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NOTE BIBLIOGRAFICHE

I. STORIA POLITICA

(Recenti pubblicazioni sul Risorgimento Italiano).

Si affollano le pubblicazioni sul risorgimento italiano, non tutte di grande rilievo: talune semplici rifritture o compilazioni, altre reminiscenze personali non molto notevoli, parecchie però utilissime alla conferma di notizie omai accertate, alla soluzione di questioni ancora sub judice, o come nuovo contributo storico.

In questa breve disamina di parecchie nuove pubblicazioni ritengo opportuno conservare la classificazione altra volta proposta :

1° storie, viaggi, discorsi di carattere generale, che interessano o l'intiera Italia o qualche speciale regione;

2° monografie e reminiscenze personali, riflettenti alcune questioni determinate o taluni aspetti particolari del nostro risorgimento;

3° biografie, bozzetti, o discorsi diretti a ricordare alcuno dei personaggi, ch'ebbero parte alla formazione della nuova Italia.

I.

Appartengono al primo gruppo le opere seguenti:

TIVARONI C., L'Italia durante il dominio austriaco. Tomo II: L'Italia centrale. Torino, L. Roux e C., 1893;

BERSEZIO V., Il regno di Vittorio Emanuele II. Libro settimo. Torino, L. Roux e C., 1893;

Nisco N., Storia civile del regno d'Italia. Vol. VI. Napoli, A. Morano, 1892;

CAPPELLETTI L., Storia di Vittorio Emanuele II e del suo tempo. Vol. II e III. Roma, E. Voghera, 1893;

DE WITTE J., Rome et l'Italie sous Léon XIII. Paris, H. Chapeliez et C.1o, 1892;

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Six mois en Italie. Journal d'une ignorante. Paris, Chamerot et Renouard, 1893;

FALDELLA G., Venticinque anni. Vercelli, Gallardi e Ugo, 1803. PANGRAZIO A., Casa Savoia e la sua missione nella monarchia costituzionale. Torino, G. B. Paravia, 1893;

Il nuovo volume del TIVARONI, L'Italia centrale durante il dominio austriaco, costituisce il quinto della sua storia critica del risorgimento

italiano. È diviso in due parti: La Toscana e Lo Stato pontificio. Nella prima, descritta la ristorazione del granducato con Ferdinando III, esposta l'azione del governo paterno di Leopoldo II, l'A. s'intrattiene più largamente sulle fasi della rivoluzione dal quarantotto sino alla reintegrazione di Leopoldo II; alcune pagine sono dedicate al minuscolo ducato di Lucca. Nella seconda, l'A. segue passo passo i pontificati di Pio VII, di Leone XII, di Pio VIII e di Gregorio XVI; s'arresta in più minuti particolari sul periodo rivoluzionario dall'elezione di Pio IX alla caduta della repubblica romana.

Già più volte, e anche distesamente, s'è fatto menzione nella Rivista della storia critica coraggiosamente intrapresa dal Tivaroni; il mio apprezzamento non s'è mutato alla lettura di questo nuovo volume. Ammiro il largo ingegno e la mente serena, l'amore del vero, la lettura paziente di una miriade di libri ed opuscoli, il condensamento intelligente d'una quantità straordinaria di fatti e dati d'ogni maniera, l'andatura ad un tempo disinvolta e concisa. Però non mi sembra raggiunto l'obbiettivo essenziale d'una storia critica, quando non si ricorre alle fonti, ossia ai documenti diretti, ma ai rivoli, ossia agli scrittori; quando le affermazioni e gli apprezzamenti più eterogenei vengono trascritti senza discussione o vagliatura, che conduca ad un giudizio unico e verace, o almeno più probabile; quando lo stile risente fatalmente di questa intarsiatura di passi di autori, non solo disparati di criterio, ma diversi per modo di scrivere, come Artaud, Anelli, Balleydier, Nicomede Bianchi, Cesare Cantù, D'Azeglio, Fattiboni, Farini, Gennarelli, Guerzoni, La Farina, Jessie Mario, Sclopis, Spada, Vecchi, ecc.

Un esempio solo basterà a chiarire il concetto. Quale fu Grogorio XVI? Sommando insieme quanto ne scrissero il Cipolletta, lo Spada, il Ranalli, il Silvagni, il Pianciani e il Cantù, secondo le citazioni dell' egregio A., Gregorio XVI fu umano, cortese, amorevole, e viceversa ostinato, caparbio, crudo e vendicativo; purissimo di costumi, oscuro alle scaltrezze della corte, dignitoso, e viceversa goloso, lascivo, diffidente, accorto e circospetto, triviale; d'ingegno svegliato, dotto, zelante, d'animo forte, e viceversa pigro, d'idee ristrette, fannullone, egoista. Come raccapezzarsi ?

Il libro settimo del Regno di Vittorio Emanuele II di VITTORIO BERSEZIO (vol. di 638 pagine) comprende il periodo, che si estende dalle elezioni politiche in Piemonte del novembre 1857 alla morte del conte di Cavour (6 giugno 1861): periodo fecondissimo, se si consideri la grande e faticosa opera compiutasi in si breve spazio di tempo.

Non è necessario nè opportuno riassumere il contenuto di questo libro; imperocchè tutti gli Italiani colti sanno, come nel 1858 il go

verno di V. E. iniziasse a Plombières la fortunata alleanza con Napoleone e s'apparecchiasse alla redenzione d'Italia, mentre imperversava la reazione nel lombardo-veneto austriaco, a Modena, a Parma e in Toscana austriacanti, nello Stato papale in preda alle esorbitanze retrive, nel regno delle due Sicilie in balia della crudele tirannide di Ferdinando II; tutti conoscono le vicende della guerra d'indipendenza gloriosamente combattuta nel 1859, e tra il cordoglio universale dei patriotti arrestata a Villafranca; sono note le insurrezioni dei ducati, del granducato toscano e della Romagna e le difficoltà superate per ottenerne l'annessione al regno di Vittorio Emanuele, rinunziando alla Savoia e a Nizza; e niuno ignora la spedizione dei Mille secondata dalle truppe regie invadenti le Marche e l'Umbria, e per gli Abruzzi congiungentisi all'esercito garibaldino sul Volturno; la proclamazione del regno d'Italia e la morte di Cavour chiudono la narrazione.

Dopo tante pubblicazioni non sono più probabili grandi novità, nè speciali rivelazioni sopra quel periodo storico; le nuove monografie chiariranno meglio alcuni particolari o proietteranno più vivida luce sopra qualche personaggio, ma le linee generali più non mutano. Nè il Bersezio ha preteso innovare, ma sintetizzare quanto è universalmente noto, imprimendovi doppiamente il suo suggello personale, e come testimonio degli avvenimenti che narra e come artista. Questa duplice impronta rivela l'animo e il pensiero dello scrittore, e ad un tempo dà forma organica alla narrazione, senza intorbidare la verità con passioni subbiettive, e senza offuscarla con fronzoli vani di vieta rettorica. Chiaro, semplice e ordinato nell'esposizione dei fatti, franco ma imparziale ne' suoi giudizi, patriotta sincero e illuminato attrae il lettore, l'istruisce e lo solleva ad alti ideali di patria.

Lavoro originale e di gran polso è la Storia civile del regno d'Italia di NICCOLA NISCO. Già s'è discorso dei primi cinque volumi; ora con qualche ritardo commemoro il sesto, che comprende le vicende italiche dall'annessione di Venezia (1866) all'occupazione di Roma capitale (1870).

L'A. vissuto in mezzo agli avvenimenti, amico degli statisti più ragguardevoli, e come deputato al parlamento informato di tutto lo svolgimento politico ne' suoi più minuti particolari, era in condizione felice per delinearci la via percorsa dall' Italia moderna per giungere alla meta. Finissima è l'analisi della nostra vita parlamentare in quel quadriennio memorabile, accurato lo studio dei rapporti internazionali segnatamente con l'impero francese, molto ponderato negli apprezzamenti degli uomini e delle cose. Sollevandosi sulle passioni, che allora travagliarono i partiti nazionali, riesce a tracciare con mano sicura tutte le fasi della politica italiana per lo scioglimento della questione

di Roma. Argomento essenziale del volume è veramente questo; sebbene non sieno dimenticati i dibattiti parlamentari relativi ad altri ordini di interessi, specialmente finanziari e militari. Note sono omai le cose narrate; pure si rileggono con vivo interesse, perchè vi si sente l'animo del patriotta contemporaneo agli avvenimenti.

Rincresce, che l'illustre A., pur mirando a scrivere una storia civile, siasi soffermato in questo volume in un campo strettamente politico, anzi quasi esclusivamente parlamentare. Con la sua vasta coltura avrebbe potuto compiere il quadro della vita civile italiana, senza accrescere la mole del volume; solo compendiando il resoconto di talune discussioni parlamentari e la narrazione degli avvenimenti estranei alla storia d'Italia, che talora occupano spazio maggiore che non sia consentito dall'economia e dall'intento dell'opera.

I volumi 2o e 3o della Storia di Vittorio Emanuele II e del suo regno del prof. CAPPELLETTI narrano le vicende del risorgimento italiano dal 1° gennaio 1859 alla morte del gran re (9 gennaio 1878): la guerra d'indipendenza del 1859, le annessioni e la cessione di Nizza e Savoia, la spedizione dei Mille con l'occupazione delle Marche e dell'Umbria e la proclamazione del regno d'Italia, Aspromonte, la convenzione di settembre e il trasferimento della capitale a Firenze, la guerra d'indipendenza del 1866 con l'annessione del Veneto, la spedizione garibaldina del 1867 con Mentana, l'occupazione di Roma e la caduta del poter temporale del papa, l'assodamento del giovine regno all'interno e nell'opinione pubblica europea, l'avvenimento della sinistra al potere e la morte di Vittorio Emanuele.

Non è un'opera originale scritta sulle fonti, essendo notissimi i documenti editi in fine dei volumi, ma una compilazione dedotta da più estese pubblicazioni e da parecchie monografie. C'è merito nella buona disposizione delle materie, nella sincerità dei giudizi non partigiani e nella semplicità del dettato; ma troppo spesso si vedono i fili bianchi dell'imbastitura e si riconoscono i passi o letteralmente ricopiati o compendiati di altre opere; per il che viene a mancare l'uniformità dello stile, sfugge l'impronta dell'Autore e talora ne risente anche l'organismo della narrazione.

Il titolo stesso del volume del barone DE WITTE, Rome et l'Italie sous Leon XIII, fa dubitare della serenità dello scrittore, essendo un oltraggio, per quanto meschino, alla verità storica. Non metterebbe conto di pur menzionarlo per il suo contenuto, non essendo in sostanza che la descrizione d'uno dei soliti viaggi a base di Bädeker con qualche capitolo in più ad esaltazione delle feste vaticane per il giubileo sa

cerdotale di Leone XIII. Ma il commentarlo è utile come nuova rivelazione dei sentimenti del clericalismo francese rispetto all'Italia moderna. Per il De Witte l'Italia è naturalmente l'ingrate nation, qui voudrait entraîner les Français dans une guerre pour les faire écraser par ses formidables alliés et partager avec eux les dépouilles (?); l'Italia insulta tutti i giorni la Francia (?), ed è omai tempo che le vieux lion gaulois risponda alle provocazioni; Umberto I, il poveretto, è costretto a s'appuyer sur une majorité républicaine de cœur e a scegliere per ministri des radicaux sortant des rangs de l'Internationale (?), témoin M. Crispi qui a pour amis tous les communards français (?); la regina, che le peuple appelle' la tedesca’(?) professe des sentiments très gallophobes; Roma, già dimora così salubre sotto il governo papale (!?), è divenuta la ville plus malsaine, non ostante la sua minore mortalità in confronto di quasi tutte le città d'Italia e di gran parte delle capitali d'Europa; persino l'ingegno italiano è divenuto infecondo, difatti qu'a produit, par exemple, la littėrature italienne depuis trente ans (?); per chi nol sapesse è così vivo il sentimento della glorieuse unité nel mezzogiorno d'Italia, che i piemontesi son creduti e chiamati francesi; è poi una vera infamia del nuovo governo l'avere liberata Roma dalle sudicerie del ghetto e le incantevoli rive di Chiaia e Santa Lucia dai pidocchiosi lazzaroni

Si potrebbe continuare per parecchie pagine sullo stesso tenore; ma questi saggi bastano a dimostrare quali sensi di verità, di giustizia e di umanità possano ispirare un clericale francese.

Un altro viaggio di sei mesi in Italia ci offre una signora francese, che troppo modestamente si nasconde sotto la denominazione d'une ignorante. Assai preferibile è quest'ignoranza alla sapienza d'accatto del barone De Witte; perchè si apprendono le impressioni subbiettive, veramente personali, d'una donna colta e gentile. Pur troppo i viaggi d'Italia non escono fuori dal tracciato consuetudinario di Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli; in questo però figurano anche Verona, Padova, Bologna, Ravenna, Siena, Assisi, Perugia, Orvieto; ma intiere regioni e città cospicue, come Torino, Genova, Parma, Pisa, ecc. sono affatto dimenticate.

Sono quasi tutte impressioni artistiche, fine e squisite, riscaldate da un sincero entusiasmo del bello, e illuminate da uno sguardo buono e sereno. Della civiltà, dei costumi e delle qualità nostre si discorre solo nell'ultimo capitolo, ma con criterio molto elevato, con gran cuore e con vivo desiderio del progresso umano. Senza dubbio alcuni apprezzamenti potrebbero discutersi e altri dimostrarsi erronei da noi, che conosciamo più profondamente il nostro paese; ma nel complesso i giudizi sono molto sagaci, e gli augurii alla prosperità dell'Italia così

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