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zero, che l'inferno dantesco, misurato secondo i dati che il poeta ci fornisce, appare alla nostra riflessione singolarmente angusto: ma forse che esso, nonostante codesta cura, un po' medievale, de' numeri e delle misure, appare angusto anche alla nostra imaginazione?

Le pagine del Bodmer sono il primo studio critico dedicato a Dante in Germania, e sono anche il solo studio d'insieme che ci venga innanzi nel periodo esaminato dal nostro Autore: per trovare un più largo e più compiuto giudizio della sua grandezza poetica bisogna discendere fino alla fine del secolo e alla critica romantica degli Schlegel, che lo collocò finalmente nel posto dovutogli, accanto a Shakespeare. Tuttavia, che questo posto gli toccasse di pieno diritto, pare abbia intuito anche prima, se si giudica da un fuggevole accenno, l'autore di certe Lettere per la formazione del buon gusto, Giovanni Giacomo Dusch, che scriveva nel 1765: « il peggiore abbozzo può sfidare qualunque critica, in grazia del colorito, che sa dargli la mano d'un Shakespeare o d'un Dante ». Ed era il tempo che, per opera della geniale critica del Lessing, Shakespeare era stato innalzato in Germania ai primissimi onori. Un confronto consimile faceva su per giù negli stessi anni il continuatore della critica epistolare del Lessing, il Gerstenberg; lo stesso che poi doveva grandemente giovare alla fama di Dante col suo dramma Ugolino, comparso nel 1768; nel quale in certo modo i due massimi poeti de' tempi moderni eran di nuovo uniti in fraterno abbracciamento, provenendo da Dante la materia, e da Shakespeare l'arte di trattarla drammaticamente. Fra i critici e gli ammiratori del dramma fu pure il giovine Herder; il quale, toccando dell'episodio dantesco, mostrò di sentirne profondamente l'artistica perfezione e la tragica efficacia; benchè in quel primo periodo della sua vita letteraria egli forse ammirasse di Dante piuttosto i particolari che l'insieme, e non fosse ancora pervenuto a penetrar nell'intimo del suo spirito. A proposito del medesimo dramma qualche buona osservazione sull'episodio dantesco faceva pure il Lessing; ma è un fatto singolare e degno di nota, che il grande critico non abbia mai o trovato o cercato l'occasione di esporre con qualche larghezza il suo pensiero intorno al nostro poeta; come s'egli non ne sentisse la potente attrazione o diffidasse di sè medesimo. Ma forse gli mancò più che altro l'incitamento e l'occasione propizia a far di Dante uno studio profondo; senza il quale la sua grandiosa e rude originalità può talvolta parere asprezza o bizzarria.

L'anno 1755 era comparsa in Germania la prima edizione dell'Inferno, a Lipsia, per cura di Nicolò Ciangulo, « poeta Cesareo e lettor publico italiano ». Da essa prende opportunamente le mosse il secondo articolo del S.-G.; il quale è tutto dedicato all'esame delle traduzioni, fino alla prima completa del Bachenschwanz, ed è ricco di notizie, di giudizi de' singoli tentativi, di raffronti col testo italiano, che mirano a dar saggio sia dell'abilità, sia dell'intelligenza o della fedeltà de' vari traduttori. A noi,

per questa nostra esposizione, basti di ricordarne i nomi, che del resto erano in parte già noti allo Scartazzini: Mosè Mendelssohn, che nel 1758-59, rendendo conto del Saggio sul genio e gli scritti di Pope dell'inglese Giuseppe Warton, ritradusse anche, dalla traduzione inglese inserita in esso Saggio, l'episodio del Conte Ugolino; episodio che fu poi daccapo voltato in tedesco, e questa volta di su l'originale italiano, da Giovanni Giorgio Jacobi, nell'anno 1764; Giovanni Nicolò Meinhard (o propriamente Gemeinhard), che nel primo volume, comparso a Brunswick nel 1763, de'suoi Saggi sul carattere e le opere de' migliori poeti italiani, espose, ora riassumendo con maggiore o minor larghezza, ora traducendo alla lettera, tutta la Divina Commedia, con visibile predilezione per l'Inferno (anche le sue osservazioni critiche, sebbene non sempre abbastanza elevate o spregiudicate, meritano considerazione); infine Leberecht Bachenschwanz, che primo tradusse tutto il poema, e ne pubblicò le tre parti a Lipsia, nel 1767, 1768, 1769, dedicandole a Caterina di Russia. Il giudizio de' contemporanei fu verso il Bachenschwanz molto benevolo, e specialmente il suo Inferno incontrò largo favore; i critici moderni invece sono verso di lui severissimi e più severo di tutti il S.-G. Al quale toglieremo, a modo di conclusione, le seguenti parole: «È merito del B. di aver resa pel primo accessibile ai tedeschi l'intera Commedia; ma il modo in cui tradusse, era poco conveniente a dare una giusta idea del grande poeta a chi non potesse leggerlo in italiano. Se ciononostante almeno l'Inferno ottenne così felice successo, segno è che in Germania era finalmente suonata l'ora di Dante. Si deve certo riconoscere che il B. chiude per la Germania un periodo di cognizioni e di studi danteschi; ma egli ne apre nel tempo stesso uno nuovo, poichè per opera della sua traduzione l'interesse pel poeta comincia a risvegliarsi e a diffondersi ».

ANNUNZI BIBLIOGRAFICI

E. G. PARODI.

La Divina Commedia di Dante Alighieri, col commento di PIETRO FRATICELLI, Nuova edizione riveduta da un Letterato toscano. Firenze, Barbèra, 1898; 16o, pp. 623 e CXLIX di rimario, sommario e indici. I commenti alla D. C. di Brunone Bianchi, del Fraticelli e dell'Andreoli, i quali fino a pochi anni fa erano i più adoperati nelle scuole, hanno più o meno tutt'e tre, specialmente per tale uso, pregi notevoli di facile esposizione, di sobrietà, di lucidezza; onde pareva strano che agli editori non venisse in mente di cercar di ringiovanirli un po', di procurarne nuove edizioni, nelle quali, senza alterare il primitivo disegno, fossero introdotti quei cambiamenti che ormai più decennî di un assai fervido lavoro intorno all'opera di Dante rendevano necessari. Pel Fraticelli ora a ciò ha voluto provvedere il Barbèra, il quale pone innanzi al volume questo avvertimento: « Logore omai, per le frequenti ristampe, succedutesi nel corso di circa quarant'anni, le lastre stereotipiche della Divina Commedia col commento di Pietro Fraticelli, e dovendosi metter mano ad una nuova edizione, ho voluto che questa si avvantaggiasse sulle precedenti, sia per una maggior

correzione, sia per una più comoda numerazione dei versi, sia per una distribuzione del commento in modo più elegante e meno faticoso all'occhio del lettore. E altresì nel Rimario, al metodo consueto mi è piaciuto sostituire un altro, ideato ed eseguito ingegnosamente da un bravo insegnante, che riuscisse più sollecito per la consultazione e meglio atto a certi raffronti in servigio de' filologi (1). Inoltre, dopo tanti progressi nelle indagini e negli studj danteschi dal tempo in cui il Fraticelli pubblicò per l'ultima volta il suo commento, era espediente rettificare qua e là certe lezioni alquanto arbitrarie, e non suffragate da' migliori testi, ed alcune poche interpretazioni che o non reggono più alla critica, o sono state meritamente soppiantate da altre. Di ciò ho dato l'incarico a un chiaro professore toscano, assai versato in questi studj; il quale, rispettando, com'era mio desiderio, il testo e il commento antico, vi intercalasse ne' debiti luoghi, in maniera di brevi postille, quelle rettificazioni che gli paressero necessarie. Così il lavoro del benemerito Fraticelli, mentre conservava la sua integrità, avrebbe meglio sodisfatto alle più importanti esigenze della moderna critica, per quanto almeno richiedeva un commento destinato, più che altro, all'uso delle scuole. » Mi sembra però che, con soverchia devozione al Fraticelli, si sia voluta mantenere l'integrità dell'opera sua, e che chi ha curato la nuova edizione (chi sia non so; ma senza dubbio un letterato competente e dotto) avrebbe dovuto nelle aggiunte e nell' emendazioni trarre maggior profitto dagli studi moderni, segnatamente per la dichiarazione storica del poema. Già fin dal principio del volume conveniva od omettere o rifare i Cenni storici intorno la vita di Dante Alighieri e il discorso Della prima e principale allegoria del poema di Dante; tanto più appunto che il libro deve servire massimamente per gli scolari; i quali leggeranno in quelli scritti parecchie cose non vere o malsicure, e vi troveranno contradizioni non poche con quel che studiano nei loro manuali e compendî di storia letteraria e sentono dai loro maestri. Nè a rimediare a tal guaio, che si poteva tanto facilmente evitare, bastano certe smilze noticine del nuovo editore. Che se quelle due prose si sono volute ristampare per dare un saggio degli studi e dello stile del Fraticelli, io non so capire con quale intendimento si sieno conservate nel testo lezioni arbitrarie, nel commento spiegazioni errate, osservazioni, notizie e date inesatte, accodandovi fra delle lineette le correzioni. Ecco qualche esempio. Al v. 59 del c. V dell'Inf.: Che succedette a Nino e fu sua sposa, il Fraticelli riferisce pur la variante che sugger dette a Nino, trattenendosi a spiegarla e giudicandola << molto acconcia a caratterizzar Semiramide per incestuosa »; ma il nuovo editore rimbecca: « variante fantastica e senza fondamento » || . Ai vv. 98-99 del c. IX dell' Inf.: Cerbero vostro, se ben vi ricorda, Ne porta ancor pelato 'I mento e 'l gozzo, il diligente scolaro, che s'ha da preparare al commento, leggerà tutto attento questa annotazione: « .... Allegoricamente può intendersi dello Spirito infernale, che alla discesa di Gesù Cristo all' Inferno pelossi per rabbia il mento, e fece oltraggio al volto, non potendo far forza contro la Divinità »; ma non avrà appena finito che, ad ammonirlo di non prestarci fede, troverà la seguente postilla: «È noto che Dante prende spesso esempi dalla

(1) Concordanza speciale della D. C. di D. A., ossia Repertorio di tutti i versi del Poema ordinati alfabeticamente secondo le loro parole finali, del Prof. Dr. Luigi Polacco. Questi ha perfezionato anche l'Indice dei nomi propri e delle cose notabili.

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mitologia, non meno che dalle Sacre carte. E però l'allegoria veduta qui dal F. non ha fondamento ». Così al v. 73 del c. XVI: La gente nuova e i subiti guadagni, il Fraticelli osserva, a proposito della gente nuova, con poca esattezza storica, come dimostrò il Del Lungo, che «< in questo senso » i Latini dissero homo novus; ma ora la nota s'è mutata in modo un po' curioso: << In questo o piuttosto in altro || senso i Latini: homo novus »! E in molti luoghi di tutt' e tre le cantiche il vecchio commentatore dice bianco e il nuovo soggiunge: o piuttosto nero. Unicuique suum, sta bene; ma non era meglio, avvertendo dove nel testo o nell'esposizione fosse espediente dipartirsi dal Fraticelli, correggere poi francamente e rinnovare senza tanti scrupoli? In conclusione credo che una nuova edizione riveduta del commento del Fraticelli non fosse inopportuna e inutile, ma che si dovesse fare con criterî diversi: ci voleva non una rintonacatura, ma un restauro giudizioso. G. A. VENTURI.

I. DEL LUNGO, Da Bonifazio VIII ad Arrigo VII: pagine di storia fiorentina per la vita di Dante. Milano, Hoepli, 1899; 16o, pp. VIII-474 (L. 5). << Libro nuovo cavato da un libro vecchio », come dice l'A. stesso nella prefazione. Essendo per esaurirsi l'edizione dell'opera Dino Compagni e la sua Cronica, il Del Lungo ha pensato bene « d'estrarne, in dieci capitoli, la storia della democrazia fiorentina fra gli ultimi anni del secolo XIII e i primi del XIV, nelle sue relazioni co' due grandi principii la Chiesa e l'Impero, intorno ai quali, come a perno, il pensiero e la poesia di Dante possentemente si svolgono ». « Questo (continua l'A.) vogliono dire i nomi di Bonifazio VIII e di Arrigo VII, posti in fronte al nuovo mio libro. Del quale, nel congegno datogli, non è quasi pagina che non sia stata ritoccata: e se molte sono alleggerite di apparato erudito, in molte altre ho apposto ho migliorato ho corretto ». Ne riparleremo prossimamente.

L. AMBROSI, La psicologia dell' immaginazione nella storia della filosofia: esposizione critica. Roma, Società edit. Dante Alighieri, 1898; 8°, pp. xxxiv-562.— Il 9° capitolo di quest'opera (pp. 55-60) è consacrato a Dante, e mira a « far vedere, come, allorchè Dante ordina la mole delle sue singole creazioni poetiche in quella portentosa unità di concezione che è appunto la Divina Commedia, ha piena e chiara coscienza delle leggi che governano l'immaginazione, di cui mostra il successivo innalzarsi dall' aspetto sensitivo all' aspetto intellettivo, non meno che dalle basse regioni infernali la visione passa all' alto empireo celeste, svolgendo così tutta una teoria psicologica, per quanto espressa in forma poetica, intorno alla facoltà di cui fa così degno uso ». Il capitoletto è breve; e la trattazione, anche per un'opera d'indole generale come quella dell'Ambrosi, ci pare monca e troppo superficiale. G. V.

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GIOVANNI SEREGNI, La pietà dei due cognati: appunti danteschi. Nel Pensiero italiano, nov. 1897 (pp. 319-332 del vol. XXI). Con buona informazione di ciò che è stato scritto sull'argomento, è dal S. ripresa in esame la vexata quaestio del motivo, per il quale D. avrebbe mostrato una speciale pietà per Paolo e Francesca. Il S. cerca di provare dapprima come non si possa dire che D. abbia assegnata ai due cognati una pena troppo lieve (p. 320); ma osserva poi essere << innegabile che il poeta ha moralmente abbellito l'adulterio » (p. 321). Si fa quindi ad esaminare insieme coi dati storici del fatto, quelli che presto vi aggiunse la fantasia del popolo, e che dimostrano come dei due amanti in ge

nerale si sentisse viva pietà, sicchè « forse Dante si fece interprete della pubblica pietà » (p. 323). Però già ad antichi commentatori l'indulgenza di D. parve << soverchia e quasi sospetta » (p. 325); ma le ragioni varie che e antichi e moderni addussero per ispiegarla, non paiono sufficienti al S. Il quale dopo averle esaminate e scartate, mette innanzi la sua, in cui entra pure qualcuno degli elementi già presi da altri in considerazione, e che si può dire espressa nelle parole che qui riferiamo: «È triste per noi, e doveva pure essere triste per Dante, il pensare come l'uomo facilmente erri, come le anime più nobili traviate dai dolci pensieri, pecchino talora più bassamente. Corruptio optimi pessima...... E che mai poteva meglio rammentarglielo che la vista di nobili dame e di valenti cavalieri, cui la gentilezza stessa del cuore aveva condotto al peccato e all' eterno allontanamento da Dio? E quanto rapido il passaggio dalla virtù alla colpa! La lettura d'un libro, un punto solo bastano a vincere due anime forse non nate al peccare... Dante ha pietà di questa terribile condizione dell' uomo, e pietà tanto maggiore, inquantochè egli stesso per la sua follia fu già presso all'ultima sera, ed ancora è nuovo pellegrino in quel viaggio, che dalla selva del peccato, attraverso le tenebre della dannazione e il crepuscolo del sentimento, lo deve condurre alla eterna Luce intellettual piena d'amore ».

Della Biblioteca storico-critica della letter. dantesca' diretta da G. L. Pa sserini e da P. Papa (cfr. Bull., N. S., VI, 100) sono comparsi in luce altri due volumetti, dei quali renderemo conto nei prossimi fascicoli:

II-III. La Vita di Dante: testo del così detto Compendio attribuito a Giovanni Boccaccio, per cura di E. ROSTA GNO. L. 3.

IV. NICOLA ZINGARELLI, La personalità storica di Folchetto di Marsiglia nella Commedia di Dante, con appendice. Nuova edizione accresciuta e corretta (cfr. Bull., N. S., IV, 65). L. 1.50.

Altre recenti pubblicazioni:

COSTANTINO CARBONI, La sintesi filosofica del pensiero dantesco. Pitigliano, tip. edit. della Lente di O. Paggi, 1899; 16°, pp. 175. L. 3.

GIUSEPPE ERRICO, La simmetria nella Divina Commedia: saggio di studi danteschi. Trani, tip. Ascanio Laghezza, 1898; 8°, pp. 31.

La leggenda di San Francesco scritta da tre suoi compagni (Legenda trium sociorum) pubblicata per la prima volta nella vera sua integrità dai padri MARCELLINO DA CIVEZZA e TEOFILO DOMENICHELLI dei Minori. Roma, tip. edit. Sallustiana, 1899; 8°, pp. cxXXVI-267. L. 10.

MARIO ROSSI, Un letterato e mercante fiorentino del secolo XVI: Filippo Sassetti. Città di Castello, S. Lapi edit.; 1899; 8°, pp. 167. L. 3.

GIUSEPPE DEL GIUDICE, Carlo Troya: vita pubblica e privata, studi, opere, con appendice di lettere inedite ed altri documenti. Napoli, tip. Francesco Giannini e figli, 1899; 8°, pp. 327-cclxiij, con ritratto. L. 13.

MEDARDO MORICI, Dante e il Monastero di Fonte Avellana. Pistoia, tipografia Flori, 1899; 8°, pp. 39, con 5 incisioni. L. 2.

CORRADO BARBAGALLO, Una questione dantesca (Dante Alighieri, i BiancoGhibellini esuli e i Romena). Roma, E. Loescher & C. (Bretschneider e Regenberg), 1899; 8°, pp. 121. L. 1,50.

CARLO DRIGANI, Responsabile

377-6-1899. Firenze, Tip. di S. Landi

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