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in luogo di riferirsi ad un fonte, cita i versi 19-24 della poesia del Leopardi, Ad un vincitore nel pallone, ed ai poeti (Leopardi, Monti, Chiabrera) ricorre ancora nella nota 3 a pagg. 26-27; sono affermazioni troppo ardite quelle di: « Amministratori del bilancio comunale di Tauromenio, veri banchieri, che hanno conti correnti» (pag. 39); a pag. 45 sono citati, non si sa in quale delle loro opere, l' Holm ed il Beloch, al quale ultimo l'A., nella fine della nota 1, vorrebbe far dire che il 21 a. C. sia stato il principio della dominazione romana in Tauromenio; ma sarà probabilmente un errore tipografico; alla stessa pagina poi è citato l'Head nella Hist. numm. (che è numorum [Oxford, 1887]) non si sa dove; non bella la citazione latina di Suida a pag. 46.

Bellissima la tesi scelta dal Rizzo e noi abbiamo letto con piacere questo interessante lavoro; ma essa abbisogna ancora di studio. Pare come se l'A., in molti punti, l'avesse voluta togliere a pretesto per inserire pagine di storia o notizie archeologiche da molto tempo accolte o confutate dagli studiosi. Tuttavia, la maggior diligenza, la più riservata maniera di affermare, un più profondo studio dell'impero siracusano e dei rapporti tra la città potente ed i piccoli centri della vita dorica potranno fornire al Rizzo gli elementi per cogliere tutto intero il frutto dei suoi non pochi nè mal fondati studii.

G. TROPEA.

C. ALBERTO DE GERBAIX-SONNAZ DI ST.-ROMAIN, Studi storici sul contado di Savoia e marchesato in Italia. Torino, Roux e C., 1893.

Nove anni sono già scorsi dalla pubblicazione del primo volume di quest'opera interessante e ricca di pregi, così che temevamo che l'A., distratto da altre e più gravi cure, avesse abbandonato l'idea di continuarla. Fortunatamente ci siamo ingannati, ed ora ci sta dinanzi un bel volume, edito dal Roux con quella signorile eleganza e nitidezza di tipi, alla quale, da molto tempo, egli ci ha avvezzato.

La prima parte di questo secondo volume abbraccia il periodo di storia che corre dall'avvenimento al trono di Tommaso I, il restauratore dello Stato (1189), al 1263, onde, scrive giustamente l'A. nella prefazione, << in questo libro si comprendono gl'importanti eventi, nei << quali, verso la metà del XIII secolo, ebbe ingerenza, e non senza << gloriosa fama, la Casa di Savoia ».

«

Umberto III, morendo nel 1188, lasciò in misere condizioni il suo piccolo Stato al figlio Tommaso, che, essendo in minore età, fu sotto la tutela di Bonifacio di Monferrato, uomo valoroso nelle armi, insigne statista, d'animo nobilissimo ed amante delle lettere. Educato da un

tale personaggio, il giovine principe savoiardo potè sviluppare più facilmente le belle doti di cui la natura l'aveva fornito e divenire uno dei più illustri personaggi del suo tempo. Trovò lo Stato in dissoluzione e, morendo, lo trasmise fiorente al suo successore.

Fervido e costante amico delle libertà comunali, intese allo scopo di abbattere la prepotenza dei feudatari, Tommaso I approvò le leghe dei campagnuoli coi cittadini esistenti nel contado di Aosta, e largi a Susa un liberalissimo statuto, mentre, sino dai primi anni del suo regno, volse l'animo al racquisto di Torino e della regione tra il Po e le Alpi savoine e nello stesso tempo a fortificarsi e ad ingrandirsi anche fuori d'Italia. Dall'imperatore Filippo di Svevia, che nel 1207 gli diede a Basilea l'investitura con tre bandiere (cerimonia riservata soltanto ai principi di primo ordine), Tommaso ottenne la signoria di Chieri e di Testone (l'odierna Moncalieri) in Piemonte e di Moudon in Borgogna; s'impadroni di Pinerolo, alla quale pure concesse una carta di franchigia; primo della sua casa ebbe dall'imperatore Federico II la dignità di vicario imperiale per tutta la Lombardia sino a Susa ed alle Alpi; condusse guerre fortunate contro varie città piemontesi, contro Bertoldo V, duca di Zähringen e potente rettore della Borgogna, contro il vescovo di Losanna ed i marchesi di Saluzzo e Monferrato e contro Genova e Milano; in una parola, colle armi, coi negoziati, coi maritaggi, colla destrezza e col valore ampliò i dominì savoiardi e rese forte e rispettato lo Stato così al di qua come al di là delle Alpi.

<< Quando, scrive il De Gerbaix-Sonnaz, Tommaso I prese il governo << della sua signoria, i dominî umbertini si arrestavano allo sbocco << della valle di Susa; quando passò di vita, tutta la regione sino alle << porte di Torino era rioccupata dalle armi di Savoia, di più, verso << il mezzodi, la pianura subalpina, che appunto in quei di assumeva << il glorioso nome di Piemonte, era in gran parte sotto la signoria, << o l'egemonia del conte di Savoia ».

Amedeo IV, allorchè successe al padre, contava trentasei anni, e, da quasi venti, era stato iniziato agli affari dello Stato. Quindi, lo dirò coll'A., la sua signoria seguì le preclare orme paterne e, salvo lievi errori, si può asserire che la sua amministrazione fu degna di quella di Tommaso I.

Prima peraltro d'intrattenere il lettore sulle gesta di lui, il De Gerbaix-Sonnaz parla degli altri figli del morto principe ed in alcune pagine ne narra le vicende. Cinque di loro, entrati nel sacerdozio, vi ottennero cospicue dignità. Bonifacio, nel 1243, con bolla di Innocenzo IV, fu eletto vescovo di Cantorbery; Guglielmo ebbe prima il vescovado di Wincester, poi quello di Liegi; Pietro II dal 1241 al 68 fu il primo consigliere della corte inglese, mentre Tommaso II e Fi

lippo I, lasciata la prelatura ed indossate nuovamente le vesti laicali, sposarono, il primo, coll'appoggio di S. Luigi IX di Francia, Giovanna di Hainaut, contessa di Fiandra, e il secondo Alice di Borgogna. L'ultimo nato, Aimone, il quale aveva ricevuto dal padre in appannaggio le signorie di Chillon, di Vaud e di San Maurizio, di salute cagionevole, finì la vita in giovane età.

Nel capitolo seguente, l'A. espone brevemente, ma con grande esattezza, la parte rappresentata dai principi savoiardi nella terribile lotta fra guelfi e ghibellini, combattutasi dal 1238 al 1250. In questi anni l'odio accanito dei preti perseguitò ferocemente il grande imperatore Federico II e tutta Italia, o, per meglio dire, l'Europa intera, si divise in due partiti, l'un contro l'altro armati. « I principi di Savoia, scrive << il De Gerbaix-Sonnaz, cercarono di far prevalere le idee sublimi di << conciliazione e di moderazione fra implacabili nemici. I tre prelati, << Guglielmo, Filippo e Bonifacio, tennero, com'era naturale, per il << Papa e Pietro ebbe pure tendenza guelfa, mentre Amedeo IV e Tom<< maso II si mantennero fedeli nella fede giurata all'imperatore. Tutti << poi i figli di Tommaso I serbarono tra loro sentimenti di sincera << affezione e, morto nel 1250 Federico II, la riconciliazione con papa < Innocenzo IV riesci facilissima pei due principi savoiardi ghibellini ».

Questa parte del libro è la più bella ed originale, perchè le relazioni corse nel secolo XIII tra la casa di Savoia, il partito guelfo e l'imperatore Federico II, furono, in verità, assai poco studiate dagli storici. Tanto maggior lode adunque spetta all'A., il quale, con ammirabile diligenza e con singolare acutezza, seppe porgercene un'idea chiara e precisa.

Naturalmente il favore dimostrato da Amedeo IV alla parte imperiale gli valse la scomunica di papa Innocenzo IV, il quale, deciso di annientare la casa sveva e di strapparle le terre italiane, si rivolse a varî principi stranieri, invitandoli a scendere nella penisola ed a togliere, in nome della Chiesa, lo scettro siculo-napoletano ai figli dell'odiato Federico II. Alla fine Arrigo III, re d'Inghilterra, accettò l'offerta pel suo secondogenito Edoardo di Lancastro. Nelle negoziazioni avviate a tale scopo tra la corte inglese e la S. Sede, ebbero gran parte tre principi di casa Savoia: Filippo, arcivescovo di Lione, Pietro II e Tommaso II, al quale ultimo Arrigo III conferì il principato di Capua. Inoltre lo stesso Tommaso doveva avere il comando supremo della spedizione, che anche il nuovo papa Alessandro IV mostrava di desiderare vivamente. Per disgrazia, il principe savoiardo fu sconfitto dal comune di Asti, geloso della potenza da lui ottenuta nella regione subalpina, e dai Torinesi chiuso in carcere. A questo punto il nostro A., fondandosi su due lettere dettate da Arrigo III, nelle quali questo sovrano allega la prigionia di Tommaso di Savoia come causa del ri

tardo frapposto alla conquista della Sicilia, crede di poter affermare essere stata appunto tale prigionia il motivo che indusse il re inglese a rinunciare in modo definitivo alla spedizione da lui stabilita contro lo svevo Manfredi. Questa affermazione, a mio modesto avviso, non è accettabile, e soltanto si può ammettere che Arrigo III abbia colto l'occasione della prigionia di Tommaso, prima per differire l'adempimento della sua promessa e poi per rinunciare del tutto ad un'impresa difficile assai ed osteggiata dai grandi e dal parlamento inglese. In questo mezzo Amedeo IV era passato di vita (luglio 1253). Il De Gerbaix-Sonnaz lo dice fornito di molte doti e di destrezza politica e reputa ingiusto il giudizio del Cibrario, il quale sentenziò essere stato il primogenito del grande Tommaso I privo di virtù e di accorgimento politico.

Cinse allora la corona Bonifacio, figlio di Amedeo IV, fanciullo di circa nove anni. La sua signoria fu senza alcuna importanza e gli zii governarono per lui sino alla sua morte, avvenuta, sembra, nel 1263.

L'A. finisce il suo volume osservando che i principi savoiardi rappresentarono una grande parte nella storia europea del secolo XIII per le loro preclare doti e per le loro splendide virtù. A questa conclusione noi sottoscriviamo pienamente, mentre lodiamo il De GerbaixSonnaz di aver dettato un libro geniale e degno di esser letto dai cultori degli studi storici. Un solo appunto ci permettiamo di fargli riguardo allo stile ed alla lingua, non sempre corretti ed eleganti. V. MARCHESI.

BENADDUCI G., Della Signoria di Francesco Sforza nella Marca e peculiarmente in Tolentino. Tolentino, stab. tip. Francesco Filelfo, 1892; in-8°, pp. vII-398-cxIII.

Il prof. A. Gianandrea, così benemerito cultore della storia marchegiana, trovati nell'arch. di Jesi i documenti sulla signoria di Francesco Sforza nella Marca, pubblicò su tale argomento una bella monografia nell'« Arch. stor. lombardo » dell' 81. Egli ebbe in mente di dare un buon esempio e d'indurre altri studiosi della sua regione a fare indagini sul soggetto medesimo negli archivi marchegiani, chè la storia del dominio sforzesco in quella parte d'Italia era, allora, « lungi dall'essere interamente nota e accertata per via di documenti ». Ed aveva pienissima ragione; dagli storici municipali della Marca poco di quel periodo era stato detto, e quel poco non sempre buono e sicuro. L'esempio suo fu presto seguito, chè il Valeri molto raccolse nell'arch. di Serrasanquirico intorno a quel dominio e nell' 84 ne diè comunicazione nello stesso « Arch. lomb. ». Le prime ricerche proseguì poi il Gianandrea e dagli archivi settempedano e fabrianese dedusse altre

notizie sforzesche e, fattone argomento di due studi, le pubblicò nell'85 nell'«< Arch. lomb. » e quattro anni appresso nell'« Arch. stor. italiano ». Dopo i resultati d'indagini così feconde, una sintesi, qual'è appunto nel libro del Benadduci, riesce gradita e opportuna; non pura ed arida sintesi di fatti noti e documenti già illustrati, ma racconto pieno delle vicende storiche nella Marca dal dicembre del 1433 all'agosto del 47, confortato da nuove testimonianze raccolte negli archivi inesplorati di Tolentino, Macerata, Civitanova, Cingoli, Recanati, Ascoli e d'altre città. Singolare storia di quei quattordici anni! << ribellioni improvvise, restaurazioni effimere di governi caduti, tragica fine di tiranni, assedi accaniti, resistenze eroiche, capitolazioni onorevoli, taglie di guerra, cittadini magnanimi che si dànno spontanei in ostaggio al nemico per salvare la patria, atti di coraggio degni d'ogni encomio; ovunque rumore di armi, pugne, scaramucce, saccomanni, discordie cittadine, ire di parte, odii, vendette, stragi fra paesi limitrofi; influenza provvidenziale di uomini di Dio che predicano pace e correzione di costumi; uomini di lettere che s'interpongono presso i vincitori a pro di città e cittadini; uomini di chiesa che ancor essi brandiscono la spada; un continuo alternarsi di politiche rivoluzioni promosse o seguite da tradimenti di capitani; impiccagioni di traditori, smantellamento di rocche, imposizioni gravissime, incessanti; requisizioni di viveri e di armati: conseguenza ultima di tutto ciò, carestia, peste, miseria, desolazione ». Così l'A. sbozza felicemente nella prefazione il disegno del libro. La spedizione dello Sforza nella Marca fu cominciata sullo scorcio del 1433 e nel dicembre, dal 7 al 25, egli aveva conquistato, od a lui s'erano sottomesse Jesi, Pausola, Macerata, Fermo, Recanati, Osimo e, via via procedendo, Ascoli: Tolentino resistè fino al 35 e Camerino fino al gennaio del 36; l'una e l'altra città nel 37 ribellatesi, quella dovè l'anno successivo sostenere un assedio fierissimo (nè a calmare lo sdegno dello Sforza valse la eloquente orazione che gl'inviò il 6 di ottobre da Siena Francesco Filelfo) e ritornare all'obbedienza, questa si risottomise a lui volontariamente. Nel 42 il Papa, collegatosi con Filippo Maria Visconti e con Alfonso d'Aragona, tento di riprendere la Marca, e Tolentino, dopo le dure strette dell'assedio del 43, a lui fu restituita: d'ora innanzi, numerose defezioni di capitani sforzeschi a favore del Papa, insurrezioni di città desiderose di tornare sotto l'antico dominio, nuove battaglie e nuove scorrerie, l'assedio e la resa di Castelfidardo a Francesco Piccinino, la battaglia di Montolmo in cui questi è fatto prigione dallo Sforza, e le vittorie degli sforzeschi sul Malatesta e su l'Aragonese. Cosi fino al 45: allora, al sopraggiungere del Legato pontificio, Tolentino potè finalmente sottrarsi alla tirannia dello Sforza. Il quale l'anno dopo si provò, ma senza riuscire, di togliere al Papa l'Umbria ed il Lazio; tornato nella Marca

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