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dialetto) correndo in ver levante, essendo infatti vero che il braccio che scaturisce da Monte Levane corre più direttamente verso levante che non l'altro nascente in Poggio del Termine, il quale anzi nel suo giro tortuoso per un tratto corre anche verso nord dalla sinistra costa d'Apennino, cioè a dire dal lato della Romagna (anche nel Volg. El. I, 10 Dante dice che la Romagna appartiene al sinistro lato d'Italia) che si chiama Acquacheta suso, avante che divalli giù nel basso letto, qual'è la pianura romagnola — e a Forlì di quel nome è vacante, vale a dire lo perde per prendere quello di Montone ». Come si vede, è l'interpretazione già accennata da altri commentatori e scartata dal Nadiani (Bull., N. S., II, 105-7), perchè d'un Monte Veso negli Appennini tosco-romagnoli non riuscì a trovar notizia. L'A. cita invece « la tradizione paesana, che attraverso i tempi ci ha conservato l'antico nome », e la testimonianza dell'ing. Emilio Rossetti « in una erudita nota del suo dotto libro La Romagna (Milano, Hoepli, 1894 ». Ma il Rossetti altro non dice, riferendo i versi di Dante (p. 82), alle parole Monte Veso: « Ora Mon-vì o Monte Levane, che non deve confondersi col Monte Veso origine del Po», senza specificare se ciò gli consti da informazioni prese sui luoghi o sia sua congettura. Quanto alla tradizione paesana, a noi risulterebbe, per informazioni avute sul posto, e specialmente da un vecchio di 85 anni ai Romiti, che la fonte donde ha principio l'Acquacheta si chiamava e si chiama ancora « Fonte di Monte Visi ». Che il poggio più prossimo, quello di Peschiena, si chiamasse Monte Visi o Monte Veso nessuno ricorda; ma la fonte non è conosciuta con altro nome. · Per i versi 100-102 dello stesso canto l'A. accetta, come anche il Nadiani, l'interpretazione del Boccaccio.

Dott. STEFANO MASSA, « Così a sè e a noi buona ramogna quell'ombre orando....» Nota. Casalmaggiore, tip. Contini di P. Soregaroli, 1897; 8°, pp. 27.Il dott. Massa enumera le varie congetture, messe innanzi da valenti e non valenti commentatori di Dante, per spiegare l'oscuro vocabolo ramogna (Purg. XI, 25), e cerca di mostrare che nessuna contenta, questa perchè colpevole rispetto alla fonetica e all'etimologia, quella perchè non bene d'accordo col senso generale del passo. Il qual passo egli esamina con precisione ed acume, e conchiude che « le anime del primo cerchio pregano Dio per sè e pei vivi, cantando l'orazione domenicale; nessun augurio nè di buon viaggio, nè di prospero successo, a rigore e parlando strettamente; per conseguenza buona ramogna non resta spiegata, o, tutt'al più, è spiegata in maniera vaga che non esclude pienamente il dubbio ». Egli propone dunque come etimo il grecismo latino armónia, che in realtà, rispetto alla fonetica, si può difendere e difendere anche meglio che non abbia fatto l'A.; e studiando i due esempi che, oltre a quello di Dante, ci rimangono di ramogna, s'industria di provare che rispondono bene al vocabolo latino anche per il senso. Infine, tornando a Dante e al passo del Purgatorio, spiega, un po' lungamente, che buona ramogna deve riferirsi «< non a qualcuna delle singole petizioni del Pater noster, ma all'insieme e al contenuto generale di questa preghiera », e che in essa preghiera, « che è dichiarata la più perfetta,... uno è il sentimento che vi campeggia e le dà, per così dire, l'intonazione generale; e questo è un desiderio, un' aspirazione dell' anima cristiana a essere in buona armonia con Dio». Tutto ciò è un po' troppo ricercato, e in genere, questa indagine del senso di ramogna nei vari esempi antichi, è la parte

meno riuscita dell'opuscolo; perchè il desiderio di trovare in ciascuno di essi l'armonia conduce l'A. a sottilizzare soverchiamente. Intanto, se non gli fosse sfuggito il cenno del Bullettino, N. S., III, 154, si sarebbe accorto che il vocabolo, nell' esempio di Iacopo da Cessole, non può significare buona pace', e questo l'avrebbe forse reso più cauto e più restío ad attribuire al ramognare di Andrea Lancia un senso troppo profondo. In conclusione io, pur riconoscendo l'ingegnosità del Massa, non posso dirmi persuaso ch'egli abbia colto nel vero e sciolto definitivamente l'enigma di ramogna. Al più, chi volesse accettare l'etimo armonia, dovrebbe ammettere che il vocabolo, allontanandosi gradatamente dal senso originario, riuscisse a significare press' a poco augurio'. E. G. P.

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G. MARI, Prosa. Nel periodico La Libreria Italiana, anno II, n. 5, pag. 53. (Milano, 10 maggio 1898). Purg. XXVI, 118. « A sostegno e fors' anche a compimento dell'opinione » espressa dal Rajna nel IX Contributo alla storia dell'Epopea e del romanzo medievale (cfr. questo Bull., N. S., IV, 110), che il termine prosa nel dominio delle lingue romanze servisse ad indicare « anche la poesia narrativa e pedestremente didattica », il M. aggiunge alcune nuove e notevoli testimonianze medievali, che sono: 1a un passo della Nova Poëtria di Gaufredo, dove prosae è contrapposto a metra, ed ha il significato generale di ritmi; 2a l'avere Virgilio Marone, nello stabilire la sua nuova terminologia poetica, chiamato prosae i ritmi; 3a una diffinitio prosae data da Giovanni di Garlandia (intorno al 1260), l'autore della « più completa e più elaborata arte ritmica medievale ». Vale la pena di riferirla: « Qui tendit ad artem, diffinire debet quod dicit et dividere et exempla subicere. Dicatur ergo quid sit prosa. Prosa est sermo sententiosus, ornatus, sine metro compositus, distinctus clausularum debitis intervallis. Et dicitur a « pros », quod est « ad », quasi « ad alios », vel a « prosopa », quod est « persona », quasi personalis et vulgaris. Item prosa alia tegnigraphia a « tegni », quod est « ars », et « graphos », quod est « scriptio », qua utitur orator et alii trudentes artem; alia hystorialis, qua utitur ecclesia et tragedi et comedi aliquando et alii nonnulli phisici; alia dictamen, qua utitur scola et curia, cuius species infra apparebunt; alia rithmus, qua utimur in prosis ecclesiasticis. Et nota quod rithmica species est musice ». Il rithmus, osserva il M., è dunque una delle quattro distinzioni della prosa, e questa è contrapposta al metrum. E a far entrare nella prosa ogni sermo sententiosus, ornatus, etc., il trattatista era condotto dal significato che « il termine aveva nella musica e nella liturgia ». Così prosa fu detto ogni componimento volgare, perchè sine metro e personalis e vulgaris; é prosare in Francia significò tradurre di latino in francese, e prosa per ritmo, come osservò già il Rajna, è ancor vivo in Ispagna, paese mirabilmente conservativo in fatto di terminologia ritmica.

U. DE NOTO, Cunizza tra i beati (Nota dantesca). Nella Rassegna pugliese di scienze, lettere ed arti, vol. XIV, n. 10, pp. 305-308. Si cercano le ragioni che possono avere indotto il poeta a mettere fra gli spiriti beati Cunizza da Romano, donna di costumi tutt'altro che puri e santi; e si mettono innanzi non senza prolissità e gonfiezza d'esposizione le seguenti: 1a che ella ebbe tempo di pentirsi ; 2a che per ragione politica Dante giudicò lei, più che altra persona, adatta a predire l'imminente rovina del partito guelfo; 3a che il poeta potè non credere a tutto il

male che di Cunizza si diceva; 4a che « forse il genio di lui, divinando i progressi della medicina moderna », riguardò « le dedizioni di quella donna come derivanti da condizioni patologiche, da natura irresponsabilmente lussuriosa » (?!); 5a che la grande pietà di Cunizza verso i sofferenti elevò forse il livello morale di lei agli occhi di Dante. G. V.

MICHELE SCHERILLO, Rassegna di studi danteschi. Nella Nuova Antologia del 16 gennaio 1899, serie IV, vol. LXXIX; e a parte, Roma, Direzione della Nuova Antologia, 1899; 8°, pp. 16. - Dà conto dei seguenti lavori : H. Oelsner, Dante in Frankreich bis zum Ende des XVIII Jahrh. [Bull., N. S., VI, 24-26]; A. Dobelli, Dante e Byron [Bull., N. S., V, 168]; F. P. Luiso, Di un libro recente sulla costruzione morale del Poema di Dante [ Minerva oscura' di G. Pascoli e Costruzione morale e poetica del Paradiso dantesco [Bull., N. S., V, 176]; L. M. Capelli, Le gerarchie angeliche e la struttura morale del Paradiso dantesco [Bull., N. S., V, 197]; E. G. Gardner, Dante's ten Heavens [Bull., N. S., VI, 195]; Paget Toynbee, A Dictionary of proper names and notable matters in the Works of Dante [Bull., N. S., VI, 43]; Th. W. Koch, Catalogue of the Dante Collection presented by Willard Fiske to the Cornell University Library [Bull., N. S., VI, 44]; G. di Mirafiore, Dante georgico [Bull., N. S., V., 172].

AUGUSTO SERENA pubblica nel Veneto letterario (Rovigo), a. II, n. 17, 12 febbraio 1899, tre sonetti intitolati A Dante in Verona.

Altre recenti pubblicazioni:

DANTE ALIGHIERI, La Commedia riveduta nel testo e commentata da GIULIO ACQUATICCI. Foligno, stab. tip. F. Campitelli, 1898; 16°, pp. XVI-807 (L. 3.50). CESARE BALBO, Vita di Dante Alighieri. Terza edizione, con correzioni e giunte inedite lasciate dall'autore. Torino, tip. Salesiana edit., 1898; 2 vol. in 16°, pp. 284, 398.

UMBERTO CONGEDO, Il Capitano del Popolo in Pisa nel secolo XIV: note d'archivio. Pisa, tip. Mariotti, 1898; 8o, pp. 71.

GIOVANNI CROCIONI, Una canzone e un sonetto di Iacopo Alighieri. Pistoia, tip. Flori, 1898; 8o, pp. 48.

Dott. LUIGI MARAZZA, Dante e il mare. Divagazioni. Genova, Gio. Fassicomo e Scotti, librai editori, 1898; 16o, pp. 56.

GIOVANNI MARI, I trattati medievali di ritmica latina. Milano, Hoepli, 1899; fo, pp. 124.

GIOVANNI MARI, Ritmo latino e terminologia ritmica medievale: appunti per servire alla storia della poetica nostra. Torino, Loescher, 1899; 8°, pp. 58. Estr. dagli Studi di filologia romanza', vol. VIII, fasc. 21.

DOMENICO PALMIERI S. J., Commento alla Divina Commedia di Dante Alighieri. Vol. I: L'Inferno; vol. II: Il Purgatorio, Prato, tip. Giachetti, 1898-99; 8°, pp. 567, 454.

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Prof. GIACOMO POLETTO, La riforma sociale di Leone XIII e la dottrina di Dante Alighieri: conferenze. Parte I, vol. I. Siena, Biblioteca del Clero' editrice, 1898; 8°, pp. XVIII-337 (L. 3.50).

CARLO DRIGANI, Responsabile

441-7-1899. Firenze, Tip. di S. Landi

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SOCIETA DANTESCA ITALIANA

(FIRENZE)

La Società Dantesca Italiana, costituita per accomunare gli studi dei dotti italiani e stranieri intorno a Dante e per renderli più divulgati ed efficaci, intende ora principalmente a un'edizione critica delle opere del sommo Poeta. Ne è stato pubblicato il primo volume, contenente il De vulgari Eloquentia a cura del prof. Pio Rajna.

Il Comitato centrale ha sede in Firenze (Via della Dogana, 1): vi sono o possono essere Comitati regionali, dipendenti dal centrale, dovunque, nella penisola o all'estero, si trovi un numero di Soci sufficiente a costituirli. Dove non sono costituiti i Comitati regionali, i Soci corrispondono direttamente colla Presidenza del Comitato centrale.

La quota annua da pagarsi da ciascun Socio è L. 10; e possono esser Soci anche gli Enti (Istituti d'istruzione, Biblioteche, Municipi, ecc.) e tutti quelli, che pur non essendo speciali cultori di Dante, vogliano concorrere ad onorare con questo mezzo il sommo Poeta. Ricevono il nome di Soci promotori coloro che, oltre alla quota annua danno alla Società per una sola volta lire cento almeno; il nome di benemeriti coloro che per una sola volta le facciano una largizione di danaro, non inferiore a cinquecento lire, ovvero qualche dono di gran valore, specialmente in libri od in opere d'arte, che comecchessia si riferiscano a Dante. Il socio benemerito non è tenuto alla quota annua.

I Soci hanno diritto a un esemplare di quelle pubblicazioni che vengono fatte coi fondi sociali. Quanto alle altre che la Società abbia promosse ed aiutate, sarà loro concesso, nell'acquisto, il maggior vantaggio possibile.

Gli Autori e gli editori di studi danteschi sono pregati di favorirne possibilmente due copie alla Direzione del Bullettino; i direttori di riviste, di fare il cambio con questo, o almeno di mandare i numeri che contengano qualche articolo riferentesi a Dante.

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