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zando sul suo piedestallo la grande figura del filosofo torinese, ch'egli esamina sopratutto nei riguardi politici. Ottimo è il discorso commemorativo di Ubaldino Peruzzi, letto nell'Istituto di scienze sociali in Firenze il 13 marzo 1892, perchè, mentre riassume fedelmente le vicende della vita dell'illustre uomo, riesce a scolpire nell'animo l'ideale splendido, che il Peruzzi ebbe a guida, ossia l'armonia della libertà civile, politica e religiosa, e della libertà degli individui e degli aggruppamenti loro nella società e nello Stato. Commemorando Cesare Albicini nella Rivista di diritto pubblico (anno II) mette segnatamente in rilievo due provvedimenti attuati da lui ministro del governo provvisorio romagnolo nel 1859-60, ossia la riforma delle opere pie e dell'Università di Bologna.

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Un nuovo lavoro dello Zanichelli appare in questo volume, che dimostra la versatilità d'ingegno del chiaro A., Le poesie politiche di Giosuè Carducci, amplissimo studio di 237 pagine. Fu rimproverato al Carducci, specie dai repubblicani, la sua conversione alla monarchia democratica; si sarebbe in nome di tale logica potuto rinfacciare all'illustre poeta ben altre mutazioni anteriori. Ma l'uomo dev'essere immobile? o non deve piuttosto seguire l'ideale, che la coscienza gli addita nell'evoluzione della vita? Lo Zanichelli intraprese un'opera ardua, ma seppe condurla a buon porto felicemente. Ricostruisce il moto italiano nelle sue svariate manifestazioni dal 1848 ai di nostri, rintraccia le orme che impressero nella coscienza di Giosuè Carducci, e le vede specchiate nelle sue poesie politiche, che analizza con acutezza di psicologo e di storico veramente singolare. Lo Z. riesce in tal modo a chiarire luminosamente il pensiero carducciano, e ad elevarlo sopra un piedestallo più alto, rappresentandolo come l'incarnazione di una evoluzione collettiva raffigurata nella parola artistica del grande poeta.

Il volume Studî e ritratti di Giacomo Barzellotti si compone di tre parti: Studî dal vero, ritratti, studî di psicologia sociale. Argomenti svariati vi sono trattati con forma limpida e con serenità di mente: paesaggi, viaggi, ritratti e giudizi d' uomini, considerazioni letterarie e filosofiche. All'intento di questo scritto concorrono cinque ritratti: Alessandro Manzoni, Francesco De Sanctis, Terenzio Mamiani, Quintino Sella, Giuseppe Garibaldi.

Lo studio più ampio riguarda il Manzoni, del quale intende mettere in rilievo l'originalità come pensatore, scrittore, poeta e critico; ribatte felicemente il giudizio del Settembrini a riguardo dei preti, frati e monache nei Promessi Sposi. Nel ritratto del De Sanctis, movendo dal discorso commemorativo del prof. Mariano, rintraccia e descrive la facoltà dominante della sua critica, ossia la potenza rara

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ch'egli ebbe di cogliere per via dell'analisi nei prodotti del genio letterario l'idea centrale ispiratrice. Molto esattamente ci rappresenta in poche pagine la mente di Terenzio Mamiani: spirito laico, razionalistico, che gli suggeriva di riappiccare la tradizione del pensiero italiano ai nostri filosofi del rinascimento e all'idealismo neoplatonico, congiunto con la elegante preoccupazione della forma, che si fa sentire nell'artifizio del suo stile. Di Quintino Sella rileva sopratutto l'autorità, che gli veniva all'ingegno da una potenza morale altissima e rara, e dal carattere, ch'era il fondo della sua intelligenza. Nel ritratto di Garibaldi spiega, come il segreto della sua grandezza e del suo fascino sta nell'avere incarnato in sè e reso per mirabile armonia di facoltà opposte possibile ai nostri tempi il tipo più alto e più vero dell'eroe, senza mai disgiungerlo da quello dell'uomo civile moderno e del capitano.

Il senatore Tullo Massarani nel nuovo volume (di pagg. 358) edito dalla Casa Forzani e C. in Roma, sotto il titolo Come la pensava il Dottor Lorenzi, non ha scritto propriamente un libro di storia, che appartenga direttamente al programma di questa Rivista, ma ha riassunto con tanta elevatezza di pensiero e splendore di forma il testamento dell'onesta borghesia, la quale lottò per darci una patria forte, giusta e virtuosa, che qualsiasi storico consulterà le confidenze postume del dottor Lorenzi come testimonianza del periodo glorioso del nostro risorgimento.

Il senatore Massarani, la cui vita fu tutta rivolta ai più puri ideali, valendosi del nome del dottor Lorenzi, sotto forma dialogica sapientemente ordinata, mette in rilievo il suo pensiero intorno ai quesiti più solenni, che affannano la società presente. La famiglia, il lavoro, la campagna, la marineria, l'emigrazione e le colonie, l'idea religiosa, Comuni, le armi e la pace, la scuola, la coltura, l'igiene e la giustizia, la mutualità forniscono all'illustre Autore il tema di riflessioni gravi e nobilissime.

Un'aura di mestizia alita in tutto il libro, mestizia non di un tardo lodatore temporis acti, ma di un savio ed onesto patriotta, nutrito di alti e puri ideali, deluso nelle sue speranze dalle brutte realità della vita pubblica. Il rammarico, che spira attraverso le oneste pagine, non muove però da un animo sfiduciato e inerte, ma da una fede sempre vigorosa nel progresso dell'umanità.

COSTANZO RINAUDO.

II. STORIA ECCLESIASTICA (1)

ED. BACKHOUSE е CH. TYLOR, Testimoni di Cristo e Memorie della chiesa dal IV al XIII secolo (trad. dall'inglese). Roma, Loescher, 1893, pp. x-500. — L'ufficio della chiesa di Cristo, dicono gli Autori, è quello di testimoniare per lui. Nei primissimi tempi fecero ciò gli Apostoli, i quali «< con gran forza rendeano testimonianza ». Ma ben presto la chiesa esterna cominciò a scostarsi dalla semplicità apostolica. Le persecuzioni e i pericoli l'avevano rattenuta sulla falsa china, ma, diventato il cattolicesimo religione di Stato, la corruzione, che prima d'allora serpeggiava latente, si affacciò alla luce del sole. « I molti pii e devoti ecclesiastici, che fiorirono nel secolo quarto, uomini di ingegno e di pietà straordinaria, lasciarono la chiesa molto più carica d'invenzioni umane ch'ella non fosse stata per lo innanzi ». I due secoli che seguirono, riboccanti di controversie e polemiche dommatiche, appannarono maggiormente la purità della dottrina originaria; ma peggio fu quando il monachesimo riesci a ştendere le sue ali sull'oriente e sull'occidente, alterandone la vita in tutte le sue manifestazioni. Sorse allora il potere temporale; e subito gli fecero corona i pregiudizi e le superstizioni che, più ancora della tradizione, pesarono gravemente sullo spirito libero del credente. Nulla sviò tanto la chiesa dal retto sentiero, quanto l'organizzazione d' un sacerdozio, prodotto naturale delle idee giudaiche e pagane, accoppiata all'istinto umano di aspirare sempre, in ogni condizione, a un posto di distinzione e di autorità. Un altro elemento deleterio fu l'ascetismo, generatore del monachismo, il quale col tempo « si abbarbicò siccome fungo sopra la Chiesa ». Or dati mutamenti così radicali, qual meraviglia se poi la chiesa romana ha voluto coronare l'edificio coll' errore massimo di arrogarsi l'infallibilità? Per altro Iddio non ha mai abbandonato gli uomini interamente a se stessi. In ogni tempo essi sono stati «< visitati e illuminati dallo spirito di Cristo, e preparati a testificare di lui ». L'opera, ognun vede, ha uno scopo confessionale: intende a rilevare << le voci che, durante il periodo [dal IV al XIII secolo], non

(1) L'abbondanza di materia ci costringe a rinviare ad altro fascicolo le Recensioni e Note bibliografiche di parecchie altre opere ed opuscoli di storia ecclesiastica, come: Celestino V ed il VI centenario della sua coronazione di vari; FERRAI, Il processo storico della chiesa nel medioevo (discorso); MOIRAGHI, Vita del b. Bernardino Tomitore; SCHNÜRER, Die Entstehung des Kirchenstaates; SOMMERFELDT, Zur Frage nach d. Herkunft d. Predigermönches Nicolaus Titularbischofs v. Butrinto; FONTANA, Renata di Francia duchessa di Ferrara; BERTHELOT, Si le pape doit être italien.

Rivista di Storia Italiana, XI.

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hanno mai cessato di protestare contro alle crescenti corruzioni di dottrina e di costumi, non che di testimoniare alla presenza vivificatrice di Cristo nelle anime dei suoi eletti ». Essa però non è polemica, se ne togli qualche rara eccezione, come, ad esempio, là dove combatte il celibato dei preti, e molto meno è deturpato da esagerazioni di giudizî, o da intemperanza di forma. Che anzi ci si fa innanzi viva si di ardore evangelico e di affetto umano, lucente talvolta anche per splendore di immagini e profondità di sentimento, ma la narrazione procede sempre calma, disinvolta, semplice, sì che cattiva all'autore la benevolenza del lettore anche là dove quest'ultimo non può accettare le opinioni, o le conclusioni di chi scrive. Non è opera originale, anzi una compilazione, alla quale contribuisce in gran parte il Neander; ma ha l'invidiabile pregio, tutto proprio degli storici inglesi, d'essere scritta senza ira e senza odio e con eloquenza piana e persuasiva. Il primo volume, a cui fa seguito il presente, fu scritto tutto dal Backhouse e pubblicato col titolo di Storia della chiesa primitiva. Essendo poi morto il Backhouse, il Tylor compilò questo secondo volume, raccogliendo, studiando ed ordinando il materiale scientifico e le illustrazioni, che il suo amico e collaboratore già aveva messo insieme. Parve al Tylor che più efficace della forma di storia continuata, adoperata dal Backhouse nel primo volume, dovesse riuscire quella biografica, che egli ha preferito per questo secondo volume. Non si può negare che in molti casi la biografia consegua lo scopo meglio del racconto storico continuato, in special modo per certi personaggi, che, a così dire, amano far casa da sè. Ma non di rado il nesso tra le dottrine, le idee e le opere di alcuni e quelle di altri personaggi storici non sempre è chiaro, anzi talvolta accade che la mancanza del racconto continuato impedisca alla figura, che si vuole evocare, di balzarci davanti nella sua interezza. E questo è il difetto del volume del Tylor.

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GIOVANNI MERCATI, L'età di Simmaco l'interprete e S. Epifanto, ossia se Simmaco tradusse in greco la Bibbia sotto M. Aurelio il filosofo. Friburgo di Brisgovia, Herder, 1893 (pp. 104). L'autore di questo opuscolo vuol dimostrare che la critica è stata ingiusta, anzi troppo poco rispettosa verso S. Epifanio, il quale se, quando parla di storia e di cronologia, non sempre è guida sicura, non merita però d'esser messo da parte senz'altro come fonte di poco, o nessun valore. Basta per ciò esaminare serenamente quel passo dell'opuscolo di S. Epifanio De ponderibus et mensuris (composto circa il 390 d. C.), che si riferisce all'età, in cui vissero Simmaco e Teodozione, e che in tutti i tempi ha dato occasione a dispute e polemiche fra gli interpreti. Oltre al valore suo intrinseco, il passo, di cui si parla, ha una impor

tanza tutta speciale per questo che ci porge un insigne esempio, e inoppugnabile, del modo poco corretto come S. Epifanio è stato sempre trattato. In alcuni capitoli dell'opuscolo De ponderibus et mensuris si fa una specie di storia dei traduttori greci del vecchio testamento, dalla quale si rileva « Chi, donde e quando e di qual progenie fu ciascun di loro, e da qual cagione fu mosso a tradurre ». E fra i diversi traduttori è ricordato un Simmaco samaritano, che attese alla traduzione sotto Severo, e, subito dopo di lui, un Teodozione pontico, che tradusse sotto Commodo. I critici, ritenendo che il Severo, qui nominato sia Settimio, ripudiano il passo di Epifanio, anzi da esso pigliano occasione per negar fede anche ad altre asserzioni del santo. Or l'autore con un esame molto accurato dimostra che il passo è stato male interpretato, che il Severo, di cui parla Epifanio, è M. Aurelio, il quale per un certo tempo assunse anche quel nome, e che quindi tutto è a posto, essendo risaputo che M. Aurelio precedè Commodo. Per altro, se cosi vien messo in sodo che Simmaco non fu posteriore a Teodozione, non è d'altra parte possibile fissare quando precisamente egli visse.

PAULUS FABRE, De patrimoniis Romanae Ecclesiae usque ad aetatem Carolinorum. Insulae, Danel, 1892 (pp. 112). Del patrimonio della chiesa romana molti trattano e molto bene. Pure questo lavoro, che è una tesi proposta alla facoltà letteraria parigina da un suo exalunno, aggiunge molto alle conoscenze sinora acquisite. L'A. discorre prima della natura e dell'amministrazione dei patrimonî ecclesiastici, ne tesse in seguito la storia e chiude il suo discorso con uno sguardo allo stato del patrimonio della chiesa nell'ottavo secolo e alle relazioni di esso col potere temporale. Ci si incontra la prima volta nel nome Patrimonio nel sesto secolo, e proprio in una epistola di papa Vigilio del 549; ma si deve ritenere che esso risalga a un tempo anteriore, forse sino all'impero di Costantino. Il patrimonio di S. Pietro non è dissimile da quello degli imperatori, ossia, checchè altri sostenga in contrario, è soltanto un possesso privato. Le parti di cui si componeva erano talvolta estesissimi territori, però non comprendevano città. Nelle lettere di Gregorio Magno i loro abitanti sono chiamati patrimoniales e rustici, mentre sono detti urbani e cives quelli di fuori. I nomi li derivarono dalle regioni dove si trovavano. Giovandosi molto opportunamente di una scoperta fatta a' tempi nostri, cioè di una iscrizione riguardante il Sallo Buritano, posseduto in Africa dagli imperatori sullo scorcio del secondo secolo, l'A. chiarisce il valore proprio delle parole fundus, massa e saltus. Ma la parte più notevole dello studio è quella che esamina la cultura e l'amministrazione dei patrimonî: chi erano i coloni, di che natura le angarie,

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