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da alcuni di questi - non da tutti, perchè so quanto poco il pubblico s'interessi a queste vane logomachie - vedrò di scolparmi esaminando il seguito dell'opera del G. Anzitutto un rilievo: da molti fra i libri che il G., non sempre a ragione, mi rimprovera d'aver trascurato, vedo aver anch'egli attinto nulla, o ben poco, di nuovo; assai tolse invece da diversi archivi e principalmente da quello di Stato di Milano, aggiungendo così molto a quanto io avevo detto, rettificando talune mie notizie, e confermandole anche spesso con nuovi argomenti, onde se per una parte debbo dolermi d'aver negletto una ricchissima fonte, posso dall'altra andar lieto d'aver, con assai più scarsi materiali, conseguito soventi il vero.

Ottima presso il G. la trattazione dei fatti che tennero dietro alla morte di Filiberto; ma il ch. A. cade in un inesplicabile errore quando afferma che l'ambasciatore francese alla corte Sforzesca nell'ottobre '82 era il signor di Ligny, ed ha cura d'aggiungere: non Filiberto di Grolée Sire d'Eslins come crede l'U. (pag. 298). Egli cita a sua giustificazione il Godefroy: Hist. de Charles VIII, pag. 322. Colà si leggono tre lettere: l'una del Moro a Luigi XI in cui lo Sforza promette d'assecondare il desiderio che gli espresse dominus d'Eslyns; l'altra di Bona che ringrazia il real cognato d'averle mandato dominum de Eslyns; l'ultima, quella cui specialmente allude il G., dell'ambasciatore stesso al Re, ci porta in disteso la firma: Philebert de Groslée. Occorrono maggiori prove a dimostrare di chi sia l'errore? (1). In un altro sbaglio cade poco dopo il G. quando afferma (pag. 306) che il trattato con Berna e Friburgo è del gennaio '84, perchè la data 26 gennaio 1483, accettata come tale dall'U., è secondo il vecchio stile francese, dunque 1484. Noto solo che primo plenipotenziario di Savoia in questa convenzione è Urbano di Chivron, eletto di Ginevra, e nel 1484 questo prelato non poteva stipulare nessun trattato, per la ragione perentoria che era morto fin dal 9 novembre 1483 (2).

(1) Di nuovo a proposito d'un documento del 1485, nel quale si fa richiamo alla ambasciata dell'82, il G. (pp. 322-23) legge: de Ligny per d'Eslyns, Orange per Rangins e mi fa appunto di non accordarmi con lui. Quanto al primo valga ciò che dissi sopra; quanto al secondo osservo che questo personaggio fa nel documento la figura d'un intrigante di bassa sfera, ed apparisce coinvolto in un maneggio subdolo ed oscuro pel quale doveva scegliersi uno di quegli agenti subalterni che si sconfessano e si abbandonano in caso di insuccesso, non un gran personaggio come Giovanni II Conte di Chalons, principe d'Orange. Inoltre questi apparteneva al partito dei Principi, e appunto nel gennaio '85, mentre questa fazione, d'accordo col Duca di Brettagna, stava preparando una ribellione, egli aveva ben altro a fare che occuparsi d'un povero intrigo a Milano in servizio del Re. Tornando al d'Eslyns, par proprio che il G., forse perchè lo ritiene una brillante nullità, abbia giurato guerra al suo nome. Di nuovo parlando delle persone cui nell' '88 il Duca Carlo avrebbe volontieri confidato la custodia del Saluzzese (pag. 382) fa il solito cambio in de Ligny; eppure il documento che cita scrive chiaro d'Eslyns.

(2) Il documento porta questa nota cronologica: solis post conversionem Pauli 1483,

Buona l'esposizione dei guai per la successione di Gio. Ludovico di Savoia nella Chiesa di Ginevra: solo, poichè il G. dimentica di dire per quale intento Sisto IV bramasse aver libera la sede di Torino, rimane affatto inintelligibile l'osservazione che segue, circa al voler il Papa dirsi congiunto ai Della Rovere di Vinovo (1).

...

Venendo ora alle pratiche fra Savoia e Milano pel matrimonio di Carlo con Bianca, ritengo che senza motivo il ch. G. si rifiuti a credere che il Moro cercasse formarsi con parte del Monferrato un dominio proprio, perchè nei documenti si parla sempre del Ducato di Milano, e se talvolta un cronista o uno storico pronuncia il` nome del Moro, è come ad autorità di fatto ed a reggente in nome del nipote, non altrimenti (pag. 321 n.). Nel trattato 8 marzo 1485 per l'eventuale spartizione del Monferrato, dopo determinata la parte che toccherà a Savoia, si dichiara che Bianca ratificarà questo presente contracto ..... ad omnem requisicionem del predicto miser Ludovico ... in modo non possa demandare cosa alchuna sopra la infra porcione del S. miser Ludovico Versa vice gli ambasciatori Savoiardi sono contenti che lo illmo S. Ludovico habii tuto el resto del stato del marchese de Monferrato excepto chel S. miser Ludovico sii debitore et obligato a la satisfacione de la tercia parte de la dote... Ed infine, prevedendo che si debba, per conquistar il marchesato, far uso delle armi, si aggiunge: quibus factis se venga a la divisione intra el predicto S. Duca de Savoia et illmo S. miser Ludovico. In tutto ciò del Duca di Milano non si parla nè punto nè poco; a lui s'accenna invece nel principio dell'atto, dove il Moro promette per sè e pel nipote d'adoperarsi a procurare il matrimonio di Carlo con Bianca, e di nuovo è nominato in fine dove si dice che ritorneranno al Duca di Milano i feudi che tiene da lui il Marchese di Monferrato. Qui non si dice più: al S. Ludovico, il che prova, a mio giudizio, che nella mente di chi scriveva il trattato non si faceva nessuna confusione tra gli interessi e i diritti dei due personaggi, e quando si parlava della porcione del S. Ludovico, s' intendeva che questa spettasse a lui in proprio, non al suo pupillo. Stringente presso il G. la prova della reità del Marchese di Saluzzo nell'assassinio di

cioè domenica (Sonntag) dopo la conversione di S. Paolo. Cambiando l'anno il G. avrebbe dovuto mutar pure il giorno, poichè nel 1484 la prima domenica dopo la conversione di San Paolo cadeva il 1° febbraio.

(1) A questo proposito, parlando di Francesco e di Gio. Ludovico di Savoia, il G. afferma che ebbero entrambi prole illegittima (pp. 310-11), ed invoca la mia testimonianza. Per verità io non dissi tanto, solo, accennando a Margherita di Ginevra e a Michele Donato di Savoia, ritenni la prima figlia d'uno dei due, il secondo, genericamente, figlio d'un principe del sangue. Or posso aggiungere che Michele nacque realmente da Gio. Ludovico. Quanto a Francesco è notorio che ebbe un figlio, Giovanni, al pari di lui, vescovo di Ginevra.

Scipione, del che mi dolgo aver dubitato; assai ben descritta la ribellione di Claudio di Racconigi, al qual proposito mi piace scorgere che il G., checchè ne abbia scritto nella recensione, finisce ora coll'ammettere che Claudio fu spogliato degli onori e dei possessi per le suggestioni dei cortigiani e sotto l'azione persistente dei suoi nemici (pag. 327, 328) che questi appartenevano alla fazione ultramontana, mentre Claudio poteva considerarsi come Piemontese (pag. 332).

Il fatto culminante del regno di Carlo I è l'intricatissima questione di Saluzzo, nella quale voglionsi distinguere due parti. L'una è costituita dalle interminabili trattative diplomatiche tra Francia e Savoia per decidere a chi spetti l'omaggio del Marchesato, ed in queste il Marchese tien quasi sempre un'attitudine passiva, mostrandosi da principio indifferente a riconoscer l'uno o l'altro Signore, finchè poi le sue improntitudini lo costringono a mettersi a devozione di Francia per averne soccorso; l'altra parte consiste nella guerra provocata dal Marchese con improvvida aggressione, sostenuta da Savoia prima per respinger l'attacco, poi per punire un vassallo fellone. Sono due figure della questione che, sebbene nel loro svolgimento vadano necessariamente intrecciandosi, debbono però esser tenute, specie nelle loro origini, affatto distinte. La parte militare è egregiamente svolta dal G. che con molti documenti completa, e anche corregge, parecchie mie notizie, ma non so davvero com'egli possa attribuirmi la strana opinione che la guerra Saluzzese fosse guerra dei favoriti Savoiardi contro i capi di parte piemontese, soggiungendo ancora che, se le date non sono anch'esse un'opinione, risulterà in seguito da esse come le provocazioni non venissero punto da Savoia (pag. 339 n. 4). Io scrissi che i buoni rapporti tra Saluzzo e Savoia s'alterarono per la protezione accordata dal Duca ai Signori di Farigliano pel feudo di Mulazzano, per la collegiata di Saluzzo la cui erezione era contrastata da Savoia, per l'accoglienza amichevole fatta dal Marchese al Racconigi, e infine più di tutto per l'incompatibilità delle pretese che entrambi i principi nutrivano sul Monferrato (Bianca, pagg. 49-50). Aggiunsi, tanto ero lontano dal dire che le provocazioni venissero da Savoia, che il Marchese ed i suoi complici aspettavano un pretesto per romper la guerra, e questo trovarono nello arresto dei famigliari del Marchese avvenuto a Savigliano (Bianca, pagg. 60-61). Ed il ch. G. per parte sua scrive che la tensione fra Savoia e Saluzzo via via aggravata da questioni di confini e di benefizi ecclesiastici, era divenuta insostenibile pel matrimonio di Carlo I con Bianca, e aggiunge che crebbe gli sdegni ed attirò sul Marchese l'inimicizia personale della corte Savoina il favore concesso a Claudio di Racconigi (pag. 339), e ancora che pel Marchese di Saluzzo, deciso a muover guerra, liberare i prigionieri di Sommariva (quelli fatti a

Rivista Storica Italiana, XI.

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Savigliano era un buon pretesto (pag. 345). Mi pare che, con parole diverse, esprimiamo entrambi l'identico concetto. La prima operazione di guerra, secondo il G., fu la sorpresa del castello di Mulazzano, compiuta nel marzo '86 dai Saluzzesi; perchè essa non valse ancora a provocare una reazione colle armi da Savoia e rimase fatto isolato, e, come dice il G., la guerra non iscoppiò ancora per parecchi mesi, parve a me che il fatto potesse includersi nell'espressione generica di rappresaglie e violenze; ad ogni modo siam perfettamente d'accordo nel dire che la vera guerra incominciò nel novembre, promossa dal Marchese colla sorpresa di Sommariva e delle altre piazze. La qual prima fortezza, ricuperata dai Savoini, io non so veramente d'aver mai detto che sia stata penitus destructa, come mi rimprovera il G. (pag. 353 n. 2). Buonissima, ripeto, la narrazione delle imprese guerresche del 1487 e '88, intrecciata coll'esposizione degli sforzi tentati da Francia, in via diplomatica, per aiutare il suo protetto, procurandogli almeno di quando in quando delle tregue e delle sospensioni d'armi; non intendo tuttavia come il ch. G. voglia sostener l'opinione che la tregua di Chateaubriant (20 agosto) fu rotta dai Saluzzesi colla sorpresa tentata su Caraglio (29 agosto), mentre ammette che il Duca, pur conoscendo le stipulazioni concluse, esitava a ratificarle e prose guiva l'assedio di Valfenera, dopo la presa del qual borgo soltanto aderi a cessar la guerra (1). Diciamo per lo meno che la tregua non fu osservata subito nè dall'una nè dall'altra parte.

Meno soddisfacente, a mio avviso, è il racconto delle lunghissime trattative corse tra Francia e Savoia per la questione dell'omaggio. Narrando come entrambe le potenze cercassero indurre il Marchese all'omaggio, il G. afferma che l'ordine del Duca a Ludovico di presentarsi in persona a giurar fedeltà è dell' '86, e che è un mio arbitrio il dire che sia dell' '85 (pagg. 339-40). L'arbitrio, se mai, non sarebbe mio, ma d'un documento con cui il Marchese, l'11 gennaio 1485, da Frassineto, dichiara aver ricevuto dal Duca l'ingiunzione di presentarsi a lui in persona, il giorno 15, per l'omaggio, e incarica Francesco Cavassa d'andar in sua vece a protestare (2). Il G. pensa ch'io m'appoggi ad un documento delfinasco edito dal Godefroy, colla data erronea, egli dice, del 1° dicembre 1485 anzichè 1486; questo è relativo alle conferenze tra Francia e Savoia per l'omaggio, e non ha

(1) Pagg. 370-71. Cfr. Recens. 8, dove è anche più evidente l'errore dicendosi che il Duca prese Valfenera a vendetta dell'arsione di S. Giorgio, seguìta il 4 agosto. Tra l'un fatto e l'altro era interceduta la tregua, ed il Duca non aveva più diritto alcuno di continuare le offese, qualunque fossero stati precedentemente i torti dei nemici.

(2) Arch. Stato Tor. March. di Sal., Mz. VII, n. 7. Si noti che nel gennaio '86 il Duca era a Ginevra, e difficilmente il Cavassa, munito soltanto l'11 della procura, avrebbe potuto raggiungerlo pel giorno fissato.

nulla a vedere colla richiesta del Duca, poichè l'una cosa è affatto indipendente dall'altra. Ma appunto io credo che il principale sbaglio del G. consista nel non voler accettare le risultanze di questo documento, che, colla data 1° dicembre 1485, espone come il 30 settembre e 1° ottobre precedente si tenessero a Moirency le prime conferenze tra i delegati Francesi e i Sabaudi, per tentare un accordo. Di queste conferenze non rimane altro segno, è vero, e la relazione compilata dal saluzzese De Cella fa cominciare le trattative solo nel 1486, ma questa non mi sembra ragione sufficiente per ritener alterata la data del documento. Si osservi che da esso risulta come due mesi prima della conferenza, epperciò sul finir di luglio, il Re prendesse feudalmente possesso del Marchesato facendo inalberare i suoi pennoncelli, che abbattuti per ordine del Duca, fornirono pretesto ai delegati Francesi di protestarsi offesi e di non trattar più. Ora, il ch. G. non potrà dire che si tratti del luglio '86, egli che sa come fin dal gennaio di quell'anno il Consiglio ducale intimasse ai Sindaci di Carmagnola di rimuovere gli stemmi regi e delfinaschi, e poco dopo facesse citare il procuratore regio del Delfinato, che col fatto dell' erezione dei pennoncelli s'era reso colpevole d'attentato alla sovranità del Duca (pagg. 340-41); egli che senza dubbio non ignora che dicevasi più tardi dai negoziatori Sabaudi, e non era in sostanza contestato dagli avversari, aver il Re fin dal 17 maggio '86 acconsentito che gli stemmi si levassero. Inoltre, se non per le conferenze di Moirency, a che si recavano in Delfinato, sul finir del settembre '85, i savoiardi Chevrier, de Grammont e Ponsiglione? (1). E ancora, che il Parlamento di Grenoble avesse, a causa della peste, trasportata la sua sede a Moirency nel 1485 risulta da una sua rappresentanza, in data 15 settembre, al Re, perchè appunto volesse pigliare a petto la questione Saluzzese (2), ma di questo trasloco non si ha indizio nell' 86. Si noti poi che il documento non solo reca in tutte lettere la data a. d. millesimo quatercentesimo octuagesimo quinto, ma, dopo narrato quanto si fece il 30 settembre, continua: Dicta vero die sabbati crastina, prima mensis predicti octobris... onde riesce quasi impossibile credere ad un errore, perchè è nell' '85, e non nell' '86, che il 1° ottobre cadeva in giorno di sabato. E infine, il silenzio che si osserva nella relazione de Cella e nelle carte dei nostri archivi su queste conferenze di Moirency riesce ugualmente strano qualunque sia l'anno in cui avvennero. Epperciò ritengo che l'ordine dei fatti, alterato dal G. (pagg. 343-44, cfr. recen. p. 6), debba ristabilirsi a questo modo: luglio '85, apposizione degli stemmi reali, subito fatti abbattere dal Duca; settembre

(1) Conti tes. gen., 1484-85, f. 226 v; 1485-86, ff. 151 v, 152; e sempre s'aggiunge che andavano per l'affare di Saluzzo.

(2) DELABORDE, L'expédition, 187.

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