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case dei Solari, che poi furono interamente abbattute. Gli assaliti, dopo vana prova di resistenza, furono la sera costretti ad uscir di patria, dirigendosi verso Alba. Camminarono tutta la notte; la mattina, a sole alzato, giunsero al « porto », ossia al tragitto del Tanaro, dinanzi a quella città. Quivi, volendo Leone di Brandino Solaro montar primo sul porto, dal cavallo aombratosi fu gettato nel fiume, e miseramente annegò. Passarono gli altri con miglior ventura e s'appressavano ad Alba per entrarvi; ma già correvano a contrastare in armi i Rappa ed i Costanzi co' lor seguaci di parte ghibellina, quando l'intervento del podestà Ottone III Del Carretto, antico amico dei Solari, li fe' ricevere a dispetto degli oppositori, ancorchè poco dipoi le minaccie di Monferrato e Saluzzo e degl'intrinseci d'Asti lui costringessero a partirsi dalla città e ritirarsi nelle sue terre.

Imperversava intanto in Asti la sfrenata violenza de' vincitori. A Francesco Guttuario ed a Rubeo Isnardi fu data balia di confinare i sospetti, insieme con una commissione ov'essi facevan lecito d'ogni voglia, estorcendo denaro, ordinando rovine di case, imponendo grosse sicurtà per l'osservanza del confine e del bando, imprigionando infine senza pietà i riottosi alle loro ingiunzioni. Creato podestà Manuele Spinola e « capitano » Faravello D'Oria, genovesi, l'autorità publica prestava braccio forte alle private vendette, ed erano sancite tutte le condanne volute dai De Castello. Il popolo era ridotto nell'ultima angoscia: più nessuno osava parlare liberamente; de' Solari non si poteva pronunciare il nome se non a fine di vituperarli; dicevasi che non bisognava lasciarli in Alba, ma perseguitarli finchè fuggissero in India. Dinanzi a quest' oppressione parecchi cittadini volontariamente esularono: così si recarono in Chieri, ben accolti da quel libero Comune, Tomaso e Simone Roero, Muzio e Rubeo Asinari, Tomaso e Paolino Troya, Raimondo Falletti e parecchi de' Peyla o Perla. Per contro, Francesco Solaro, o ritenesse assicurato per un pezzo il trionfo dei De' Castello, o lo movesse qualche rancore particolare, tradi la parte di sua famiglia per l'avversaria, onde poi quella, a sua volta, lo rinnegò nella vittoria. I marchesi di Monferrato e di Saluzzo si erano stabiliti, l'uno nella casa de' Falletti, l'altro in quella de' Troya, e pasciuti di ricchi doni, vi traevano grassa vita colle cantine e colle provvigioni de' vinti. Disertavano pure la città, con lor presenza, Giovanni di Saluzzo, Enrico Del Carretto e Raimondo d'Incisa, al qual ultimo, al suo partire, fu donato il castello di Canelli. Giovanni I

si fece restituire Vignale, la metà di Felizzano e di Riva, la quinta parte di Castelnuovo di Rivalba ed un bellissimo padiglione tolto a suo padre; ebbe poi anche Tonco, sebbene i De Castello ne mostrassero malcontento; ed i signori e uomini di Castagnole non vollero far nulla pel Comune. Manfredo IV ottenne per parte sua Fossano e Cavallermaggiore, la qual ultima, però, dovette poi conquistare per forza d'armi.

I fuorusciti, infatti, favoriti dall'adesione di Alba e di Chieri, cominciavano a riaversi del primo stupore e sgomento. Un mese dopo il loro ingresso in Alba ne cacciavano i Rappa ed i Costanzi, ed imprendevano quindi a molestare i De Castello con frequenti e vive scorrerie, ancorchè da principio con poca fortuna. Ma i Chieresi, sollecitati con parecchie ambascierie a cacciare i fuorusciti astigiani ricoverati presso di loro, opponevano un reciso diniego, e Muzio Asinari, da Chieri appunto, andava più volte a visitare i Solari in Alba ed intrattenersi con loro sul da farsi, finchè di comune accordo chiesero aiuto al luogotenente generale di Filippo d'Acaia. A far riuscir la pratica con Guglielmo di Mombello dovette adoperarsi anche Nano di Ceva, perocchè poco dopo egli appare in Alba con sue genti in nome del Principe, contribuendo assai a respingere in giugno un fiero assalto dei marchesi di Monferrato e di Saluzzo (1). Nondimeno le forze savoine e cevasche parevano insufficienti alla distretta di qui la decisione degli Albesi di entrare in rapporto cogli Angioini, ridando la città a Carlo II. A che le deliberazioni fossero legali occorreva l'intervento del podestà, ma Ottone Del Carretto temeva non poco l'ira nemica. A colorire il disegno con sicurezza, adoperò un de' soliti ripieghi. Rientrò provvisoriamente in Alba, ed il 21 di luglio, premesse le consuete considerazioni generiche e la necessità in cui era di assentarsi di nuovo, delegava suo vicario e luogotenente il giudice Pantaleone Rabino, tosto ripartendo per le sue terre. La domenica successiva, 28 luglio, sulle solite << volte » della cattedrale di San Lorenzo, congregavasi dal vicario il Consiglio generale, chiamati straordinariamente ad intervenirvi oltre cento capifamiglia: ivi, unanimi, i cittadini, diedero incarico a Nano Curato e Baldovino de' Beccari di portar a Carlo la dedizione della città, con amplissimo mandato. Gli eletti si av

(1) G. Ventura, cc. 29-31, 739 segg. (G. DELLA CHIESA, 937 seg., e G. DEL CARREITO, 1159 seg.); A. ASTESANO, 1. V, cc. 2-3, 1058 seg. Circa l'occupazione di Fossano da parte di Manfredo IV, cfr. anche MULETTI, III, 58, sebbene da fonti poco autorevoli.

viarono tosto verso Napoli: intanto, nell'agosto, Giovanni I e Manfredo IV, cogl' intrinseci astesi, tornarono a fare una spedizione contro Alba, ma con non miglior successo. Il 28 settembre, il Curato ed il Beccari si presentavano nel palazzo reale di Aversa e, verificati i loro poteri, sottoponevano all'Angioino, e suoi discendenti maschi legittimi, la città, distretto, giurisdizione, mero e misto impero, redditi e beni di Alba, alle stesse condizioni sotto cui i cittadini si erano già sottoposti a Carlo I, con promessa di tenere il governo in nome del Re finchè questi deputasse alcun suo rappresentante a prendere il possesso effettivo del paese. Prestarono dipoi il dovuto omaggio e fedeltà per sè e per la totalità degli uomini della terra, impegnandosi ad osservarla sotto pena di 500 marche d'argento, per cui si obbligavano in solido i beni dell'intera cittadinanza. Carlo, in riconoscenza della lor fede, fece parecchie concessioni agli Albesi, fra cui prima, che, ricuperandosi da lui Cherasco, dovesse fare un corpo solo con Alba, quando ciò si potesse conseguire « senza scandalo » e di consenso e volontà della totalità degli uomini di detto luogo. A questo proposito, siccome, secondo la dedizione del 1259, la taglia da pagarsi dal Comune pel salario degli ufficiali regi era di 400 lire astesi all'anno, di cui Cherasco. pagava in allora la quarta parte, così parve onesto fosse ridotta a 300 fino a nuova riunione dei due luoghi. Circa le « comunanze » e le « regalie », secondo i patti del '59 dovevano spettare al signore, ma perchè il Comune avevale poi vendute ad alcuni cittadini per lo spazio di 26 anni, fu stabilito che i compratori ne godessero il provento per tutto quel tempo, tranne che il Re volesse restituire loro l'intero prezzo sborsato, nel qual caso avrebbe riavuto egli dette << comunanze » e « regalie ». Scadevano però subito nel signore le porzioni dei ribelli, i quali erano pure esclusi dalla restituzione delle castella appartenenti a cittadini albesi, posta nella dedizione a Carlo I, con che, nondimeno, potessero Carlo II ed i suoi eredi riceverli in grazia e render loro i luoghi tenuti, se mai paresse ai medesimi conveniente in avvenire « pel buon Stato proprio e del Comune ». Ugual limitazione fu posta alla promessa regia di tener in bando Guglielmo Rappa, Alberto Costanzo e tutte le persone di lor casato e loro seguaci espulsi dalla città in qualità appunto di ribelli del Comune e del Re. Intorno a molti contratti che si dicevano fatti dai medesimi con laici ed ecclesiastici albesi da trent'anni in poi, la Maestà Regia considererebbe caso per caso se fossero da confermarsi od infir marsi, in modo che nulla rimanesse operato contro le leggi. Tutto il

paese che il Re ricupererebbe od acquisterebbe per qualsiasi via legittima dal marchese di Saluzzo, da suo fratello Giovanni e da Enrico Del Carretto entro un raggio di 15 miglia da Alba, doveva dipendere dal vicario della medesima, e così ogni altro paese entro un raggio di cinque miglia, se pur si potesse fare « senza scandalo e senza danno del Re e suoi eredi, nonchè senza pregiudizio di terzi »; inoltre Carlo II non verrebbe a patti co' suddetti signori senza che restituissero i beni tolti ad Albesi, e precipuamente i castelli di Cornegliano e Bagnolo a Pietro De Brayda, il castello e la villa di Sineo a' Cerrati, ed il castello e la villa di Piobesi a Daniele De Brayda. Promise ancora il Re che non chiederebbe od esigerebbe nulla dal Comune, personalmente o per mezzo altrui, a vantaggio della curia regia in occasione di delitti commessi in persona di chichessia o sotto pretesto d'ingiurie, danni, redditi e proventi dei banni e delle condanne del tempo passato, nè s'intrometterebbe in tali cose, riservandosi tuttavia, se mai ne ricevesse istanza, di far giustizia intorno ad esse direttamente o per mezzo del proprio vicario, dando la dovuta soddisfazione a chi avesse sofferto danno od ingiuria nessuno, però, potrebbe esser chiamato a giudizio fuori d'Alba, così in cause civili, come in criminali. Volendo il Comune far Statuti sui malefizî, cause civili, banni dei beni estrinseci ed altri negozî, n'era autorizzato, con che fossero sottoposti all'esame del Re; la società del popolo rimarrebbe qual era allora fino a beneplacito del medesimo, ma tutte le altre leghe, confederazioni, società ed unioni private dovevano essere disciolte. Infine, non fu dimenticato Nano di Ceva, che difendeva in que' giorni stessi la città ; e perchè aveva preso molta parte alla precedente cacciata degli Angioini ed occupava terre state già de' Provenzali, si convenne a suo riguardo, che volendo rientrare in grazia del Re, rendendo ciò che al medesimo apparteneva, « per amor del Comune d'Alba » sarebbe stato ricevuto benevolmente e liberalmente (1). In conseguenza,

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(1) Arch. di St. di Tor., Prov., Alba, Mazzo I, n. 6 (copia autentica sec. XVIII, da pergamena dell'Arch. di Marsiglia, ora Bocche del Rodano. La data, in ADRIANI, Sopra alc. docc. e codd. mss. di cose subalp. od ital. conserv. negli arch. e bibl. Fr. merid., 68, Torino, 1855, è invece 28 novembre). Sulle volte di San Lorenzo, V. PICCAROLO, La cattedr. ant. d'Alba e le sue relaz. col Com. alb., 19 segg., Alba, 1893. Cfr. G. VENTURA, c. 30, 742; e G. DELLA CHIESA, 933. L'ADRIANI, Indice, 52-53, rammenta, di sul Dupuy, un atto in data 24 agosto '303, per cui Cherasco avrebbe delegato sindaci a trattar la dedizione del luogo a Carlo II, i due cittadini Rufino Mazoco ed Ottone Carosio. Anche senz'aver sott'occhio il testo compiuto dei due documenti, l'identità del giorno, del mese e dei sindaci e l'espressione conte di Provenza per designar Carlo, bastano a dimostrare che il preteso atto 24 agosto '303 non è che un equivoco del Dupuy che scambiò un trasunto del 1303

Rivista Storica Italiana, XI.

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Carlo II destinava a visitare il nuovo acquisto, ed a ricever anche il giuramento de' Solari e loro aderenti, Leonardo de Turco ed altri suoi fedeli, i quali, adempiuto il proprio ufficio in Alba, si dirigevano verso Monteregale, accompagnati da Folco Caze, Aleramo Layolo, Corrado De Brayda ed altri Astigiani ed Albesi, quando la comitiva fu sorpresa, tra via, da un bastardo de' Bressani con parecchi uomini di parte De Castello. Nella zuffa, Folo Caze restò morto; gli altri furono condotti prigioni a Fossano. Se ne riaccese la guerra fra Monteregale ed i Bressani, in odio de' quali fu distrutto e spianato il castello di Roccaforte, ed il Re mandò un nuovo messo in persona di Egidio da Perugia, suo famigliare, ad ammonire gl'intrinseci d'Asti di rispettare Alba e gli Albesi sudditi suoi, cui non avrebbe potuto mancar di aiuto. Ma i De Castello si fecero beffe del regio procuratore, e se prima avevano in animo di nuocere ad Alba, ora fecero peggio. In novembre, intanto, Manfredo IV assaliva Cavallermaggiore e l'espugnava per forza d' armi, costringendo il 4 dicembre gli abitanti a giurargli fedeltà. Pur vi peri d'un colpo di lancia Vasino Guttuario, de' maggiorenti fra i De Castello (1).

Il 3 aprile '304, Guglielmo Turco e Manfredino Isnardi sovranominato «il Rosso », con circa 100 cavalieri astigiani e turba di pedoni, andavano ad assalir la Morra, terra d'Alba; ma n'erano violentemente ributtati, e l'insuccesso parve presagir l'imminente rovina di lor parte. Gli affari di Acaia, infatti, esigevano l'unione di Filippo di Savoia cogli Angioini; epperò quegli, sollecitato da Filippo di di Taranto, faceva appoggiare in Piemonte gl'interessi di re Carlo e di Raimondo Berengario, figlio ed erede di lui per la contea di Provenza. Guglielmo di Mombello, pertanto, assunse l'ufficio di ricondurre in Asti i Solari. Le operazioni furono fissate pel 2 maggio, a fine di non dar tempo a' De Castello di valersi della legge astigiana sul possesso per un anno e un giorno. Indettatisi cogli amici rimasti nella sconvolta republica, movevano contemporaneamente gli Albesi ed i fuorusciti ricoverati presso di loro sotto il podestà

col vero atto 24 agosto 1259 edito dall'Adriani, di sull'originale dell'Arch. di Marsiglia, in M. h. p. Chart., II, 1589. Anche la notizia di un'alleanza stipulata nel '303 fra Asti (sic), Cherasco, Savigliano e Monteregale per escludere dagli uffizî de' Comuni confederati tanto i Solari quanto i De Castello (F. A. DELLA CHIESA, Descriz. gen. del Piem., c. 57, ms. nella Bibl. di S. M. in Torino; NOVELLIS, St. di Sav., 57; CANAVESE, Mem. stor. di Mond., 58; ADRIANI, Ind., 53, e TURLETTI, I, 158) non trova conferma nei documenti, pur leggendo Alba in luogo di Asti. Però un'intesa cordiale fra Alba stessa, Cherasco, Monteregale e Savigliano appare da' fatti che saranno or ora accennati. (1) Liber instrum. Montisreg., ms. cit., f. 72. G. VENTURA, CC. 31-32, 742 segg. ; G. DELLA CHIESA, 937; G. DEL CARRETTO, 1160.

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