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formità della situazione, e le condizioni morali dell'uomo che da breve tempo aveva acquistato la convinzione della propria superiorità sovra gli altri, danno buon giuoco all'A. per giungere alle conclusioni che egli ricerca. Lo sforzo fisico, l'urto materiale non bastano a risolvere secondo un determinato indirizzo le azioni di guerra: la mente del generale vi concorre e crea l'inaspettato che lo conduce alla vittoria.

Per chiudere la enumerazione dei libri pervenutici nel semestre, citeremo il Manuale di storia militare di V. ROSSETTO, pubblicato tra i Manuali dell'Hoepli. È una corsa a traverso le istituzioni militari e le guerre. Non vi è novità di metodo, nè pensiero organico che raggruppi il libro; però non lo suggeriva lo scopo, trattandosi di un semplice manuale. Ma è commendabile la molteplicità delle notizie che abbracciano tutta la storia dai tempi più antichi agli odierni.

C. FABRIS.

III. STORIA ECCLESIASTICA

Numerose pubblicazioni attinenti alla storia ecclesiastica hanno relazioni intime con la storia dei popoli italiani. Sarà quindi opportuno prenderle in esame e darne qualche cenno, affinchè si consideri la vita nostra sotto i vari suoi aspetti e quindi anche nei riguardi religiosi ed ecclesiastici.

D. KARL MÜLLER, Professor der evangelischen Theologie in Breslau, Kirchengeschichte. Erster Band Freiburg in B., 1892. Cessate le grandi controversie della scuola di Tubinga, è successo un lavoro di ricostruzione meno speculativo e più storico, che ha trasformato nell'ultimo ventennio la storia del Cristianesimo e della Chiesa. Gli antichi manuali per conseguenza, non escluso il celebre del Hase, pervenuto all'undicesima edizione sette anni or sono, non rispondevano più alle condizioni presenti degli studi. E il Müller che da più anni insegna la storia ecclesiastica, sentiva il bisogno di un manuale nuovo, che ordinasse e ristorasse la vasta materia in altro modo. Nè certo altri meglio di lui poteva assolvere con successo il difficile còmpito. Il suo manuale va diviso in due volumi, e il primo, che è il solo sinora apparso abbraccia la storia della Chiesa dalle origini sino all'età di Federico II. Questi tredici secoli vanno suddivisi in due grandi periodi, e ciascuno di essi in due epoche (Zeiträume) ed ogni epoca in sezioni. Il primo periodo si estende fino alla fine del sesto e al prin

cipio del settimo secolo, e comprende l'epoca dalle origini sino alla fine delle grandi persecuzioni nel 324, e quella che gli succede della costituzione della nuova Chiesa imperiale sino alla dissoluzione sua, quando la Curia Romana sempre più si staccò dall'Imperatore d'Oriente. Il secondo periodo segue le fasi della Chiesa occidentale o papale, ed abbraccia anch'esso due epoche, la prima che dal tempo delle controversie monoteletiche va sino allo scisma di Fozio, e allo scadimento della Chiesa e della cultura occidentale dall'ultimo terzo del nono secolo sino alla metà del decimo; la seconda che ha principio dal movimento di riforma culminante in Gregorio VII e si estende sino al tempo dei maggiori trionfi del Papato verso l'anno 1270. Per mostrare l'indole ed il valore del manuale darò il sunto dei due primi capitoli, che trattano gli argomenti di maggiore importanza sulla storia della Chiesa. I precedenti storici del Cristianesimo sono da una parte il paganesimo greco-romano e dall'altra il giudaismo, e qualunque manuale non può escire da quei dati. Ma laddove Hase nel parlare del paganesimo, crede opportuno indugiarsi sui tratti caratteristici del politeismo greco, e sull'indole del popolo e della religiosità Romana, il Müller va più diritto al suo scopo, e non tratta se non di quel sincretismo in che le religioni occidentali ed orientali si fondevano insieme quando nacque Cristo. Parimenti del Giudaismo è con molto accorgimento rilevato a preferenza il Profetismo, che, come è noto, è l'immediato precursore del Cristianesimo. Sobrio e scultorio è il paragrafo delle idee proprie di Gesù, il quale modifica l'ideale profetico, e il regno di Dio pone non in un lontano avvenire, ma vivo e presente tra gli uomini di buona volontà. Nè meno felice è il capo dove sono accennate le divergenze tra i Cristiani Giudaizzanti e gli universalisti come Stefano e Paolo. Qui principalmente si ammira il tatto dello scrittore, che senza cadere nell'esagerazione della scuola di Tubinga, che le discrepanze tra gli apostoli raffigurava come implacabili dispute tra teologi, sa cogliere il punto giusto, nel quale le due tendenze parvero irreconciliabili, e alla narrazione degli Acta non dà naturalmente lo stesso peso che alle lettere autentiche di Paolo, principalmente quella ai Galati. Ma ciò non importa che di Pietro s'abbia a fare il rappresentante dell'indirizzo opposto a Paolo, poichè nella stessa epistola ai Galati è riconosciuto che avanti alla venuta in Antiochia egli non era lontano dalle idee Paoliniche, e se in Antiochia parve che si mettesse dalla parte dei Cristiani ebraizzanti, sarà in seguito ritornato alle sue antiche convinzioni; poichè non è lui a capo della comunità, che più teneva alle idee Giudaiche, ma Giacomo, e più tardi egli viene a Roma, dal qual fatto il Müller a differenza dei suoi predecessori, non dubita. Potremmo citare numerosi altri esempi di questa temperanza di giudizi, che non viene meno nei punti più scabrosi, ma quello che abbiamo detto si

nora è più che bastevole a far conoscere e raccomandare quest'opera, che ci auguriamo di vedere presto e felicemente compiuta (T.).

H. C. LEA, Superstition and Force. Essays on the wager of law- the wager of battle - the ordeal - torture. Fourth edition revised. Philadelphia, Lea Brothey and Co, 1892. - Questo libro ha avuto già tale e si meritato successo, che nel breve giro di quattordici anni è ormai alla quarta edizione. Come il titolo stesso lo dice, vi sono trattati i procedimenti giudiziarii, che più ripugnano alla nostra coscienza giuridica, e che pure furono usati largamente in Europa e con tanta tenacia che si può dire relativamente recente la loro abolizione. Il primo procedimento riguarda il giuramento e i conjuratores. Il giuramento è derivato non dalla fierezza cavalleresca degli antichi germani, che non mentivano neanche per salvare la vita; ma piuttosto dal dritto romano, perchè fra tutti i barbari i soli visigoti, che modellavano le loro leggi sulla giurisprudenza romana, ammettevano che l'accusato si potesse salvare, giurando solennemente di non aver commessa la colpa, di che era sospettato. Per contrario non è dovuto all'influsso romano il costume dei conjuratores, vale a dire degli affini o anche gli amici, che doveano rafforzare il giuramento dell' accusato con il loro. Questo costume risale senza dubbio a più remote origini, vale a dire a quel tempo in cui la tribù o la stirpe si riteneva responsabile dei reati commessi da uno dei suoi membri, ed aveva quindi interesse di scagionare quello per salvare se medesimo. Le incertezze di un mezzo così fallace di prova, anche nel tempo in cui le credenze religiose erano più ferme e le paure delle pene serbate agli spergiuri più vive, doveano portare per conseguenza che si escogitassero altre prove supplementari, tra le quali quella del duello o del giudizio di Dio rispondevano alle inclinazioni e agli abiti delle popolazioni germaniche, che aveano sempre la mano sull'elsa della spada. Ma anche questa prova ben presto si dimostrava il contrario di quello che voleva essere; perchè bene spesso l'innocente soccombeva e il reo, se più esperto nelle armi, si salvava. E si ricorse quindi ad altre prove, in cui la volontà o il giudizio di Dio si sarebbe rivelato, alle cosidette ordalie. L'autore rintraccia fino nella più remota antichità le prove del ferro rovente, dell'acqua calda o fredda, del fuoco e simiglianti, e mostra come col cadere della civiltà antica essendo anche caduta gran parte della sua coscienza giuridica, dovessero rivivere queste costumanze preistoriche, tanto che la Chiesa stessa, che più volte le ha condannate, non di rado le subiva, nè mancava all'occorrenza di cavarne profitto. Tutto il contrario si deve dire di quell'inumano mezzo di prova, che è la tortura, il quale non si può dire che risale ai primi tempi della nostra storia, ma è piuttosto un retaggio della giurisprudenza

romana, e rivive e rifiorisce in Europa quando appunto torna in vigore la legislazione romana. Vero è che la legge romana faceva distinzione tra schiavi ed uomini liberi, e solo ai primi serbava la tortura, perchè li riteneva incapaci di dire la verità; ma non si può negare che a poco a poco nella legislazione imperiale questa distinzione cessò e per certi reati, principalmente per quelli di lesa maestà, anche gli uomini liberi potevano essere torturati. E più tardi a questi reati si aggiunsero anche gli altri di omicidio, adulterio, ecc. Se non che la legge romana prescriveva sempre certe forme, che quando rivisse la tortura, non si rispettarono più sotto l'influsso della procedura dell'Inquisizione, e la procedura penale sempre più si allontanò dal tipo delle antiche leggi romane. E fu ammesso il procedimento segreto, nel quale il giudice raccoglieva le prove, ma l'accusato non sapeva nè da chi nè di che fosse accusato. Nè era ammesso contraddittorio tra l'accusato e l'accusatore. E la stessa prova della tortura pare che a nulla valesse; poichè se l'accusato confessava il suo fallo, era condannato alla stessa pena che gli sarebbe toccata se il reato si fosse provato per altra via, se l'accusato negava, non per questo andava assoluto, ma solo si diminuiva la pena. Le regole stesse poi che cercavano di limi. tare e disciplinare la tortura, in pratica non si applicavano. E così mentre si era stabilito che alla tortura non si potesse essere sottoposti se non una volta sola, nel fatto si ripetevano gli esperimenti, quando nuovi indizi di colpabilità si discoprivano. Tali enormezze giuridiche durarono pertanto in Europa e non è se non da un secolo che furono abolite. Questa è la trama del lavoro del Lea, scritto con molta arte, ricco di fatti bene scelti ed aggruppati, ed avvivato da idee e vedute sintetiche d'indiscutibile valore (T.).

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P. BORTOLOTTI, Antica vita di S. Anselmo abbate di Nonantola, con appendici ed illustrazioni e tavole III e poscritta, pp. 198, in-4o, Modena, 1892. Nel secolo scorso, non si può negare, vi furono eruditi di grande valore, e le opere antiche da loro pubblicate attirano tuttora la nostra ammirazione; ma ciò non toglie che al presente alcune si possano ristampare con maggiore accuratezza e corredarle di schiarimenti migliori: ecco quello che fece il chiarissimo P. Bortolotti coll'Antica vita di S. Anselmo abbate di Nonantola, che fa parte dei Monumenti storici Modenesi, e alla quale seguitano alcuni frammenti relativi a S. Anselmo, cioè Fondazione del monastero di Nonantola, Traslazione del corpo di S. Silvestro a Nonantola, Cataloghi degli abbati di Nonantola, Morte e sepoltura di papa Adriano III, Traslazione dei Ss. Senesio e Teopompo da Treviso a Nonantola e Traslazione di S. Genesio (Senesio?) da Gerusalemme a Treviso.

Premette il chiarissimo Bortolotti che nella sua edizione non si tenne al rigido laconismo voluto dai dotti nelle grandi raccolte, sibbene per la comune de' lettori, massime provinciali preferi di ventilare i dubbi e discutere le diverse questioni che si collegano all'argomento. E questo un bel pregio del libro, perocchè, oltre riescire più chiaro a chi non è storico di professione, serve d'esempio ad altri per far studi di simil genere.

Nell'erudito proemio si descrive il codice contenente la suddetta vita e gli accennati frammenti, e d'ognuno si discorre in particolare. Il libro rimasto nella badia di Nonantola si compone di due parti un tempo divise, cosa non avvertita da alcuni che esaminarono quel manoscritto prima del Bortolotti. La prima parte, un fascicolo di un libro forse perito, è di mano del secolo XI e serba la vita del santo e il Catalogo degli abbati; la seconda parte, lavoro di diversi tempi, secoli XI-XII, porta la favolosa leggenda di S. Silvestro, la vita di S. Adriano, due papi i cui sepolcri si veneravano a Nonantola, la traslazione e gli atti del martirio dei Ss. Senesio e Teopompo.

Il nostro dotto editore trattando della vita di S. Anselmo fondatore e primo abbate del monastero nonantolano, cognato del re Astolfo, vissuto nella seconda metà del secolo VIII, la esamina in tutte le sue parti e in relazione d'alcuni documenti storici, e massime di certi antichi privilegi pontifici, di cui sono ventilati l'autenticità e il valore da taluni contestati; e fa risaltare con sode ragioni che l'autore non è un contemporaneo, sibbene uno il quale visse forse due secoli dopo, e che, sebbene male informato compilatore, attinse a remote fonti genuine, a memorie del secolo IX in parte tuttavia conservate.

La questione, se il corpo di papa S. Silvestro sia in Roma, oppure a Nonantola, dove Anselmo, secondo la Vita, l'avrebbe trasportato l'anno 756 è trattata ampiamente; e non si sa che cosa si potrà dire di più in avvenire, se non si scoprono nuovi documenti. Per conciliare le due sentenze il Bortolotti ritiene che si possa ammettere che la parte principale del corpo di S. Silvestro venisse trasportata a Nonantola e che ne restassero alcuni avanzi nel cimitero di Priscilla, avanzi cinque anni dopo quel trasporto raccolti e messi in maggiore venerazione da papa Paolo I nella chiesa di S. Stefano. Ei chiama questo divinazioni, ma in fatto è quello che si può dire approssimativamente di vero; e n'ebbe parere favorevole anche dal celebre comm. G. B. De Rossi, che pur egli pensava, come gli scrisse, nello stesso modo.

Va notato il capitolo intorno al Catalogo degli abbati, del quale havvi due codici, l'uno di Nonantola più conosciuto che arriva fino all'anno 1053, e l'altro Ottoboniano della Biblioteca Vaticana, più antico che si arresta al 933: due codici che probabilmente vengono da unica fonte. In siffatto studio si manifesta l'armonia dei due documenti e l'im

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