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cui godeva, che, quantunque tra i più giovani deputati, fu nominato segretario dell'Assemblea.

Con la caduta della repubblica romana termina il primo periodo della vita di Ariodante Fabretti, e cominciano le dure prove dell'esilio.

La restaurazione del governo pontificio lo costrinse ad emigrare dalla terra natia. L'emigrazione fu per lui, povero ed onesto, come per tanti illustri e valorosi patriotti, un periodo di angustie e di sofferenze indicibili, sopportate con grande serenità d'animo e dignità di condotta, ma ad un tempo stimolo ad una grande produzione letteraria e scientifica.

Non era ancora svanita ogni speranza di libertà nella Toscana, sebbene già contaminata dall'invasione austriaca; il Fabretti si rifugiò a Firenze, non tanto remota dalla sua cara Perugia, e sede prediletta delle lettere e delle arti. La coltura archeologica attinta agli insegnamenti del Vermiglioli trovò pure un terreno propizio ad esplicarsi nella patria degli antichi Etruschi. Pertanto, mentre attendeva col Bonaini e col Polidori alla pubblicazione delle Cronache e storie inedite di Perugia dal 1150 al 1563, che formarono il vol. XVI dell'Archivio storico italiano, iniziava il suo grande lavoro sulle iscrizioni etrusche, che doveva più tardi elevarlo tra i più eminenti archeologi italiani.

Quando la reazione prese ad infierire anche nella Toscana, il Fabretti, già segretario della Costituente romana e mazziniano, fu espulso dal territorio granducale (1852). Poverissimo andò ramingando in Piemonte, divenuto asilo sicuro dei patriotti e faro luminoso del risorgimento nazionale. Non lo attrasse la politica, ma riprese con fervore lo studio delle antiche lingue italiche, mentre guadagnavasi uno scarso sostentamento con lezioni private. Parecchie monografie risalgono a questo periodo della sua vita, come: Di alcune iscrizioni etrusche scoperte in Perugia sul finire del 1852; Sopra due iscrizioni etrusche, che si conservano negli Stati Sardi, l'una a Genova, l'altra a Torino; Di una iscrizione etrusca scoperta nel territorio di Volterra. Solo nel 1858 il governo subalpino lo nominava secondo assistente del r. museo di antichità con uno stipendio meschino.

La grande commozione politica, dalla quale sgorgò il nuovo regno d'Italia nel 1859-61, valse a lenire molti dolori, a temperare sofferenze, a correggere ingiustizie, e in particolare modo a liberare il

Fabretti dalle strettezze, in cui era fino allora vissuto; imperocchè il governo subalpino, per quanto ispirato da sentimenti nazionali, era naturalmente diffidente dei mazziniani, sebbene quieti e laboriosi. Fu un decreto del dittatore dell'Emilia, che nominò (22 novembre 1859) il Fabretti professore di lettere italiane nell'università di Modena e vice-bibliotecario dell'Estense; fu un altro decreto del governo emiliano, che lo chiamò (4 febbraio 1860) alla cattedra di lingue italiche antiche nell'università di Bologna. Compiute le annessioni, un r. decreto dell' 11 agosto 1860 lo eleggeva professore di archeologia nella r. università di Torino. Il Fabretti gradi rimanere in Torino, già sua dimora da otto anni, fornita di un ricco museo di antichità, alla cui direzione venne poi preposto nel 1872; e in Torino spiegò la miglior parte della sua attività didattica e scientifica.

Ariodante Fabretti non ebbe le doti brillanti dell'insegnante, non voce gagliarda, non intonazione incisiva, non copia di eloquio; ma possedeva virtù più solide e proficue, come conoscenza profonda della materia insegnata, idee chiare e lucide, ordine preciso e opportuna selezione. Non fu popolare tra gli studenti nel senso, che comunemente si attribuisce a questo vocabolo, perchè il suo portamento severo, calmo e riservato, ingenerava più rispetto che intima confidenza; ma tutti l'amarono schiettamente, perchè in lui veneravano la dottrina, l'integrità del carattere e la bontà paterna.

La cattedra gli fu eccitamento a nuovi scritti. Numerose monografie del Fabretti, per la maggior parte d'indole archeologica, comparvero nella Nuova enciclopedia popolare, nella Rivista contemporanea, nell'Archivio storico italiano, nel Bullettino dell'Isti tuto archeologico, nelle Memorie della Società di storia patria dell'Emilia, nelle Memorie e negli Atti dell'Accademia delle scienze di Torino, negli Atti della Società di archeologia e belle arti per la provincia di Torino, negli Atti dell'Accademia dei Lincei, nell'Annuario dell' Università di Torino, ecc. La sua fama europea fu però specialmente determinata dall'opera monumentale del Corpus inscriptionum italicarum antiquioris aevi et glossarium italicum, in quo omnia vocabula continentur ex Umbricis, Sabinis, Oscis, Volscis, Etruscis, aliisque monumentis, quae supersunt, collecta, et cum interpretationibus variorum explicantur. L'opera cominciò a pubblicarsi nel 1858 e fu terminata solo nel 1867; venne dipoi arricchita di tre notevoli Supplementi, di cui l'ultimo edito nel 1878. Non è qui luogo per esa

minare e mettere in rilievo questa grande opera scientifica del Fabretti; ma anche i profani degli studi archeologici sanno, quanto progresso le sia dovuto nella conoscenza delle antiche lingue italiche.

La direzione del Museo di antichità gli fu incitamento a nuovi scavi, di cui lasciò ricordo in parecchie Memorie, splendida tra le altre quella Dell'antica città d'Industria detta prima Bodincomago e dei suoi monumenti (Torino, 1881); lo spinse ad arricchirlo di nuovi acquisti, specie subalpini, come può rilevarsi dalle notizie, ch' egli scrisse sul Museo di antichità della r. università di Torino nel 1872 e nel 1884; e sopratutto gli consigliò la Raccolta numismatica del r. museo di antichità di Torino (Monete consolari), di pp. VIII-332, e l'opera monumentale, compiuta con la collaborazione dei professori F. Rossi e R. Lanzone, Il Regio Museo di Torino ordinato e descritto. Sono quattro grossi volumi, il 1° e il 2o Antichità egizie di pp. 484, 342 dei proff. Rossi e Lanzone, il 3o Monete greche di pp. 644 e il 4° Monete consolari e imperiali di pp. 860 tutta opera del Fabretti.

Negli ultimi anni di sua vita, quando le fatiche dell'insegnamento erangli divenute troppo gravi, e più non poteva attendere con la consueta solerzia ai lavori archeologici, quasi a riposo della mente il Fabretti tornò a' suoi studi giovanili. Si procurò una piccola stamperia, e passava le giornate componendo co' suoi tipi e stampando con l'opera delle sue mani i Documenti e le Cronache di Perugia, di cui dette in luce ben sei volumi, con prefazioni storico-critiche, annotazioni dichiarative e ordinati indici dei nomi e delle cose. Lo scarso numero di esemplari impedi forse a molti cultori delle nostre storie municipali di trarre profitto da questa pubblicazione, che meriterebbe una edizione nuova nella raccolta della Deputazione di storia patria per le Marche e l'Umbria.

Assai spesso gli eruditi e gli scienziati difettano di senno pratico nelle amministrazioni, oppure le sdegnano, quasi abbiano consumato tutto l'intelletto nelle indagini o nella speculazione. In Ariodante Fabretti invece il buon senso fu compagno fidato della rettitudine, la perspicacia nelle faccende amministrative fu all'altezza della intelligenza scientifica, l'indipendenza dell'opinione assoluta anche di fronte ai più intimi e cari amici. Non ebbe, e fu pregio singolare in tempi torbidi di rivoluzioni, attitudine alcuna agli intrighi e ai maneggi della vita pubblica; per troppa riservatezza e fors' anco a causa della debolezza del suo timbro vocale, pur così dolce e carez

zevole come il suo volto abbellito dalla folta barba fluente sul petto, non era inclinato ad una parte attiva in assemblee deliberanti.

Tuttavia la nativa Perugia lo elesse suo deputato nel 1876 e il governo del Re lo nominò senatore nel 1889. La città di Torino. l'ebbe amministratore sagace dell'Istituto delle figlie dei militari, promotore e presidente della Società di cremazione, suo consigliere municipale e membro di parecchie commissioni cittadine. Non fu appariscente l'opera sua, ma tornò molto proficua al bene pubblico, perchè ispirata da una mente lucida e colta, diretta da un singolare buon senso e sorvegliata da una coscienza integra e pura.

Sebbene alieno dagli onori per principii e per indole, gli onori lo ricercarono dopo il 1860, quasi a compensare l'oscurità, in cui aveva trascorso il primo laborioso periodo della sua vita. Fu commendatore della corona d'Italia, uffiziale mauriziano, cavaliere e consigliere del merito civile di Savoia, cavaliere della legione d'onore di Francia e della Rosa del Brasile. L'Accademia delle scienze di Torino lo noverò tra i suoi membri, e lo volle suo presidente e direttore della classe delle scienze morali, storiche e filologiche; fu membro dell'Accademia dei Lincei, dell' Istituto lombardo di scienze e lettere, del r. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, delle Deputazioni di storia patria della Toscana-Marche-Umbria e della Romagna e della Società reale di Napoli, presidente della Società di archeologia e belle arti della provincia di Torino, socio corrispondente dell'Accademia della Crusca, dell'Istituto di Francia, dell'Academia de l'historia di Madrid e dell'imperiale istituto archeologico germanico. Questi onori dimostrano l'alta estimazione, che i Governi e gli Isti tuti scientifici ebbero per l'opera di Ariodante Fabretti.

Dell'estimazione e dell'affetto universale fu interprete fedele la cittadinanza di Torino, quando con vivo dolore ne apprese la morte improvvisa avvenuta in Monteu il 15 settembre, e quando ne accompagnò riverente e commossa al camposanto la salma, che, ridotta in cenere dal fuoco purificatore dell' ara crematoria, dovette con rammarico restituire alla diletta Perugia.

Dell'alta stima e della viva affezione, ch'ebbero per Lui, ed hanno tuttora per la Sua memoria i collaboratori della Rivista, vorrei essere stato io interprete meno indegno, perchè a commemorarlo mi spinse non la consuetudine e l'ufficio mio, ma l'impeto del cuore e la gratitudine imperitura del discepolo per il grande maestro.

C. RINAUDO.

MEMORIE

Irnerio secondo la nuova critica storica.

È notevole come il centenario della Università di Halle, da poco tempo celebrato, abbia uno speciale rapporto di colleganza colle feste universitarie bolognesi del 1888. Difatti come in quel tempo all'alma mater legum inviava la dotta figlia dalle rive della Saale il libro pregevolissimo di Ermanno Fitting sui primordi dello Studio bolognese, così oggi per le feste di Halle lo stesso insigne medioevalista di quella Università torna ad illustrare le glorie di Bologna, pubblicando le Quaestiones de iuris subtilitatibus di Irnerio note soltanto per nome, e contemporaneamente una fin qui sconosciuta Summa Codicis del grande dottore di Bologna.

Di queste opere intendiamo dare notizia, perchè questi trattati irneriani, oltre ad essere fonti di molta importanza per la storia del secolo XI, e per la storia del diritto, sono di molto valore per la storia generale della cultura nel Medioevo. Inoltre mentre finora soltanto la tradizione secolare affermante la grandezza d' Irnerio giustificava l'aureola misteriosa di gloria, che circondava il leggendario dottore bolognese, queste due opere rivelano una potenza mirabile di intuizione e di elaborazione scientifica, che offusca ogni altra gloria del periodo bolognese.

Se non che per bene intendere il valore storico di queste scoperte dovute al Fitting, è necessario tracciare almeno per linee principali lo stato dell'attuale critica storica, tanto circa le condizioni della cultura giuridica nell'età pre-irneriana, quanto circa la storia d'Irnerio. E questo esame è importante a farsi, perchè la storia della rinascenza giuridica del secolo XI si collega colla storia della rinascenza della cultura, di cui fu quella una delle prime manifestazioni. Difatti le nozioni del diritto, prima conservate nelle scuole di arti liberali del trivium, in quel secolo assorgono a dignità di scienza, ed è un magister in artibus, Irnerio volgentesi agli studi giuridici, che opera questa divisione.

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