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furto domestico a danno di Sebastiano Canciati; nel qual fatto, sebbene la delinquenza fosse comprovata, si fè addebitare per opera di Gio. Battista Onofri, che s'insinuò di notte tempo nelle prigioni, a certo Marino Bruschi dello Plosa, cui si fece confessare, con essergli stata accordata in compenso protezione e denari.

(F) Lo Statuto patrio è moderato a piacere di un libro chiamato dei Decreti, e secondo il bisogno ed il profitto che ne risentono gl'Onofri e Mercuri ed altri egoisti del di loro calibro.

(G) Persone che possono riferire i pochi fatti al confronto dei molti che per brevità si tralasciano sono il dottor Giuliano Malpeli, Giorgio e D. Giuseppe Clini, D. Ignazio Belzoppi, Pietro Casali, D. Pietro Cecchi, Pietro Tasini, Piermarino Ceccoli, Ippolito Fabbrini, D. Vincenzo Rossini, D. Gio. Battista Rossini, Marino Fazzini, Camillo e Gio. Sabatini, Giandomenico Franzoni, Francesco e Michele Martelli, Michele Bonatti, Giuseppe Tasini, Francesco Faetani, Marino Bertoni, Vincenzo Belzoppi.

VI.

Lettera infamante contro l'Onofri. Roma 1824 (Archivio gov. Carteggio della Reggenza. 1822-24. Busta 156).

Eccellenza, confida nel broglio A. Onofri, sedicente rappresentante della Repubblica di San Marino presso Leone XII. Menochè non avesse costui manomesse le patrie leggi, non avrebbe potuto aspirarvi. Raccapricciano i veri cittadini di quel luogo che un ladro diffamato, quale è costui, che per tale fu carcerato a Roma li 15 giugno 1798, e che l'anarchia di quel tempo seppe tacitarli la meritata pena, siasi usurpato il dritto di rappresentare una nazione, sebbene ristretta. Scrive egli che trovò appoggio presso i Ministri di altre Nazioni.

Costui è un fellone: un intruso. Il titolo è usurpato. I nominanti sono rivoltosi suoi pari, partecipanti de suoi delitti. Il popolo, il vero sovrano di S. Marino, aborre il nome di un tanto mostruo e de suoi proseliti. Quel tale Marino Cecchetti che in Roma stessa venne ad assumere in compagno non è dissimile da lui. Anche esso fu processato nel 1816 dalla Congregazione militare in Roma. Sono la massima parte di Sammarinesi. È la vera Repubblica, è il popolo che reclama l'abuso della rappresentanza di costoro, è desso che previene l'EE. VV. a non accreditare il mentito titolo, se non vuole favorire la depressione, la frode ed il delitto.

VII.

Lettera dell' Onofri ai Reggenti, i quali gli preparavano una onorificenza (Archivio gov. di S. Marino. Carteggio della Reggenza. 1822-24. Busta 156). Eccellenze, ha potuto trapelare e in mezzo a un segreto non comune giungere a me la notizia che il gen. Consiglio ad eccitamento cortese delle EE. VV. ha voluto dar nuovo argomento di clemenza verso la mia meschina persona, col sostituire ad un monumento non meritato altra ricompensa da stabilirsi. Io sono ad un tempo da sì alto onore penetrato e grandemente umiliato, perchè se scorgo da un lato la Sovrana munificenza, veggo dall'altro la nullità dei miei meriti; nè credo voglia darsi merito alla buona volontà mia verso la patria, perchè in tal caso le ricompense sarebbero communi con tutti i cittadini. Onde dunque non debba interpretarsi effetto di mala educazione o di albagia il rifiuto che sarei costretto di fare di qualunque benchè minima gratificazione, io ne protesto alle EE. VV. pregandole di partecipare al Gen. Consiglio, congiuntamente ai miei devoti ringraziamenti, questi sinceri e perenni sentimenti dell'animo mio. Che se nonostante volesse proseguirsi nel pensiere di colmarmi di onori, posta la mia dichiarata volontà, dovrei credere si volesse imprimermi bruttissima macchia di ingratitudine e di scortesia. Locchè essendo alieno dagli animi gentili delle EE. VV. e del Gen. Consiglio, io debbo tener fermo che le mie suppliche verranno esaudite benignamente ed i miei voti adempiuti. Di che vivamente alle EE. VV. raccomandandomi, ho l'onore di dichiararmi con profonda venerazione Delle EE. VV. dev.mo ANT. ONOFRI.

Di casa, 10 agosto 1824.

RECENSIONI

W. GARDTHAUSEN, Augustus und seine Zeit. Leipzig, Teubner, I Theil, I Band pp. x-481; II Theil, I Halbband, pp. 276.

L'A. crede a ragione giunto il momento di rispondere alla domanda d'Orazio :

Quis sibi res gestas Augusti scribere sumit?

Bella quis et paces longum diffundit in aevum?

e a ciò egli si è accinto. Se ad Orazio l'impresa pareva molto difficile al tempo suo, oggi in tempo lontano, quando si può giudicare senza passione e tenendo conto anche delle conseguenze dell'opera d'Augusto, l'impresa non è facile. L'argomento richiede in chi lo tratta, non solo grande preparazione e grande diligenza, ma anche ingegno fortissimo, da intendere Augusto e farlo intendere.

Non mancano certamente i materiali, su cui lavorare: poche epoche della storia hanno lasciato tante fonti e di tanto valore quanto quella d'Augusto: e ad ogni modo il raccogliere ed il cribrare tante memorie di scrittori, tante iscrizioni, tante monete non dovettero costare poca fatica al Gardthausen, il quale ha voluto pure visitare i luoghi che furono il teatro degli avvenimenti d'allora, per potersene fare un chiaro concetto. La preparazione al Gardthausen non è mancata e di ciò è prova la seconda parte dell'opera, in cui egli con buon discernimento, per non disturbare il corso della lettura, raccoglie le numerose ed importanti note al testo, coll' indicazione della maggior parte delle fonti. Veramente non s'intende perchè non vi abbia inserito anche quelle poche citazioni, che ha messo a pie' di pagina, recando confusione nel lettore, con una doppia indicazione di note, con cifre cioè ed asterischi.

Questo primo volume non tratta che dell'epoca di preparazione della monarchia augustea, dove forse meno l'ingegno di Augusto si è rivelato, e per la cui esposizione meno si richiedono profonde conoscenze antiquarie e giuridiche. Nel secondo volume invece egli tratterà dell'impero di Augusto e delle sue riforme, che gli possono a ra

gione far attribuire il nome di rinnovatore del mondo romano. In questa parte dell'opera meglio si potrà giudicare se il Gardthausen ha la piena cognizione delle condizioni dell'impero romano a quel tempo, della natura e dell'essenza de' mutamenti avvenuti. E se la introduzione può sino ad un certo punto far sperare che egli si mostri all'altezza del l'impresa, gioverà riserbarsi per allora un giudizio definitivo sull'opera. Questo si può dire certamente, che l'opera del Gardthausen sarà capitale per chiunque tratterà in avvenire di quel periodo importantissimo di storia romana.

Nell'introduzione mostra come il governo monarchico fosse inevitabile in quel momento, dato lo svolgimento delle condizioni e degli avvenimenti. La prima parte, Dopo le idi di Marzo espone quali fossero i partiti dopo l'uccisione di Cesare, quali le persone eminenti, l'apparire sulla scena di C. Ottavio ed i preparativi per la guerra civile. La seconda parte, Lotta per le provincie, tratta della guerra di Modena, della fuga di Antonio in Gallia e del suo ritorno, della marcia di Cesare su Roma e del triumvirato sino alla battaglia di Filippi. La terza parte, Il bottino ai vincitori, si riferisce alla guerra perugina, ai trattati di Brindisi e di Pozzuoli, alla guerra in Oriente sino alle vittorie su Pompeo e su Lepido. La quarta parte, Il dominio di Cesare e di Antonio, va sino alla battaglia d'Azio, la quinta infine tratta delle conseguenze di questa battaglia sino al trionfo di Cesare.

Quest'è il piano dell'opera, che si legge con vero piacere, come voleva l'A. e come poche opere storiche scientifiche; notevoli sono specialmente i ritratti dei personaggi importanti del tempo. Talora però i concetti ch'egli espone non si possono accettare facilmente, come p. es., la difesa di Cicerone, che mi sembra infondata e il favore, che mostra il Gardthausen per i nemici di Cesare (Augusto) prima del triumvirato. Per quanto egli dica e voglia scrivere sine ira et studio, un certo animo ostile a Cesare si palesa qua e là e giunge al massimo forse nel punto, dove mostra di credere alla storia delle arae Perusinae.

Le osservazioni, che qua e là si potrebbero fare, specialmente sulle note e sul troppo valore dato a certe iscrizioni e a certe combinazioni, che possono essere casuali, non sono molte. Più deficiente sembra il libro nelle poche parti polemiche, specialmente su questioni giuridiche, ma, poichè queste specialmente saranno esplicate nella seconda parte, sarà meglio giudicarne e discuterne allora.

Ad ogni modo l'opera del Gardthausen è altamente lodevole e tale che fa desiderare che sia presto compiuta. D. VAGLIERI.

J. KEMPF, Geschichte des deutschen Reiches während des grossen Interregnums 1245-1273. Würzburg, Stuber, 1893, pp. VIII-292. G. TRENTA, La tomba di Arrigo VII imperatore (monumento del Campo Santo di Pisa) con documenti inediti. Pisa, Spoerri, 1893, pp. 100, colla fotografia della tomba.

G. ROMANO, Delle relazioni tra Pavia e Milano nella formazione della Signoria Viscontea. Milano, Rivara, 1892, pp. 45 (estr. dall'Archivio storico lomb., a. XIX, fasc. 3).

Il primo matrimonio di Lucia Visconti e la rovina di Bernabò. Milano, Rivara, 1893, pp. 31 (estr. dall'Archivio stor. lomb., a. XX, fasc. 3).

A. WINKELMANN, Der Romzug Ruprechts von der Pfalz. Innsbruck, Wagner, 1892, pp. vI-146.

H. F. HELMOLT, König Ruprechts Zug nach Italien (Inaugural-Dissertation, Univ. Leipzig), Jena, Frommann, 1892, pp. Iv-181.

Appena indirettamente riguarda la storia d'Italia il libro del Kempf, che è veramente, come l'autore stesso ne scrive nel preambolo, il frutto di lunghi studi sulle fonti e sui libri eruditi concernenti la storia di un periodo cosi oscuro della storia germanica, quale è quello che abbracciando la fine dell'impero di Federico II arriva fino alla elezione di Rodolfo d'Absburgo. Il K., parte con ampie ricerche proprie, e parte giovandosi di numerose monografie erudite, colma questa lacuna finora deplorata nella storia dell'impero tedesco. L'autore comincia da una introduzione, nella quale condensa la storia dell'impero nelle sue lotte col papato, dalla coronazione di Carlo Magno fino alla elezione di Enrico Raspe, che Innocenzo VI oppose nel 1246 allo scomunicato Federico II.

L'A. delinea le origini del grande conflitto nel modo che più comunemente si usa, vale a dire lo fa rimontare alla confusione prodottasi, come si assevera, colla coronazione di Leone III, in forza della quale i papi sostenevano che l'imperatore riceveva la spada per mezzo loro e non direttamente da Dio; al che gli imperatori si opponevano, sostenendo la loro autorità essere, nella sua origine, indipendente dalla pontificia. Gli sguardi vasti e comprensivi sono difficili a farsi, e danno sempre luogo a dubbiezze; poichè in realtà la lotta tra le due supreme autorità prese tanti aspetti nel corso dei secoli, che quel concetto generale non può sicuramente comprenderli tutti. Nessuno potrà sostenere che esso spieghi in tutto per tutto i tempi di Enrico IV e di Federico Barbarossa. Che se poi volessimo esaminare davvicino lo stato delle opinioni al momento della coronazione di Carlo Magno, anche qui vedremmo l'argomento intralciarsi, più che a primo aspetto

non sembri. Le sono questioni ardue e molto complicate, sulle quali non abbiamo finora che un solo lavoro fondamentale, quello del Döllinger, vecchio oramai di parecchi decenni. L'impero del Bryce ci viene in aiuto, come libro sintetico, ma si avrebbe bisogno di studi più larghi e più profondi ancora.

Il presente volume è quasi interamente dedicato alla storia tedesca, e si aggira sulle imprese degli antirè, al tempo di Federico II, e cioè: Enrico Raspe, Corrado IV, Guglielmo di Olanda, e quindi discorre delle lotte, che tra loro combatterono Alfonso di Castiglia e Riccardo di Cornovaglia, eletto nel 1257. Della storia italiana l'A. ha poche occasioni di occuparsi, tranne che nel c. 3 della parte I dedicato alla storia di Federico II dal 1246 al 1250 (pp. 90 sgg.). Nei particolari non ci possono essere cose nuove, e più rilevante per noi è la memoria fredda, ma diligente di Fr. Tenkhoff (1) sulla guerra degli Hohenstaufen indarno intrapresa per ricuperare la Marca di Ancona e il ducato di Spoleto, la quale comincia parecchi anni prima, cioè colla battaglia di Cortenuova, vinta da Federico II nel 1237.

Ma il libro del K. ci dà questo di nuovo, ch'egli coordina i fatti d'Italia con quelli di Germania, e ci fa conoscere in Federico II l'uomo il quale, mentre che si sentiva italiano e voleva esserlo, trascurava per le imprese italiche le germaniche, dove le popolazioni si avezzavano a non riconoscere nè Federico II, nè i suoi antagonisti, ma segnavano i documenti colla formula « vacante regno ». Corrado IV e Guglielmo d'Olanda poco s'impacciarono di cose italiane. Il K. si sofferma alquanto di più sulla spedizione di Corradino (pp. 244 sgg.), ma non conosce le ricerche di Carlo Merkel per la storia della sua discesa, e quella di Giuseppe Del Giudice per la storia della sua fine. Di nuovo interessante per noi è l'esame di un passo di Matteo Paris (Appendice, pagine 269 sgg.) e un cenno sulla sua credibilità. Dovendo scegliere fra il giudizio severissimo pronunciato nel 1849 dal Döllinger, e quelli più benevoli di storici più recenti, egli conchiude che il materiale recentemente pubblicato nel campo della storia sveva dà ragione al Döllinger; sicchè bisogna concludere favorevolmente al Paris.

Il volumetto del Trenta raccoglie tre dissertazioni, la prima delle quali s'intitola Arrigo VII e i Pisani, e la seconda Arrigo VII e Dante Alighieri. La prima si aggira sopra la cronologia del soggiorno di Arrigo VII in Pisa, nel 1312, prima che egli procedesse verso Roma, e sulla sua seconda venuta, nel viaggio di ritorno, l'anno 1313. Il secondo

(1) Der Kampf der Hohenstaufen um die Mark Ancona und das Herzogtum Spoleto von dem zweiten Exkommunikation Friedrichs II bis zum Tode Konradins, Paderborn, Schöningh, 1893, pp. 108.

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