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aggiudicati in più i castelli e luoghi di Poirino, Sommariva del Bosco, Montozolo, Castelnuovo, Montemagno e Ceresole, coll'omaggio dei signori di Porcile, Troffarello e Revigliasco, e riservati i diritti al suo stipendio di « capitano d'Asti. Le spese sarebbero comuni; ognuno terrebbe tanti armati quanto l'altro; il Principe non potrebbe esser chiamato a servire fuor della terra regia di Piemonte e dei territorî di Chieri ed Asti. L'alleanza fra i contraenti, al solito, perpetua; pur non sarebbe Filippo obbligato a far guerra a niuno della casa di Savoia, e neanche al marchese di Saluzzo, se non di propria volontà. Ma s'egli volesse rivendicare diritti da un altro principe sabaudo, e ricuperar colle armi i feudi di Barge, Scarnafigi e Caramagna, tenuti dal Saluzzese, il Re non vi dovrebbe frapporre alcuna difficoltà, anzi aiutarlo con ogni suo mezzo. Pel Comune di Pinerolo, infine, era sancita l'esenzione dal servizio militare oltre i 40 giorni e fuor di un raggio di venti miglia, mentre un altro articolo prevedeva un eventuale dissenso avvenire fra i contraenti, stabilendo in tal caso la neutralità del territorio acquistato in comune (1).

Naturalmente, quest'arbitrato fu tenuto segreto, e non ebbe mai effetto: nondimeno qualcosa dovè trapelare agli Astigiani, che si mostrarono ancor più insospettiti riguardo alle intenzioni di Filippo. Il podestà Isimbardi vigilava, ancorchè spesso la guerra lo chiamasse all'adempimento di altri doveri. Per suo consiglio, la Republica si era unita co' guelfi monferrini, che, nel caso non venisse il figliuolo dell'Imperatore d'Oriente, promettevano di cooperare a farle riavere tutto il paese restituito già dai De Castello a Giovanni I. Il 2 novembre stesso, a richiesta appunto dei « graffagna », oltre 200 militi e 2000 pedoni astigiani movevano contro Montemagno: la pioggia continua, rattenendoli sulle vie maestre, impedi loro di riportare alcun vantaggio: ma la notte del 10 erano invitati a recarsi a Pontestura e, dopo alcune difficoltà, l'avevano a patti per esser con loro una ventina di cavalieri guelfi del Monferrato col vessillo paesano. Invano accorsero da Moncalvo a Vignale Manfredo IV e i De Castello gl'intrinseci astesi rientrarono senza molestie in Città, ed a' graffagna venne un notevole accrescimento di autorità e di potenza (2).

Il 3 febbraio '306 il Consiglio comunale di Cuneo deliberava, ed

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il 9 il giudice regio Tenchapassa approvava, di abolire certo pedaggio contro cui avevano protestato i Monregalesi: era conforme a' patti deditizî di questi, ed insieme un primo benefizio della comune dipendenza dagli Angioini. Un mese e mezzo dopo (24 marzo), Pietro Veglazio si presentava nel castello di Bene dinanzi a Guido, Vescovo d'Asti, e gli dichiarava che, pur riservandone i diritti, il Comune del Monte, di cui era nunzio e procuratore, intendeva per l'avvenire esser retto soltanto da consoli, e così in buona maniera ne declinava l'ingerenza nell'elezione del podestà. Il 20 agosto poi, nuova conferma di concessioni e privilegî toccava a Cherasco, dimostrando negli Angioini ferma volontà di formarsi un dominio stabile in Piemonte coll'adesione e l'amore dei popoli (1). All'assodamento, com'è naturale, andava unito sempre il desiderio di ampliamento, ma questo era sotto più di un aspetto nocivo, perocchè eccitava perturbazioni ed inimicizie. Il 25 aprile, Roberto, figlio di Carlo II e suo erede dopo la morte di Raimondo Berengario, ratificava l'arbitrato e la convenzione del 17 novembre '305 tra suo padre e Filippo di Acaia, ma quest'ultimo aveva preso ancor egli sospetto della potenza provenzale, e rigettate le proposte del legato angioino per la conquista in comune del Monferrato, cominciava a preferire vicini meno pericolosi. Continuando per conto suo la guerra contro Manfredo IV, s'impadroniva di parecchie terre monferrine, specialmente del Canavese, come Verrua, Castiglione, Baratonia, Variselle, Sant'Egidio, Monastero, Ceronda, Balangero, Barbania e Fiano, ed il 14 maggio riceveva la dedizione di Gassino, ancorchè questo luogo fosse stato l'anno prima beneficato dal marchese mediante concessioni riguardo a' forni, mulini ed altre cose; per il che, insuperbito, mirava omai ad impadronirsi di Asti senza farne parte al Re. Era d'altronde malcontento di non ricevere a tempo il suo stipendio, e temeva che la Città potesse darsi ancor essa un qualche giorno agli Angioini. Nondimeno, a tentar l'impresa da solo gli pareva richiedersi troppa audacia: pensò che gl'inconvenienti temuti osservando gli accordi con Carlo, non si sarebbero verificati stringendo patti somiglianti con un altro principe, ed il prescelto fu il proprio zio Amedeo V. La convenzione fra il conte di Savoia e Filippo fu stipulata soltanto più tardi, ma già dal 17 giugno erano nominati i procuratori del primo a conchiuderla (2). Per mostrarsi

(1) Iura Montisreg., ff. 423-424. ADRIANI, Ind., 54.

(2) Arch. di St. di Tor., Prov., Asti, Mazzo II, n. 18. Cfr. però CAMERA, II, 131 sg. CIBRARIO, II, 291, escludendo Ciriè, ch'era di Margherita di Savoia e che

indispensabile e tôrre insieme a' cittadini confidenza di fargli opposizione, procurò il Principe d'Acaia fossero battuti alla prima occasione; nè questa tardò. Il 24 giugno gl'intrinseci, il marchese di Ceva ed un corpo di militi chieresi, movevano insieme con lui al colle di Mortiola e vi gettavano le fondamenta di una villa, scavando larghi fossati e costruendo una solida palizzata. Ivi ponevano lor stanza uomini e donne di Murisengo e di Montiglio, trasportandovi ogni avere: ma il luogo non era ancora ultimato, che già Filippo voleva partirsene. Lo si trattenne alcuni di con premure; infine decise di ritirarsi, nè consenti, come capitano generale, che vi restassero almeno le milizie cittadine, i Chieresi e Giorgio di Ceva, ma lasciov vi solo un piccolo presidio sotto Oddone di Castellinaldo. Ritornato l'esercito in Asti, subito Manfredo IV e gli estrinseci vennero ad assalire la nuova terra, espugnandola il 16 luglio con la morte del Castellinaldo e prigionia degli altri difensori. Gli occupanti, ch'erano mossi in aiuto, avvertiti per via, tornavano addietro: pieni di maltalento contro il Principe, gli lasciarono intendere che se non avesse preso pronta vendetta del disastro, lo avrebbero ritenuto come nemico. Si avvicinava per lui il momento decisivo sotto colore di voler marciare contro Manfredo IV ed i fuorusciti, coi quali, invece, cominciava ad intendersela, chiamò in armi quante truppe aveva; nè soltanto sue, ma anche del conte di Savoia. Parendogli allora di esser forte abbastanza, dichiarò a viso aperto le sue intenzioni ad alcuni su cui riteneva poter contare: tra questi era il capitano del popolo, Raimondino da Terzago, compro con molto denaro. Fe' dunque raccogliere una moltitudine di cittadini nell'orto de' frati minori: il suo assessore, Nicolino Duc, che aveva il carico di dirigerla, badò si componesse principalmente di amici de' fuorusciti. In questa ragunata, presente Filippo medesimo, proponeva il Duc di dar balia al Principe per riappaciare gli occupanti e gli estrinseci: gli amici di questi ultimi ed alcuni ingenui o corrotti vociavano: « Sia, sia!» Ma Catalano Solaro, nobile e sdegnosa figura di cittadino, sorse primo a ribattere che nè re nè principe gli farebbe far pace cogli uccisori di suo padre; e le sue parole trovarono eco in più d'uno. Ed ecco Sibaudo Solaro mettere

io riterrei rispettata da Filippo; DATTA, II, 36 segg., 39. Cfr. anche B. SAN GIORGIO, 94, e G. VENTURA, cc. 42, 756. Più tardi, il 2 aprile '307, Filippo di Acaia riceveva l'omaggio anche di Enrico ed altri signori della Rocca di Corio, che gli donavano i loro possessi e n'erano da lui rinvestiti (BERTOLOTTI, Pass. nel Canav., VII, 284). Arch. Com. di Gassino, Privil., etc.: 4 marzo '305.

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innanzi una proposta dilatoria, che poteva essere capziosa tanto a danno del Principe quanto della libertà: esser nulle le decisioni di quell'assemblea senza titolo effettivo; si convocasse il maggior Consiglio, che avrebbe deciso al riguardo. Piacque il partito, e Filippo dispose per la convocazione del Consiglio in giornata. Ma il podestà Isimbardi, cui essa toccava, era apertamente ostile a' disegni liberticidî: rifiutò dunque, e bisognò che il Terzago assumesse sovra di sè la responsabilità di far suonare e bandire il Consiglio la mattina seguente, anzi l'aurora. I Solari ed i loro fautori vi accorsero numerosi, e la seduta fu tempestosissima. L'assessore Duc ripetè le proposte del giorno avanti, e per far pressione sugli animi, il Principe, che stava nella vicina canonica in attesa dell'esito, mandò a dire al Terzago venisse a lui con tutti i Consiglieri per deliberare in sua presenza. Tra' contrari pareri, lo strepito diventava immenso; onde Filippo chiese ad un cittadino in cui aveva fiducia, che fosse tanto rumore. Rispose: «Monsignore, io temo per la persona vostra, chẻ si vocifera tra il popolo esser d'uopo imitare l'esempio degli Alessandrini col marchese di Monferrato ». Fosse generosa menzogna, o corresse davvero il motto, come pare d'altronde, Filippo ne fu intimorito: rinunziò pel momento al disegno, accontentandosi che i cittadini giurassero di non darsi al Re per tre anni, ed il 23 del mese rinvio tosto la consorte sotto colore andasse in Acaia. Ma le apparenze non rispondono mai alla realtà, e le precauzioni non provano soltanto la paura, ma accennano anche a perseveranza d'intendimenti. Il 26, infatti, nella solita casa degli Scarampi, abitazione del Principe, convenivano con lui i procuratori del Conte di Savoia, Ugo di Rupecula e Rodolfo di Montmajeur, e stipulavano alleanza e fraternità fra i contraenti « ad onore ed incremento della casa di Savoia. Ogni acquisto in Lombardia sarebbe comune, ottenendone ciascuna delle parti la metà, purchè così l'una come l'altra vi avessero concorso con soldati a richiesta reciproca, intendendosi sufficiente la domanda fatta dal Principe al balì di val di Susa; procurerebbero entrambi d'impadronirsi di Asti e di Chieri col loro territorio, dividendole al modo stesso, riservati però esclusivamente a Filippo i castelli di Montozolo, Revigliasco e Troffarello; concorrerebbe il Principe a difendere il paese non solo del Conte, ma si anche di Margherita di lui figlia; le spese sarebbero comuni, dovendo ciascuno tenere ugual numero di armati per far guerra al marchese di Monferrato od a chiunque altro volesse opporsi a' lor disegni su Asti. A giudizio d'arbitri si lasciava la definizione dei

diritti di Filippo riguardo allo stipendio dovutogli come capitano d'armi di questa Città, e così qualsiasi altra controversia potesse insorgere a proposito della convenzione presente. Infine, per l'esecuzione di essa, era stabilito che dovesse tosto passare in Lombardia od Amedeo V stesso, o suo figlio Edoardo, e rimanervi fino a guerra finita, ovvero a tempo in cui non fosse più necessario mantener truppe per difesa degli acquisti fatti (1). L'occasione, però, era perduta, anzi non era stata mai; quindi anche questo trattato rimase lettera morta.

Intanto le ripetute provocazioni del Principe al Re, con rompere i patti del 17 novembre '305, continuar la guerra contro Saluzzo, esigere dagli Astigiani giuramento di non darsi al siniscalco, avevano finito per condurre Carlo II a staggirgli quanto ancor rimaneva del principato d'Acaia, perocchè una parte era pur caduta in mano dell'imperatore Andronico. E vieppiù s'ingarbugliavano le cose del Piemonte, quando in settembre approdava a Genova Teodoro Paleologo, finalmente licenziato da' genitori, dopo verificata l'impossibilità della nascita di figli postumi di Giovanni I. Il giovane marchese, tolta in moglie Argentina - figliuola di Opizzino Spinola, un de' capitani di quella Republica -, veniva subito ricevuto in Casale col favore di Filippone di Langosco, e di là invitava tutti i signori e tutte le terre del Monferrato a prestargli la debita fedeltà (16 settembre). Il 21, dopo breve resistenza, Pontestura si sottometteva a Teodoro, e presto ne seguiva l'esempio Mombello. Siccome poi gli Astigiani, nemici implacabili di Manfredo IV, avevano dato fin allora aiuto a' guelfi monferrini contro di lui, il Paleologo desiderò procedere a più stretta alleanza con essi, epperò si abboccavano il 29 al ponte della Rotta, presso Grazzano, conducendo ancora le milizie astesi il principe Filippo. I due signori si gettarono le braccia al collo: da parte di quest'ultimo era, al dir del Ventura, il bacio di Giuda. Tra le parti fu combinato che, essendo il marchese di Saluzzo nemico di entrambe, il Comune aiuterebbe il Monferrino a ricuperare il suo Stato, e questi, a sua volta, li soccorrerebbe contro i fuorusciti. In realtà, di ritorno in Asti, Filippo cercò di frastornar l'alleanza con Teodoro, considerando le offese de' Paleologi nell'Acaia fermolla nondimeno la Republica, e così si aggiunse nuova

(1) Si cfrti insieme G. VENTURA, cc. 41 e 47, 752-753 e 760-761. Gli storici nostri di uno fecero due tentativi. CIBRARIO, St. mon., II, 285, n. 2. — DATTA,

II, 38 segg.

Rivista Storica Italiana, XI.

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