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COMMEMORAZIONE

DI

ARIODANTE FABRETTI

L'improvvisa morte di ARIODANTE FABRETTI destò nell' animo degli Italiani, che rammentano l'aspro cammino del nostro risorgimento, vivo cordoglio, in tutti i cultori degli studi storici e archeologici profondo rammarico, nei collaboratori e lettori della Rivista storica italiana lutto quasi domestico. Imperocchè, se l'avanzata età più non concesse al Fabretti di prestare attivamente l'opera sua alla nostra rassegna, egli ci fu largo di consigli e di conforto. Or sono undici anni l'illustre uomo, iniziando l'impresa e chiarendone bene lo scopo, conchiudeva con queste parole, che ci valsero costantemente di programma: « La via, in cui entra la Rivista storica, sarà libera a coloro che vogliono percorrerla, ossequenti alla verità, contrari a illodevoli compiacenze, e fiduciosi nel risorgimento della patria italiana, che perdura fedele alle sue tradizioni ».

Più di ducento cultori degli studi storici seguirono la via tracciata dal Fabretti, accogliendo con fede il nobile invito; primi i venerandi Giuseppe De Leva e Pasquale Villari, altamente benemeriti della patria e della scienza non solo per gli scritti, ai quali è assicurata fama immortale, ma per la generosa figliazione di tanti valenti allievi, onore e lustro dei loro maestri. Scomparirà dal frontispizio della nostra Rivista il nome del Fabretti, ma rimarrà intatta la bandiera, ch'egli ha innalzato, sorretta dai valentuomini, che si schierarono nelle sue file.

In questa fede il commemorare Ariodante Fabretti è per me, che l'ebbi a maestro, amico e consigliere per quasi trent'anni, non solo un bisogno del cuore, ma un dovere ravvivato dalla certezza

Rivista di Storia Italiana, XI.

40

d'interpretare i sensi di tutti i collaboratori della Rivista e segnatamente di quei valorosi, G. De Leva e P. Villari, che con lui mi furono sprone e guida nel difficile cammino.

Ariodante Fabretti nacque da modesta famiglia in Perugia il 1o ottobre 1816, quando i restaurati governi spalleggiati dall'Austria imprendevano a demolire l'edifizio elevato dalla rivoluzione francese. Alle carceri e ai patiboli il governo pontificio aggiungeva le armi spirituali, sebbene irrugginite dal tempo e smussate nella coscienza universale.

Perugia aveva nobili tradizioni letterarie, artistiche ed archeologiche. Il Fabretti giovinetto vi compì i primi studi, guidato dal Mezzanotte nelle lettere classiche, e spronato dal Vermiglioli alla disamina dei monumenti antichi. Attese pure alle scienze naturali col Purgotti e col Bruschi. Parve anzi, che queste dovessero ispi rare tutta la sua vita, essendosi dedicato nell'università di Bologna (dal 1837 al 1839) alla zooiatria; ma ritornato in patria, attratto dalla storia paesana e dagli insegnamenti del Vermiglioli, riprese la via, su cui la sua intelligenza aveva fatto i primi passi.

Rovistando gli archivi di Perugia e di altre città dell' Umbria, raccolse gran copia di documenti sui numerosi capitani di ventura, generati nell'ultima fase del medio evo da quella forte regione italica; seppe, più per intuizione propria che per direzione avuta, valersene con metodo scientifico; e col valido loro sussidio scrisse le Biografie dei capitani venturieri dell' Umbria, che si stamparono tra il 1842 e il 1845 a Montepulciano in cinque volumi, dei quali quattro di testo ed uno di documenti. Pubblicazione notevolissima in sè stessa, ma ancor più, se la consideriamo in rapporto ai tempi e ai mezzi, di cui potè valersi il giovine Autore.

Il Fabretti, sebbene fosse d'animo mite e d' indole quieta, sentì fin dall'adolescenza profonda avversione al governo papale e a tutte le tirannidi indigene e forestiere, che opprimevano la libertà della patria e del pensiero; perciò, quando s'arrischiava la vita coll'ascriversi alle società segrete, fu carbonaro e libero muratore. Salutò con gioia il risorgimento italiano del 1848, e, quando ebbe fatta mala prova il liberalismo di Pio IX, accolse con animo fidente le idee di Giuseppe Mazzini. I Perugini lo elessero loro deputato all'Assemblea costituente romana del 1849. Non prese parte attiva alle discussioni parlamentari; ma tanta era la fiducia e la stima, di

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