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argomenti del Lunelli, il R. viene a « ribatterli punto per punto ». Dante accennò
quivi, non a un luogo determinato, ma a una direzione generica locale; la Can-
zana (o le Canzane, Calzane) designa una costa limitatissima del « monte Sel-
votto (come appare dall' opportuno schizzo) sopra Levico, donde non scende
<< neanche un rigagnolo d'acqua al lago »; né lascia pensare a una corruzione
del vocabolo, che ricorre tal quale anche nel piú antico documento (a. 1213).
Quivi D. avrebbe dunque detto: « Prima che si senta il caldo in Carinzia, cioè
in principio della primavera dell'Alta Italia », quando appunto il fiume ingrossa.
<< La Chiarentana non è un'indicazione idrografica, ma semplicemente climato-
logica ».
A. F.

R. MURARI, Per l'idrografia dell' « Inferno dantesco. » Nella Biblioteca delle scuole italiane, a. VIII, Ser. 2a, n. 2(15 ott. 1898). «Unico è il corso delle lagrime, che scende dal monte Ida ad Acheronte; unico il fossato, che di questo forma lo Stige; unica la doccia per cui l'acqua da Flegetonte scende in Cocito; onde è da credere che unico sia pure il canale per cui comunican tra loro Stige e Flegetonte ». Ora, scorrono i ruscelli sempre visibili alla superficie? diversamente, dove << si sprofondano nelle viscere della terra »? « Nulla ci vieta di supporre un ruscello che, traversando il cerchio degli eresiarchi unisca tra loro >> Stige e Flegetonte (benché Filalete supponga quivi una comunicazione sotterranea onde, sotto alla città roggia, l'ultimo salirebbe al grado di ebullizione); quel rigagno rosso i cui margini fan via attraversa certamente, non che la landa infocata, anche la selva onde fuor spiccia. Ma come si congiungono Acheronte con Stige, e Flegetonte con Cocito? « Il rigagno » di congiunzione fra gli ultimi due << non attraversa in modo visibile il cerchio ottavo: non resta che supporgli un cammino ascoso », cosí come (dopo un esame de'primi cerchi, corrispondente a quello già fatto sulle bolge dell'ottavo) « conviene ammettere che » il rigagno fra l'Acheronte e lo Stige passasse nascosto almeno sotto il cerchio degli avari. >> A. F.

GIACOMO BONI, Studi danteschi in America. Nella Rivista d'Italia, a. I, 1898, fasc. 6o. Rifà in breve giovandosi dello studio del Koch (Bull., N. S., V, 18), la storia del culto di Dante in America. È notevole in fine dell' articolo una lettera del venerando prof. Norton all'autore, in data del 20 marzo 1898: « Mi ha dato gran piacere sentire ch' Ella vuol richiamare l'attenzione degli Italiani sulla importanza e l'ufficio della Cattedra dantesca nella Università di Roma; poichè è dall'Italia e specialmente dalla sua capitale, che quanti studiosi del grande Poeta trovansi in altre terre, dovrebbero aspettare quella interpretazione e quella dilucidazione della sua opera che abbisognano ad ogni successiva generazione umana, in termini adatti al proprio spirito e al progresso civile da essa raggiunto. La parte essenziale dell'opera di Dante permane da un'età all' altra sempre contemporanea. Lo spirito della Divina Commedia è perenne, poichè la sua vitalità non è di una età o d'un popolo speciale, ma della natura umana. La parte mortale rimane addietro, mentre da una generazione all'altra

La virtù formativa raggia intorno
Così e quanto nelle membra vive.

Dante non avrà mai un commento finale; potranno venire chiarite tutte le difficoltà del testo, potranno venire acquistate le cognizioni necessarie per interpretarlo, finiremo ancora collo sciogliere gli enigmi del « veltro» e del « cinque

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cento dieci e cinque », sapremo che significhi Lucia e Matelda, ma, dopo fatto questo, l'indomani ci chiederà la sua propria interpretazione del significato morale del poema e non si accontenterà della spiegazione odierna. Perciò io le auguro di cuore ogni successo, e vorrei che fosse in mio potere di far qualche cosa, per quanto piccola, per contribuirvi ».

JOSEF KOHLER, Dante- Übersetzung oder Nachdichtung? Nella Zeitscrift f. vergleichende Litteraturgeschichte, N. F., XI (1897), 142-152. — L'A. cerca di dimostrare in quest' articolo che è omai inutile accrescere il numero delle traduzioni tedesche di Dante, col solo scopo di facilitare l'intelligenza del poema e di diffonderne la conoscenza; e che d'altra parte non è possibile, traducendo fedelmente la Divina Commedia, compiere una vera e grande opera d'arte, poichè, mentre possiamo sentirci, per così dire, all' unisono con Omero e con Shakespeare, più facili, o più famigliari e vicini al nostro pensiero, non riusciremmo mai a rendere in tutto accessibile e chiara alla mente e al sentimento moderno la grande epopea medievale. Convien dunque, non tradurre ma imitare liberamente, sostituendo a tutto ciò ch'è morto per noi, concetti, imagini, nozioni che trovino un'eco nell'anima nostra. Si devon perciò rammodernare le vecchie ed erronee notizie geografiche, cosmografiche, astronomiche; abbandonare gli antipatici particolari mitologici di Apollo, delle Muse e via discorrendo; chiarire e determinare coll'aiuto della storia i particolari, troppo fuggevoli e spesso incomprensibili per noi, che riguardano i personaggi del tempo (qui viene in mente senza volere quel che pensò di fare e in parte fece il Foscolo, sostituendo ad epiteti locali d'Omero, non più significativi per noi, descrizioni pittoresche de' luoghi, tolte dalla realtà); accettare i concetti religiosi di Dante, ma non certe credenze, affatto proprie del suo tempo, come quella che le anime destinate al Purgatorio s'indugino alla foce del Tevere; rendere intelligibili, adattate a noi, o anche, se questo non sia possibile, sopprimere le allegorie; toglier di mezzo ogni imagine che non risponda al gusto moderno, e infine, per non impacciar troppo e impedire il volo della poesia, prendersi tutte quelle libertà che son necessarie ad imprimere nella nuova opera come il suggello dell' originalità. Tuttavia, sarà bene conservar la bellissima forma della terzina, che il poeta scelse con mirabile intuizione artistica; e possibilmente anche il numero de' suoi versi, poichè Dante dimostra un finissimo senso psicologico delle giuste proporzioni, nel modo in cui si svolgono le varie scene o le riflessioni di ciascun canto, o in cui si alternano e si succedono. E qui seguono alcune osservazioni estetiche sull' episodio della Pia, l'improvvisa apparizione sua e la potente efficacia del rapidissimo racconto della sua vita, in tre soli versi (p. 150; a p. 148 però mostra di non capire del tutto bene il terzo verso, anche perchè legge disposato' invece di disposando ').

L'articolo, pieno d' artistico entusiasmo per Dante, è un'anticipata difesa di un'imitazione poetica (Nachdichtung) del Purgatorio, che l'A. prometteva in esso di pubblicare dentro pochi mesi, e sarà quindi anche venuta alla luce. Senza di ciò, noi non l'avremmo creduto, nel suo insieme, che un elegante paradosso; elegante, ma nemmeno abbastanza originale, perchè troppo affine a certe note teorie del secolo decimottavo.

E. G. PARODI.

CARLO DRIGANI, Responsabile

370-6-1899. Firenze, Tip. di S. Landi

SOCIETÀ DANTESCA ITALIANA

(FIRENZE)

La Società Dantesca Italiana, costituita per accomunare gli studi dei dotti italiani e stranieri intorno a Dante e per renderli più divulgati ed efficaci, intende ora principalmente a un'edizione critica delle opere del sommo Poeta. Ne è stato pubblicato il primo volume, contenente il De vulgari Eloquentia a cura del prof. Pio Rajna.

Il Comitato centrale ha sede in Firenze (Via della Dogana, 1): vi sono o possono essere Comitati regionali, dipendenti dal centrale, dovunque, nella penisola o all'estero, si trovi un numero di Soci sufficiente a costituirli. Dove non sono costituiti i Comitati regionali, i Soci corrispondono direttamente colla Presidenza del Comitato centrale.

La quota annua da pagarsi da ciascun Socio è L. 10; e possono esser Soci anche gli Enti (Istituti d'istruzione, Biblioteche, Municipi, ecc.) e tutti quelli, che pur non essendo speciali cultori di Dante, vogliano concorrere ad onorare con questo mezzo il sommo Poeta. Ricevono il nome di Soci promotori coloro che, oltre alla quota annua danno alla Società per una sola volta lire cento almeno; il nome di benemeriti coloro che per una sola volta le facciano una largizione di danaro, non inferiore a cinquecento lire, ovvero qualche dono di gran valore, specialmente in libri od in opere d'arte, che comecchessia si riferiscano a Dante. Il socio benemerito non è tenuto alla quota annua.

I Soci hanno diritto a un esemplare di quelle pubblicazioni che vengono fatte coi fondi sociali. Quanto alle altre che la Società abbia promosse ed aiutate, sarà loro concesso, nell'acquisto, il maggior vantaggio possibile.

Gli Autori e gli editori di studi danteschi sono pregati di favorirne possibilmente due copie alla Direzione del Bullettino; i direttori di riviste, di fare il cambio con questo, o almeno di mandare i numeri che contengano qualche articolo riferentesi a Dante.

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Per i non Soci: L. 1 il fascicolo
ALLA LIBRERIA DI B. SEEBER
Succ. di LOESCHER & SEEBER

FIRENZE

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