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rando la preposizione come superflua. Ciononostante, un dubbio ci si presenta spontaneo: Dante, che certamente avrebbe avuto il diritto di scrivere e fa tremar lo core a cui saluta, avrebbe mai scritto invece e fa tr. lo c. cui saluta? Ossia, ci sono casi in cui la particella del dativo non possa essere tralasciata? Il nostro esempio fittizio c'indica probabilmente anche la risposta al piccolo quesito: la particella potrebbe, ma non dovrebbe essere tralasciata, dove nasca incertezza ed oscurità; cioè dove il cui potrebbe esser preso facilmente per un accusativo. Ora io non nego che, se anche sia un dativo, si prenda facilmente per un accusativo, nel verso « forse cui Guido vostro ebbe a disdegno »; ma al poeta doveva parere di aver provveduto sufficentemente alla chiarezza, dividendo il dimostrativo quegli (quegli che attende là) dal relativo cui, per mezzo d'un verbo e d'un avverbio, inoltre per mezzo d'una forte pausa. Che è quanto dire, che pel suo sentimento linguistico (non dico, per la sua riflessione artistica) questo verso equivaleva nella forma, nonostante le differenze accidentali, al verso «e cui saluta fa tremar lo core », e non riusciva meno chiaro di esso.

Il risultato di questa forse troppo lunga discussione non infirma per nulla l'interpretazione preferita dal Del Lungo, perchè questa non si fonda in special modo su argomenti linguistici. Altrove invece il nodo sta tutto nella parola; com'è il caso per convolto, nel verso 46 dell'Inf. XXI « quegli andò giù, e tornò su convolto »; che il Del Lungo, a pp. 471 sg., spiega, con larga copia d'esempi, « involto, ravviluppato, ravvolto, in materia sporca o appiccicosa». È dunque l'antica dichiarazione della Crusca, contro la quale s'era già levato il Monti, nella Proposta, III, P. 4a, Append.; e mi pare che il suo principale argomento conservi sempre sufficente vigore: « Se per fede dello stesso Vocabolario Convolgere significa Voltolare, Voltare più volte, egli è impossibile che Convolto suo participio significhi Imbrattato, Sporcato: senso molto diverso. Dal Voltolarsi e Convolgersi talvolta nasce, egli è vero, che uno s'imbratti e si sporchi; ma non perciò si deve confondere l'effetto colla cagione, nè sempre a quella cagione risponderà quell'effetto ». Infatti, fra gli esempi del Del Lungo e quelli della Crusca non ce n'è alcuno, dove o il participio o il verbo sieno usati in tal senso per forza loro propria, ma vi giungono per via delle necessarie specificazioni del fango, nel fango, nel loto (l'esempio dell'antico Livio volgare « nel lieve ghiaccio

rilevato, che dalle unioni di cui, a cui si estrasse anche un cui nominativo, del quale sono due esempi nella Crusca, ed altri in una mia rassegna di lavori sui Dialetti toscani, nella Romania, XVIII 608. S'aggiunga dai Bandi Lucchesi, 94 : << cui dinontiasse li dicti contrafactori, arà la quarta parte del bando ». Quest'uso non dovette godere di molto favore se non in qualche varietà dialettale; ma esso ci aiuta forse a comprendere come a cui fosse equiparato ad a chi, nel senso ad eum qui.

e nella fracida neve si convolgevano » è anche meno opportuno). D'altra parte, io concedo volentieri al Del Lungo, che convolto non sia neppur da intendere, come fa ora la Crusca coi più (e come voleva il Monti stesso) < curvo, avvolto in sé, in atto di adorazione »; e ciò, non tanto perchè mi appaia « sofistica.... e affatto soggettiva la relazione che si è intravista fra convolto e il Santo Volto », quanto perchè chi si tuffa a capofitto, ritorna a galla col capo e non col dorso. Dante, così maraviglioso osservatore, non poteva prendere abbaglio in questo particolare; e che alle anime dei dannati, sebbene non abbiano seco' di quel d'Adamo', non volesse attribuire abitudini o attitudini diverse dalle terrene, mostra lo scherno dei demoni, che non perdonano al nuovo arrivato, pur in quella sua prima inesperienza delle condizioni infernali, di nuotare « non altrimenti che nel Serchio ». Io dunque, sebbene a mia volta abbia contro di me l'energica affermazione del Monti: « (convolto) non significa.... col capo in su, come vuole stranamente il Daniello », me ne starei proprio col Daniello (1), intendendo a un dipresso: rivolto, rigirato dal sotto in su', direi quasi' capovolto. Non so bene che cosa significhi un'Asia convolta, che trovo in un'incomprensibile bizzarria di Monte (Ant. Rime Volg., V, 200), ma forse è un'' Asia sconvolta '; e ad ogni modo, mentre il significato di raggomitolarsi, curvarsi in arco', sarebbe ristretto all'esempio dantesco, quello di'volgersi, girare, girare intorno a sè' va attribuito di pieno diritto e al latino se convolvere e all'italiano convolgersi dalla frase di Cicerone « cum se convolvens sol elaberetur et abiret » a quella di Daniello Bartoli « la terra, a guisa di turbine, senza mai cambiar luogo, tutta intorno a sè medesima si convolge ». Non c'è che qualche differenza di forza o di grado. Parafrasiamo dunque alla meglio quei versi, così vivi di colorito locale : « Quegli andò sotto colla testa in giù e tornò a galla colla testa in su, come avesse fatto un giro su sè stesso. Ma i demoni gli gridarono: Tu vuoi mostrarci la tua faccia? Ma qui non ha luogo l'esposizione del Santo Volto. E se tu pensi di nuotare come nel Serchio, noi t'insegneremo che qui s'usa altro modo ». Potrebbe piacere a qualcuno che il paragone col Santo Volto apparisse anche più sarcastico e più pittoresco, intendendo che i diavoli alludessero nel tempo stesso alla faccia sparuta e spaventata del peccatore; e gli verrebbe forse in aiuto lo spirito bizzarro di Cecco Angiolieri (Canzon. Chigiano, num. 480), il quale probabilmente trovava una faccia consimile a quell'amico di sua madre, che a lei spillava danari e a lui capitava sempre fra' piedi:

Perchè m'avete sì 'ngiuliato e tolto

Che 'I date a quel(li) che par lo Santo Volto

Da Lucca, cioè 'l Zeppa, che m'è luna?

(1) E cogli amici Barbi e Romani, che mi confermarono in questa interpretazione.

Nuova funzione e nuovo significato attribuisce il Del Lungo, pp. 483 sgg., a d'assai, nei noti versi dell'Inf. XXIX, 121-123:

Or fu giammai

Gente si vana come la sanese?

Certo non la francesca sì d'assai.

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Egli, partendo dalla parafrasi del Serravalle: « Or, idest ne, fuit unquam gens ita vana sicut senensis? Certe non gallica (idest, est ita vana) ita prudens », e considerando che d'assai o dassai fu largamente usato, riferendolo a persona, col senso di « da molto, contrario di dappoco », e quindi anche di « buono, virtuoso, valente, dabbene », vorrebbe intendere: « Nemmeno i Francesi, cosi valenti, e (sottinteso ironicamente) che di questa lor valentia, di questa loro dassaiezza'.... si tengono tanto; che hanno così alto sentimento di sè ». A me spiace di non poter convenire neppur qui. La frase riesce meno chiara e meno vibrata, e l'ironico confronto fra Sanesi e Francesi, altrettanto pungente per gli uni che per gli altri, perde vigore, stemperandosi in una poco precisa antitesi fra vano e dassai. Il Del Lungo fu mosso a cercar nuove vie da una difficoltà sintattica, ch' egli trova nell'antica e comune dichiarazione; ma tale difficoltà io non riesco a vederla, ed anzi il modo mi sembra de' più schietti della nostra lingua trecentistica. Anche oggi, pur chi sia insensibile alle seduzioni dell'arcaismo, potrebbe, credo, parafrasar senza scrupolo: « certo non è così vana la gente francesca, non così di gran lunga ». E d'assai o ad assai valevano' di gran lunga ', come in questo esempio d'Armannino (1): « non sono ad assai di tanto numero e Troiani quanti sono e Greci ». E altri simili se ne potrebbero trovare. Se più d'una volta ho dovuto contradire al Del Lungo (e, certo, non so con quanta fortuna), non posso invece che approvare incondizionatamente la sua bella dichiarazione (pp. 441 sgg.) delle lamentevoli parole della Pia: « Salsi colui che inanellata pria, Disposando, m'avea con la sua gemma»; dichiarazione omai, spero, accettata da tutti, ed una delle non poche uscite dalla sua profonda conoscenza dell'antica storia e vita fiorentina. E mi sottoscriverei volontieri anche alla sua interpretazione (pp. 475 sgg.) dell'alto seggio, ove dovea trionfar Bonifazio, per gli astuti suggerimenti di Guido da Montefeltro: « ti farà vincere, ti farà vincitore, in quell'alta e inespugnabile rocca, che con la forza invano ti studi di gettare a terra ». Parafrasi a cui viene egli stesso in aiuto con un bel riscontro, tolto all'antica traduzione di Livio: « trovaronla (la cittade) si forte di seggio e si bene fornita, ch'elli si soffersero a tanto, e non ardirono d'assalirla »; ove il latino ha: « urbe, valida muris ac situ ipso

(1) Nel frammento della Fiorita, pubblicato da EGIDIO GORRA, Testi inediti di Storia trojana, preceduti da uno studio sulla leggenda trojana in Italia (Torino, Triverio, 1887), p. 556. Ivi è pure l'Istorietta trojana.

munita ». Il D' Ovidio proponeva al Del Lungo di intendere seggio come asseggio assedio; e se non proprio di seggio, potrei almeno fornirgli esempi dell' affine sedio, che è piuttosto comune nei testi senesi, nell'Ugurgieri, in Binduccio dello Scelto ed altrove. Ma prima d'insistere, vorrei sapere s'egli stesso, così propenso com'è ad accettare il buono offertogli da altri, insista nella sua prima idea.

Restano certi minuti e spesso notevoli raffronti, i quali mostrano come alcune delle frasi, vive e pittoresche, usate da Dante, e che noi avremmo facilmente creduto foggiate da lui, corressero invece sulla bocca di tutti. In questo caso il merito, più che del poeta, è del popolo. Mi rammento della mia antica ammirazione per una frase del Carducci, nel bellissimo Sogno d'estate,

andava il fanciulletto con piccolo passo di gloria,
superbo de l'amore materno,

e del mio ingenuo stupore, quando udii a Firenze ripetere comunemente: aspettare a gloria, e perfino: andarsene a gloria. Il creatore della frase nobilmente leggiadra era dunque il popolo; e nondimeno rimaneva al poeta il merito d'averla usata nel luogo opportuno, circondandola di nuovo fascino. Noi siamo rispetto a Dante in condizioni meno favorevoli, perchè i raffronti dobbiamo cercarli faticosamente nei libri e nei codici; ma cercarli dobbiamo, perchè primo nostro scopo è di apprezzare l'arte del poeta con criteri sicuri e precisi e con piena conoscenza delle cose, fin dove possiamo raggiungerla, facendo serenamente a ciascuno la parte che gli spetta.

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Ben vengano dunque i raffronti coll' inanellar disposando' della Pia, a cui abbiamo alluso più sopra, e con altre frasi dantesche, come ‘a ciò non fui io sol'e 'fur si degni', benchè forse non abbastanza caratteristiche, o come porre a' martiri', ' uscir di nave',' questa gente che preme a noi', ' toglier l'ora ', ' vincer la pugna', 'amico della ventura', 'subiti guadagni','che la seconda morte ciascun grida' (1), 'o tu cui colpa non condanna', inoltre come 'tu vedrai ben, se tu là ti congiungi', col qual

(1) Il Del Lungo intende che ciascuno degli spiriti dannati « mostra in sè, nella dolorosa sua condizione, addimostra evidentemente, prae se fert, la propria dannazione, la destinazione alle pene eterne », p. 458. Ma il senso riesce un po' scolorito. Non sarà da spiegare invece, con leggera modificazione, << ciascuno de' quali spiriti dolenti, è una terribile ammonizione e minaccia della seconda morte »? Anche il bel passo, addotto da lui, « d'un pio popolano fiorentino del 1419, che invitava un amico a vita solitaria e meditativa sulla collina di Fiesole, per potervi alcuna volta dilettare del parlare spirituale, o veramente per essere più idonei e atti alla meditazione delle Scritture: le quali cose il luogo e l'aria altro non grida' » mi sembra possa intendersi nel senso da me voluto: il luogo e l'aria non ammoniscono che di tali cose'.

verso è confrontato il barbaro latino d'un documento dell'ottavo secolo, <«< coniungens me in civitate Aretina », e, nel senso opposto, il separare se de aliquo loco di carte fiorentine più recenti; o perfino come nessuno era stato a vincer Acri', dove forse abbiamo tracce di qualche detto popolare su quella vittoria saracina. Bisogna, senza dubbio, usar di tali raffronti con molta prudenza. Io son disposto a credere che l'Alessandra. Macinghi, augurando da Dio al suo figliuolo più giovinetto «< tal virtù. e grazia ch'io ne sia consolata », adoperasse, senza riflettervi sopra, una schietta espressione del suo dialetto e del suo cuore; ma se il Del Lungo non avesse tratto fuori la cronachetta di Neri degli Strinati, scritta verso il 1312, ove la strage di Acri è ricordata in un paragone affine a quello di Dante (« .... che non fu fatto in Acri per li Saracini così fatte opere e pessime »), non mi sarei facilmente persuaso che il Boccaccio, introducendo un confronto non troppo dissimile, non si ricordasse del passo dantesco. Non mi pajono quindi de' più sicuri gli esempi tolti a Ser Lapo Mazzei, che danteggia volentieri. Eppure, a guardar bene, non è senza una propria utilità neppure il raccogliere tali imitazioni di prosatori; perchè, da una parte, c'insegnano sempre qualcosa sulla fortuna' di Dante; e dall'altra, l'ospitalità concessa nella prosa ad una frase dantesca significa di solito ch'essa frase non era ancor diventata di dominio esclusivo della poesia. Certo nessuno scriverebbe oggi, com'è nei Reali di Francia (ediz. Vandelli), I, 16, « si gli avventò a dosso e si lo passò di tre punte mortali nel petto del coltello » (per altri motivi è notevole « quelli famigli.... mandò a 'mpiccare alle giubbette », ib., 59 sg.); nè col Belcari << Io dirò cosa mirabilissima e vera » B. Colombini, c. XXIV, e neppure « levandosi vento contrario spezzò l'aria tenebrosa » Vita d'alc. servi, ecc., c. IX, o « Perchè ti vuoi partir di notte come furo e ladro? Qual viltà ti signoreggia tanto?» ib., c. XX; a tacere di frasi schiettamente popolari, come : « Pognamo giù il reo senno » B. Colombini, c. VIII, « Gesù Cristo è solo quello che non è necessario a noi pur di rado.... ma ad ogn'ora » XXV, « per grande ora in simil modo piansono » LI, « Siati raccomandato il tuo Cristo » LIII, ecc. Il giudizio di questi esempi, che potrebbero facilmente crescer di numero, è sicuro, perchè sono di data sicura: quando ci manca la data, dobbiamo contentarci della probabilità. Così, commentando la preghiera della vedovella a Trajano, piuttosto che lo scolorito latino d'un documento (« .... super petitione domine Bilie vidue, petentis hereditatem filii sui mortui »), si poteva ricordare che forse Dante non sdegnò di mettere in versi, togliendone frasi e parole, un testo volgare dell'antica leggenda (1); ma

(1) Cfr. M. BARBI, La leggenda di Traiano nei volgarizzamenti del Breviloquium de virtutibus di Fra Giovanni Gallese (Nozze Flamini-Fanelli, 1895). La leggenda, un po' abbreviata, si trova pure nella cosiddetta Cronaca d'Amaretto (che non è se non il copista, cfr. St. di filol. rom. II, 291

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