di prosa e le Confessioni d'un autore drammatico? A presentare con garbo ed arguzia i mille aspetti curiosi della vita di palcoscenico non si richiede quella preparazione lunga e coscienziosa, che vuole invece una monografia storica. Perciò il C. che non è, si vede, troppo avvezzo a raccoglier materiale erudito, a sfogliar cataloghi e a prender appunti, ci pare soverchiamente incensato dal Fortis, nella prefazione al lavoro. Non « una monografia diligente, accurata, scritta con acume di critico, ed eleganza di forma» ci ha dato ora il C.; ha solo radunato in forma di annali, poichè partisce la materia in tanti capitoletti quanti furono gli anni di vita della Compagnia, un certo numero di notizie, non tutte peregrine, intorno ad essa ed alle condizioni del teatro italiano durante circa sette lustri.

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Alcune altre Compagnie sussidiate dopo l'italiana del primo regno italico si ebbero durante il periodo di cui tratta il C., la reale di Napoli col Fabbrichesi, la ducale modenese col Romagnoli, la ducale parmense col Mascherpa. Sarebbe stato interessante poichè si prometteva la storia del teatro italiano dal '21 al '55 vedere come e perchè la sarda vivesse più a lungo e avesse maggior fama. Di questo tace completamente il C., lasciando anche da parte quei confronti, che venivan da sè colle Compagnie stabili estere ed in particolare colli ordinamenti che reggono in Francia i teatri « sovvenzionati ». La Compagnia reale recitò non solo a Torino e a Genova, ma in molti altri teatri italiani, i cui archivi hanno serbato molte memorie di quei famosi artisti. La critica artistica, che aveva di già il suo posto nei giornali ufficiali e nelle effemeridi letterarie della Lombardia, del Veneto, della Toscana, ecc., si esercitò anche intorno

alla Compagnia reale e dà notizie a chi sappia sceglierle preziose sulle condizioni del teatro, sulle tendenze del pubblico, sull'arte degli attori. È così difficile formarsi un'idea del fascino esercitato da un attore sul pubblico, quando son cambiati e gusto e moda, che ci ha la sua parte, che anche questa fonte d'informazione non era trascurabile. Neanche Felice Romani, che per molti anni pontificò dalle colonne della Gazzetta ufficiale piemontese, è rammentato, ed è davvero ingiusta e dannosa dimenticanza!

e

Il C. ha compilato un elenco delle produzioni italiane del repertorio della compagnia. Non tutte quelle che gabella per italiane, sono originali, nè son sempre giuste le attribuzioni ad autori celebrati di produzioni, che furono invece o semplici adattamenti o lavori di autori rimasti oscuri. Così Antonio Zanchi Berletti da Ostiglia e non Cesare Cantù diede nel '45 una Margherita Pusterla, così il famoso dramma i Due Sergenti non è del Roti, ma del D'Aubigny: il Roti traducendolo vi aggiunse solo qualche poco di suo, ecc. Molti altri appunti si potrebbero fare al libro del C.; principale la fretta con cui appare compilato e se ne risente anche la forma spesso trasandata la nessuna cura nella revisione. Sarebbe far torto ad un autore anche meno favorevolmente noto attribuire ad altra cagione le sviste grossolane che s'incontrano ad ogni piè sospinto. Il proclama di Astorre Santa Rosa, marzo 1821 (p. 10); il sistema allopatico del similia similibus (p. 24); Alberto Nota intendente successivamente a Bobbio, San Remo, Pinerolo, Cuneo prima del '22, mentre quando diede l'Alexina era a San Remo e solo più tardi ebbe le altre due residenze (p. 25); Carlotta Malfatti per Carlotta Marchionni, di cui ha parlato solo nel periodo antecedente (p. 44); l'insuccesso dell'Aiace del Foscolo alla Scala nel '14, che fu il 9 dicembre dell'11 e neanche proprio insuccesso (p. 61); Carlo Alberto re d'Italia che emana una provvisione nel '31 (pag. 88); David Chiassone per Chiossone (pagina 118), ecc. ecc.

Y.

A. M. STOK VIS, Manuel d'histoire, de généalogie et de chronologie de tous les états du Globe. Leide, E. J. Brill, 1888-1893, 3 vol.

È lavoro di lunga lena più che non paia, richiede discernimento nella scelta dei materiali per la compilazione ed anche una profonda conoscenza della storia particolare d'ogni paese.

L'opera è divisa in due parti, nella prima sono comprese le notizie storiche e cronologiche riguardanti le quattro parti del mondo estranee all'Europa, nella seconda, contenuta in due volumi, sono compresi gli Stati d'Europa e le loro colonie. Dopo un breve cenno storico delle vicende d'ogni regione, dei popoli che la occuparono, delle divisioni

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