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rinesi a quelli che sono curiosi di conoscere le vicende di quell'antico paese. E lo scopo, a mio vedere, è stato conseguito pienamente: il lavoro, unico nel suo genere, è letto volontieri a S. Marino e fuori; e diversi stranieri, inglesi e francesi specialmente, cacciatori di croci e di commende, altro non fecero, scrivendo storie e saggi sulla Repubblica, che copiar male e spesso fraintendere qualche capitolo della storia del Fattori. Dobbiamo dunque esser grati a lui, che oggi regge la suprema magistratura della Repubblica, se la storia del più antico degli Stati d'Europa può essere facilmente conosciuta da ogni qualità di lettori. P. BOSCHI.

DOMENICO CARUTTI, La storia della città di Pinerolo. Pinerolo, Chiantore, 1893.

Se è fuori contestazione che le storie particolari de' municipii concorrono potentemente alla costituzione della storia generale della nazione, dobbiamo rallegrarci che da alcuni anni in qua il notevole risveglio degli studii storici in genere, e sulle vicende dei municipii nostri lascia presagire, che non sarà troppo lontano il giorno in cui i principali di essi avranno tutti la loro storia. Qual pregio e quale importanza abbia poi a ricevere la storia generale, fondata su tali elementi, ciascuno lo può facilmente concepire. Premesse queste due linee d'introduzione, dobbiamo notare tosto, come fra i Comuni delle nostre regioni subalpine, Pinerolo, uno de' più prestanti per i fatti guerreschi succeduti nella sua circoscrizione, e per tanti e poi tanti altri pietosi e patetici, s'ebbe la sorte di avere in quest'anno istesso due affezionati studiosi che dedicarono le loro fatiche ad illustrarlo, col ritrarre le antiche sue vicende: Alberto Pittavino, giovane non privo d'ingegno, cultore dell'arte tipografica, e da parecchio tempo membro di quell'amministrazione comunale, dava fuori la sua Storia di Pinerolo e del suo circondario narrata al popolo. E non puossi nè devesi disconoscere ch'egli, tanto più avuto riguardo alle cure ond'è distolto, non lasciò di consacrarsi ad opera di non lieve fatica per lui, e secondando il fine che erasi proposto, riuscì affatto nel suo scopo; e la sua narrazione viene sino agli anni correnti. Ma non è di questo lavoro che noi intendiamo discorrere: bensì di quello dell'illustre senatore Domenico Carutti, il provetto storico della Monarchia Sabauda, il valoroso espositore delle varie geste della sua diplomazia. Rampollo di antica ed onorevole famiglia, che da secoli trapiantatasi sulle rive del Chisone, tenne uffici in Pinerolo, ebbe possedimenti e ville nella ridente e vaga Cumiana, il Carutti trascorreva parecchi anni in quella città, nella quale anzi aveva persino modestamente determinato di passare gli ultimi suoi anni di onorato e quieto riposo, ove il volere del suo Sovrano non l'avesse chiamato a reggere nell'antica Torino la ca

rica letteraria palatina affidatagli, e ch'egli esercita colla diligente e coscienziosa applicazione giornaliera, da potersene additare l'esempio a qualunque pubblico uffiziale ed a quelli stessi (e pur troppo sono il maggior numero), che sebbene in sui primordi della loro carriera, svogliati e di mal in cuore adempiono ai loro doveri. Con affetto adunque di figlio egli consacrava le sue dotte fatiche ad innalzare un monumento alla patria de' suoi maggiori, la quale prima del suo libro aveva bensi alcune monografie, fra cui tre o quattro assai buone, altre di nissun valore storico.

Il barone Carutti, con quella sobrietà di giudizi, con quell'argutezza di ricerche che ti ricordano sempre l'invidiabile scrittore del primo suo studio storico, la Storia del regno di Vittorio Amedeo II, così fedele al noto precetto oraziano: In verbis etiam tenuis cautusque serendis ... etc., non venne meno al compito assuntosi, che men facile in altri dell'età sua, non grave, ma alquanto già inoltrata, in lui denota pur sempre quella lucidità e freschezza di mente, da far invidia ai nostri giovani. E sì che i punti trattati dal nostro autore sono parecchi, di genere affatto diverso, di età tutte differenti, e di non guari facile maneggio. Cominciando dai tempi più antichi, da quelli almeno su cui si può già avere qualche notizia certa, e venendo sino a quelli recenti, de' quali discorse, egli seppe mantenere la stessa serena temperanza di giudizi e forza di critica, privilegio sempre di pochi. Senza lasciar troppo scorgere l'aridezza di certe disquisizioni, a trattar le quali un puro erudito consumerebbe pagine intiere di narrazione che non tutti sono sempre in grado di apprezzare, il Carutti non fugge le difficoltà diplomatiche e cronologiche, ma sa presentartele ammanite di guisa, che non t'accorgi quasi per qual erto calle ti convenga procedere nel tuo cammino.

Quindi, e il dominio dei Longobardi, poi de' Carolingi, indi del vescovo di Torino concedutogli da un diploma Ottoniano del 995 o 996, esercito poscia dagli abati di S. Maria, in appresso dai conti di Torino e dalla ben nota e celebre contessa Adelaide di Susa, per mezzo della quale passò Pinerolo nella dizione della dinastia Sabauda, occupano alcuni capi che contengono il segreto di rendere famigliari e degne di essere lette intieramente disquisizioni, che a molti potrebbero parere ostiche; e trattate da inesperti e persin troppo eruditi, se è lecito dir così, sono omesse affatto.

Notevole parte tiene in quest'opera, per quanto trattata in modo sintetico, la dominazione dei principi d'Acaia, che fecero di Pinerolo. la città capitale del piccolo loro Stato: fortunata città che riusci così a ricevere ingentilimento ne' costumi, essere onorata di frequenza di forestieri e di uomini di alto affare che capitavano a quella Corte, ed a cui non mancò, fra i giocolieri e cantastorie, qualche poeta ed ar

tista, che lasciarono tracce, che raramente però ancor si vedono oggidi. Il Carutti nel trattare la dominazione dei quattro principi di Acaia non lascia di descrivere avvenimenti e fatti che si rannodano a questa: e così ci trasmette notizie sullo stabilimento dell'Inquisizione tra il 1297 e il 1301, che originatasi in Perosa propagossi in Val di Luserna e in Angrogna, non senza farvi vittime, che non potevano mancare colla presenza di abitanti dissidenti dalla chiesa romana. Così del paro egli ci fa conoscere i primordi di confrerie religiose ed ospedaliere, di monasteri, di società di arti e mestieri, donde anche a Pinerolo si originarono le società popolari, e di conseguente gli ospizi assai noti de' nobili, emulando così le città di Asti, Chieri, Savigliano e via dicendo. E in appendice al capo in cui tratta quest'argomento egli riferisce un importante documento dell'anno 1337, che fu emanazione del principe Giacomo di Acaia.

Accennando il nostro autore agli ordinamenti militari, consacra un capo speciale per discorrere della famosa compagnia chiamatasi del Fiore, e così denominata, forse da quel venturiero Umberto del Fiore che colle sue bande aveva militato una trentina d'anni prima sotto i vessilli del principe Filippo d'Acaia. L'importanza di questo documento di storia nostra militare non isfuggiva al certo al Carutti, il quale notando, esserci stato trasmesso dal notaro ducale Maonerio, e di averne avuto conoscenza dal cenno datone a'suoi di dal Cibrario, soggiugneva indi che quegli statuti meriterebbero di essere divulgati colle stampe...» (p. 231). Ma il nostro autore era stato antivenuto nel suo desiderio da altri, poichè gli statuti della società del Fiore venivano pubblicati con prefazione storica negli Atti dell'anno 1881 dell'Accademia delle scienze dal socio G. Claretta.

Il libro quarto comprende la storia di Pinerolo sotto i duchi di Savoia; ed anche in questa parte pregevoli sono le notizie che il barone Carutti potè raccogliere, e da documenti e da scritti parecchi, in questi ultimi tempi pubblicatisi. Sull'arte della lana e sui suoi statuti del 1440 egli potè giovarsi assai, p. e., del bel lavoro del prof. Albino Caffaro, Sull'arte del lanificio in Pinerolo e gli statuti di essa, che vide la luce pochi mesi sono nel volume XXX della Miscellanea di storia italiana. Egli poi dà i nomi di parecchi di quei mercanti e trafficanti, che furono la propaggine di alcune famiglie, le quali giunsero col tempo a conseguire dignità e feudi.

Ed ecco il Carutti ad arare un campo, già solcato da molti altri precedenti scrittori, ma con resultanze diverse assai negli uni e negli altri, ed in ben pochi soddisfacenti, vo' dire la lotta coi dissidenti valdesi. Egli comincia dalla prima persecuzione avvenuta nel 1488 sotto il duca di Savoia Carlo I, e ne parla a varie riprese nei secoli XVI e successivi sotto la dominazione francese e sotto quella dei nostri

luchi: e non solamente senza passione alcuna, o minor ossequio ai sentimenti del giusto e dell'equo, ma nemmeno con severità, come avrebbe potuto sembrare a qualcuno. Scrittore grave, di temperati consigli com'è il Carutti, egli sa abbastanza, come a suo tempo riconoscere i torti dei Valdesi quando «... abbandonate le credenze avite e accettate quelle di Calvino, ricevevano i ministri e i maestri da Ginevra ribellatasi a Carlo III... quando ..... con essi eransi pure introdotti non pochi Ugonotti francesi, torbidi e nemici di quiete .... quando i ministri ginevrini insieme colle riprovate dottrine religiose altre ne insinuavano disformi dalle ragioni del principato e gli Ugonotti soffiavano nel fuoco...». Così altrove <<... non essere in dubbio di condannare senza reticenze i mezzi di cui talor si valsero i cattolici sobillatori del Governo, specie di Carlo Emanuele II, a commettere atti riprovevoli contro di loro. Quindi, e le moltiplicate, nè sempre opportune missioni, lo strappar ai genitori eretici, per educarli altrimenti, i piccoli fanciulli, la violazione di concessioni che si stiracchiavano da ambedue le parti, talor con non affatto giusta interpretazione...», sono affatto condannate dal nostro autore, che, pag. 401, ben nota che « ... se colpe e delitti erano stati commessi, non doveano rimanere senza castigo, ma (accennando alla spedizione del 1655) ei soggiunge delitto fu il castigarli sopra una intiera popolazione e sopra tanti innocenti... ».

Frammezzo alla narrazione degli avvenimenti politici e guerreschi, che molti e di varia indole furono nei secoli XVI e XVII, il Carutti consacra alcuni capi per farci conoscere lo stato della Chiesa di Pinerolo, con qualche notizia artistica qua e là seminata, l'origine e il progresso di varie congregazioni religiose, l'introduzione dell'arte tipografica, con data certa all'anno 1479, gli atti di conferimento di cittadinanza per parte del Comune, o ad uffiziali benemeriti, o ad introduttori di arti.

Nel libro quinto sono compresi gli avvenimenti dal 1630 all'età presente. E non è a dir che molte sono le notizie raccolte da lui sui periodi delle occupazioni francesi di Pinerolo. Interessantissimo poi il capo III, La cittadella e i prigionieri celebri, nel quale il nostro storico non si abbandona a puerili conghietture, a sogni di romanzieri, ma fondandosi sul sodo, rivela sol quel che gli consentono i documenti o direttamente od indirettamente, senz'avventurare opinioni fallaci; e viene a questa bella conclusione dicendo, che se nelle mura della rocca pinerolese furonvi sospiri e gemiti, « ... colà niuno di quei miseri portò maschera pesante o leggera, di ferro o d'altro. Non vi sospirò, non vi pianse un principe reale, non un grande della terra: vi pati un uomo di condizione mezzana, accusato, secondochè affermò il ministro Louvois, di abuso di confidenza, tantochè, a scusa di chi lo fe' patire, non è lecito invocare neanche la crudele ragione di Stato che colle

...

dure sue necessità coprisse delitti ». E da tutto questo dibattito il Carutti fa questo grave monito, di cui dovrebbero trar pro, tanto più i giovani scrittori, che formicolano con tanta frequenza oggi giorno : « .... La critica oggi, se non mi inganno, può fare qualche altro passo senza avventurarsi per gli allettevoli sentieri delle congetture campate in aria...». E questa sentenza dovrebb'essere meditata non solamente da coloro che dopo l'ermeneutica messa dal Carutti a profitto di tale indagine s'incocciassero ancora a volere scoprire qual fosse il famoso prigioniero pinerolese dalla maschera di ferro, ma tanto più da quanti si consacrano a disquisizioni di ben maggior momento, e forse talora senza comprenderne abbastanza la portata. Del resto i capi nei quali il Carutti tratta l'argomento del prigioniero della maschera di ferro sono i più lunghi della sua opera, e sotto certo aspetto offrono grande attrattiva, essendo sino al giorno d'oggi le sue argomentazioni ed osservazioni le più appaganti su quel soggetto.

Ma ci manca lo spazio a dir oltre; e non la finiremmo così presto ove volessimo seguir a passo a passo l'autore nell'accennare anche sommariamente alla molteplicità dei fatti esposti da lui, sia nel rappresentare gli avvenimenti politici, le fasi della vita civile di quei popoli, le notizie sulle famiglie de' magnati della valle, sia nel darci preziosi dati statistici sacri e profani.

E quasichè 545 pagine di testo non fossero ancor sufficienti, egli volle aggiungervi appendici, contenenti uno specchio cronologico delle cose degne di ricordo, dalla ristorazione del 1814 all'anno 1891, notizie sommarie su alcuni pinerolesi illustri e notabili, sui vescovi della moderna sua diocesi, sui suoi reggitori giudiziari ed amministrativi, dai tempi remoti ai recenti, ecc. Anche l'epigrafia non fu trascurata dal nostro autore, che ebbe mezzo di chiudere la faticosa sua opera con una collezione d'iscrizioni, che in numero di ottantacinque illustrano gli uomini e i fatti degni di ricordo avvenuti nelle ridenti, fresche ed ubertose valli pinerolesi.

Resi i dovuti elogi, non al certo per piacenteria, ma per dovere di giustizia, all'illustre storiografo di Pinerolo, dovrassi dissimulare che sulle 639 pagine di testo, alle quali susseguono ancora sedici altre di utile indice analitico, non sia all'autore sfuggita alcuna menda o cronologica o di scambio di qualche fatto o di persone! Qual è il libro che possa esserne privo? Una perfezione simile sarà sempre un pio desiderio, nè mai da pretendersi dagli scrittori per quanto illustri, per quanto forniti di sublime criterio, che soli, senza altrui sussidio, si sobbarcano ad imprese siffatte, seminate di ogni genere di difficoltà. Noi intanto, senza tema di errare, auguriamo ad ogni Comune italiano di avere uno storico veridico, elegante e coscienzioso al pari di quello che toccò a Pinerolo. X.

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