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ragione delle offese parziali, divietando assolutamente per l'avvenire i nomi di << ghibellini » e di « guelfi » a fine di togliere « ogni scintilla di civile discordia». Per adempiere agli ordini regî, il 30 luglio seguente si procedeva ad un nuovo trattato di pace fra Monteregale, gli Angioini, il vescovo d'Asti ed i Bressani, per cui, definite le vertenze fra i medesimi, il Del Balzo rimetteva nella terra i Bressani stessi e loro seguaci, con obbligo ad essi di osservar pure gli accordi fra il Monte e Nano di Ceva. In quest'atto la Chiesa d'Asti appare strettamente unita colla curia regia: era l'ultima tavola di salvezza a cui si appigliava tenacemente a difesa degli avanzi dell'antica signoria; perchè, sebbene il 12 gennaio di quell'anno parecchi nobili di Cocconato impegnassero al vescovo Guido il loro feudo di Montaldo, ed anche più tardi i suoi successori facessero altri acquisti, omai la nuova situazione politica generale era tale, che condannava ineluttabilmente l'avvenire di tutte le potenze ecclesiastiche subalpine. Infatti anche le arıni temporali e spirituali del vescovo di Torino si frangevano in quegli anni, in ogni circostanza, contro i principi sabaudi ed altri meno forti di essi così il vescovo Tedisio, dopo lunga contesa con Amedeo V, durante la quale non mancò di fulminare la scomunica contro gl'innocenti Lanzesi, era poi costretto nel dicembre '309 a subire i patti impostigli dal Conte, rinunziando ai diritti signorili su Lanzo e sulle sue valli in cambio del permesso di riscuotervi le decime ed i novali; e la sua condizione era talmente immiserita, che nel '308 dovette chiedere l'incorporazione della prepositura di Leramo nella sua mensa, e nel '310 anche della pievania di Caraglio (1).

Soltanto gl' intrinseci d'Asti continuavano la guerra contro gli estrinseci, riportando in aprile un successo al ponte della Versa, nel giugno un altro sotto Masio, nel luglio un terzo sotto Moasca. In agosto, eletti quattro consoli in sostituzione del podestà scadente Bergadano di San Nazario, pavese, tornarono gl'intrinseci, con Giorgio di Ceva ed un corpo di ausigliari chieresi, ad assalire Moasca e vi posero intorno l'assedio. A soccorrer la terra, si raccoglievano i fuorusciti ad Incisa, ed il marchese di Saluzzo tendeva loro la mano,

(1) Arch. di St. di Tor., Real Casa, Princ. Ac. MULETTI, III, 81 segg. Cfr. anche G. DELLA CHIESA, 945. Liber instrum. Montisreg., ins. cit., ff. 72 segg. (cfr. ADRIANI, Ind., 54) e 76 segg. (2 agosto: ratifiche dei Bressani; 20: proclamazione della pace). Libro Verde della Ch. d'Asti, f. 23.

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USSEGLIO, Lanzo,

85 segg. Amedeo V agiva a nome della figlia Margherita, perchè Lanzo, Ciriè e Caselle furono incorporate nello Stato sabaudo solo dopo la morte di lei. SEMERIA, St. Ch. metrop. di Tor., 189, Torino, 1840.

avanzandosi fino a Cassinasco. Dopo alcuni scontri insignificanti, l'arrivo di un intero esercito chierese decise i fuorusciti ad arrendersi dopo 22 giorni di resistenza, ed i vincitori distrussero il luogo dalle fondamenta, recandosi quindi in settembre a devastar le seminagioni di Sommariva del Bosco, dove colsero molti di quei terrazzani alla campagna e li trassero via prigioni a scorno dell'odiato Guglielmo Isnardi (1).

La tregua fra Saluzzo ed Acaia doveva convertirsi in pace sul principio del '309 colla nuova sentenza intorno a' feudi di Casalgrasso e Castagnole pronunziata il 4 gennaio dall'ammiraglio Corrado Doria: però non pare ch'essa abbia avuto effetto (2). Dal canto suo, Carlo II, per ovviare a' molti inconvenie uti che la sua lontananza recava alle proprie terre subalpine, le cedeva al figlio Roberto, ordinando con sue lettere a Raimondo Del Balzo di far da loro prestare il dovuto giuramento a' rappresentanti del nuovo signore, nominati invero il dì medesimo 17 febbraio nelle persone di Rainaldo De Leto, or siniscalco di Provenza e di Forcalchieri, e Raimondo d'Aquila, giudice e consigliere del Re (3). Ma già nuovo strepito d'arme si faceva intendere per le contese civili di Alessandria, che or si aggiungevano a quelle d'Asti con non dissimile successo. Nel febbraio stesso, la possente famiglia de' Guaschi, capi di parte guelfa, cacciava il non men cospicuo casato dei Lanzavecchia, che si restrinse tosto cogli esuli astesi. Nè molto andò che di Alessandria uscì anche Guglielmo Inviziati, traendosi dietro, oltre la sua famiglia, Merlani, Firoffini e Squarzafichi - questi ultimi diventati di guelfi ghibellini. Di fronte a questi avvenimenti, gl'intrinseci d'Asti ritennero saggio avviso riaccostarsi a Filippo di Acaia, con cui avevano già aperto negoziati finora senza frutto. Il 6 aprile, i consoli Robertono Trotto e Berardo Solaro convenivano seco in Chieri e riuscivano a stipular nuovi patti. In virtù di essi, otteneva il Principe un censo annuo vitalizio di 4500 lire di buoni denari astesi piccoli, annullando dal canto suo tutte le convenzioni o pratiche contrarie alla Republica od a cittadini astesi, trannechè non fosse pagato il censo. Inoltre egli assicurava il Comune dalle pretese degli stipendiarî, e prometteva di tenerlo indenne da ogni domanda

(1) G. VENTURA, c. 45, 758.

(2) Arch. di St. di Tor., Prott. ducc. Il 18 febbraio Manfredo IV investi Paoluccio di Nucetto della terza parte di Cavallerleone ch'egli aveva acquistata il di innanzi da Ottone di Rossana (MULETTI, III, 85 segg.).

(3) DATTA, II, 57 segg.

al riguardo, tranne rispetto a Guglielmo di Mombello, che doveva essere soddisfatto a parte. Facendosi pace tra occupanti e fuorusciti, costoro dovrebbero ratificare espressamente gli obblighi assunti da quelli col presente trattato; intanto, però, Filippo escluderebbe gli estrinseci dalle proprie terre, considerandoli come ribelli, nemici e banditi proprii, e farebbe loro viva guerra, « intendendosi per Comune d'Asti la parte guelfa allora al potere ». Le questioni che potessero insorgere, sarebbero deferite a' Chieresi, i quali sembrano pertanto, da tutto il complesso del documento, aver servito da mediatori. Il 22 aprile stesso, il siniscalco regio di Piemonte congregava in Cuneo i signori e delegati delle terre angioine di quel distretto e faceva da loro prestar nuova fedeltà a Roberto in mano de' procuratori De Leto e D'Aquila: ne' di seguenti facevasi altrettanto in Busca, Demonte, Savigliano, Fossano, Cherasco, Alba e Monteregale (1). Era tempo. Ancora una volta, il 5 maggio ('309) segnava una data memorabile: moriva Carlo II, ed in tutti i suoi vasti e diversi domini succedeva appunto Roberto, mentre già fin dal 27 novembre '308 era stato eletto e proclamato un nuovo re dei Romani in Enrico VII di Lussemburgo, che s'impegnava a passare entro due anni in Italia a cingervi la corona imperiale.

V.

Enrico VII e Roberto d'Angiò: loro carattere nella storia. seci astigiani a Quattordio: arbitrato di Amedeo V e di poraria restituzione de' fuorusciti. Pacificazione degli sciatori di Enrico VII in Lombardia. Solari, e dedizione di Alessandria. in Asti, i Tizzoni in Vercelli. Franchigie elargite da Amedeo V e da Filippo: i due Sabaudi alla corte di Enrico VII. Il conte di Savoia vicario generale di Lombardia: suoi rapporti finanziarî con Asti. Obblighi assunti dai De Castello verso il Principe: sua nomina a vicario di Pavia, Novara e Vercelli. Pace definitiva fra Teodoro I e Manfredo IV, e franchigie concesse dal secondo. Triste fine del vicariato di Filippo: riforma degli Statuti in Chieri e nuove discordie civili astigiane. Condizione di Fossano: i De Castello cacciati da Asti. Filippo occupa Riva e Poirino: dedizione di Asti a Roberto. Enrico VII dona Asti ad Amedeo V: guerra aperta fra Angioini ed Imperiali in Piemonte. Nuove donazioni imperiali a Manfredo IV e ad Amedeo V guerra fra Saluzzo ed Angiò. Bando contro le città angioine del Piemonte: morte di Enrico VII. I guelfi sotto Milano: dedizione de' Soleri d'Ivrea ad Amedeo V. Accordi del Conte col Principe: loro patti col Comune e col vescovo d'Ivrea. Lega sabauda contro i Provenzali. Assedio di Dronero: Roberto accetta la signoria di Asti.

Sconfitta degl'intrinFilippo di Acaia, e temStati subalpini: ambaRe Roberto in Piemonte: trattato coi Discesa di Enrico VII: i De Castello rimessi

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Il nome di Enrico VII suscita anche nel lettore moderno una forte e nobile impressione al ricordo delle speranze di Dante e del

(1) GHILINI, Ann., 58 seg.; SCHIAVINA, Ann. Alex., in M. h. p., Script., IV, 303

Compagni, cui si potrebbero aggiungere il Ventura, il Mussato, il Da Cermenate e quanti uomini del tempo suo non traviò acciecamento di parte. La grandezza dell'animo, l'onestà degl'intendimenti, il disinteresse profondo, la stessa fine immatura, destano ancora molta simpatia per l'ultimo Imperatore del Medio Evo, colla cui morte suolsi incominciare l'età nuova del Rinascimento. Altro il senso che proviamo rammemorando Roberto di Napoli, il «re dei preti », come lo chiamarono per ischerno, ma anche l'amico di Francesco Petrarca e de' primi umanisti, uomo dotto invero nelle cose teologiche, autore di trattati sulla povertà monastica, pur ip politica destro ed aggiratore, intorno al quale un vero giudizio non può ancora essere pronunziato senza temerarietà. Due uomini diversissimi, ad ogni modo, compiacevasi il caso, come sempre, di mettere a fronte, ed il Piemonte era il primo teatro in cui si dovevano incontrare ed urtare (1).

Enrico VII aveva sposata la cognata di Amedeo V: così alle tradizioni imperialistiche della Casa sabauda si aggiungeva nella parentela un nuovo elemento di colleganza fra il re dei Romani ed il Conte. Era morto da poco Carlo II, quando, nel giugno '309, Amedeo V fu delegato ambasciatore di Enrico al Papa, insieme con altri prelati e baroni, a chieder libero accesso in Italia ed a Roma per l'incoronazione. Il felice esito dell'ambasciata incoraggiò il Cesare tedesco, sebbene solo nella primavera del '310 premettesse alcuni suoi nunzî e rappresentanti ad indagare le condizioni d'Italia, quale accoglienza vi avrebbe trovato, chi gli si sarebbe dichiarato risoluto fautore, chi tepido aderente, chi aperto o segreto nemico (2). In Piemonte, la lotta delle fazioni, cessata all'interno dei dominî angioini, continuava all'infuori di essi, ed ammantate de' pomposi

(L'anno va corretto in '308). G. VENTURA, C. 47, 761. DATTA, II, 51 sgg., 61 segg. Cfr. ADRIANI, Docc. prov., 70, e Ind., 55. Il De Leto fu a Cuneo ed a Busca col D'Aquila, poi andò solo a Demonte, tornando in Provenza, mentre il D'Aquila si recava nelle altre terre.

(1) Su Enrico VII, oltre le collezioni del Böhmer, del Dönniges e del Bonaini, che saranno man mano citate, DÖNNIGES, Kritix der Quellen für Gesch. Heinrich VII, Berlino, 1841; FELSBERG, Beiträge zur Gesch. des Römerzuges Heinrich VII, I, Lipsia, 1886: SOMMERFELDT, Die Romfahrt Kaiser H. VII, Königsberg, 1888 (cfr. Deutsche Zeitschrift für Geschichtswissenschaft del 1889), e FERRAI, St. stor., 3-44, Padova Verona, 1892. Su Roberto fu bandito due volte concorso dalla R. Accad. di Napoli, ma andò deserto. Come materiale, è sempre da consultarsi il CAMERA, Ann. Due Sic., II, 154 segg. Lavoro speciale mediocre, SIRAGUSA, L'ingegno, il sapere e gl'intendimenti di Rob. d'Angiò, Palermo, 1891.

(2) PERTZ, Mon. Germ. hist., Leges, IV, 492 segg.; BONAINI, Acta Henr. VII, I, doc. 2, Firenze, 1877. G. DA ČERMENATE, Hist., c. 10, in Fonti per la st. d'It., II, 20.

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nomi publici di ghibellini e di guelfi, incrudivano le rivalità politiche e le inimicizie famigliari. Filippo di Acaia aveva tolto a Teodoro I i castelli di Settimo e della Rocca nel Canavese; altrove i villici di Settime, per sottrarsi a' signori, distruggevano la propria terra e coll' aiuto degli estrinseci d'Asti, ne edificavano un' altra sovra un' altura poco distante, dove la posizione li affrancava dal giogo baronale. I Guaschi ed i Lanzavecchia, alessandrini, i Solari e i De Castello, astigiani, non desistevano dalle reciproche offese: in maggio, gli occupanti astesi devastavano il territorio d'Incisa; poi, rinforzati da 300 Chieresi, parte movevano a Felizzano, parte, rimasti nella città, si recavano infine essi pure ad Annone. Dovevano gli uni avanzare, gli altri retrocedere su Quattordio per darvi il guasto: durante le loro mosse, i fuorusciti uscirono da Incisa e da Masio, e colti in imboscata i nemici disgiunti, ne sgominarono ambi gli eserciti, gettando grande costernazione ne' vinti. I Chieresi non opposero alcuna resistenza: in tutto, i collegati ebbero oltre 400 uomini fuori combattimento, la maggior parte prigioni, tra i quali più di 25 delle ville, 12 popolani e 7 nobili, cioè Robertono Trotto, due Solari, due Pelletta e due Malabayla. Nel terrore, furono chiamati in gran fretta Filippo, che entrò in Asti con 100 militi, e Giorgio di Ceva, con 20 (1). Il 22 luglio, îl re di Napoli, da Avignone, confermava ad Ardizzone Operto l'aderenza già fatta da Carlo I con Pietro Operto di Sarmatorio, ed il 15 agosto rinnovava le convenzioni de' suoi antecessori con Cherasco: atti, invero, confacienti a nuovo signore, ma che possono anche significare preparazione di una base per una prossima azione diplomatico-militare (2). Ma Filippo fu pronto a prevenire ogni disegno sifatto e, prevalendosi delle circostanze, conseguire quanto gli era stato ricusato tre anni avanti, la balía per riconciliare occupanti e fuorusciti d'Asti. Ebbela il 5 agosto, in pieno Consiglio generale, unitamente col conte di Savoia, che ispirava forse maggior fiducia in sua ben nota lealtà. Apposita ambascieria si recava a Chambéry ad invitare Amedeo, ed egli, passate le Alpi, cominciava a pronunciare il 31 ottobre che il Comune dovrebbe pagare ogni anno al Principe 3000 lire astesi, oltre le 4500 convenute nell'aprile; poi, il 18 dicembre, dava con Filippo il lodo sulle differenze civili. In virtù di esso, erano tenuti gli estrinseci a rendere senza riscatto i prigioni fatti a Quattordio

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(1) B. SAN GIORGIO, 96; G. DELLA CHIESA, 945. G. VENTURA, cc. 51-52, 768-770. (2) ADRIANI, Degli ant. sigg. de Sarmat., Manz. e Monfalc., 424 seg., Torino, 1853. IDEM, Ind., 55; VOERSIO, St. di Cher., 181 seg.

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