Slike stranica
PDF
ePub

esempio solo. In un libretto scritto, si crede, da L. A. Ridolfo, e che usci a Lione nel 1557 con il titolo seguente: Ragionamento havuto in Lione da Claudio de Herberé, gentil'huomo franzese et da Alessandro degli Uberti, gentil' huomo, fiorentino ecc.... si leggono numerose menzioni di Dante, e ben sessanta versi della Divina Commedia citati e lungamente discussi quanto alla lingua (1). Trattandosi d'un volumetto scritto appositamente per i Francesi vogliosi di progredire nella conoscenza della lingua dei poeti italiani, l'importanza di tali citazioni non si può negare, sicchè il trattatello del Ridolfi merita un posto onorevole nella storia della fortuna di Dante in Francia; nè si deve pensare che altri Italiani si siano adoperati meno del Ridolfi a diffondere in Francia la conoscenza della lingua, e per conseguenza dell'opera di Dante. L'O. farà dunque bene di allargare le sue ricerche in questa direzione, se vorrà, come è da sperare, proseguire ed approfondire lo studio del quale ci dà un saggio buono davvero, ma infine non più d'un saggio. HENRI HAUVETTE.

ANNUNZI BIBLIOGRAFICI

DEMETRIO MARZI, Notizie storiche intorno ai Documenti ed agli Archivi più antichi della Repubblica Fiorentina (Sec. XII-XIV). Nell'Archivio Stor. Ital., S. V, t. xx, pp. 74-95, 316-35. Opportuno fu il pensiero del M. di raccogliere con bene ordinata dottrina quante notizie abbiamo de' vecchi archivi della Repubblica di Firenze. Così chi studia la difficile storia di que' tempi fortunosi e per tanti rispetti importantissimi ha ormai ottima guida onde drizzar con sicuro concetto le proprie ricerche, e in qualunque caso apprezzare con retto criterio il valore de' documenti, anche de' noti e non tutti, ahimè! bene considerati. Nella storia di un archivio si riflette la storia di uno Stato: a parlare dell'amministrazione di esso, a rivelarne i progressi e le vicende possono esser sufficienti i suoi registri, i suoi quaderni, le collezioni delle sue carte. E il M. via via dando relazione di tutte le serie dell'archivio vecchio fiorentino, discorre della formazione di esse serie, del loro carattere, del loro valore, discorre con giusta sobrietà delle istituzioni repubblicane e de' cittadini ordinamenti dalle quali procedono. E l'uso fiorentino è qua e là, quando occorre, raffrontato all'uso di fuori. Anche il dantista, che tante cose deve osservare con l'occhio vigile della storia, si rallegrerà per questa pubblicazione, che è desiderabile sia di efficace incitamento ad altre intorno alle carte di altri archivi, ed è intanto esempio eccellente. Il dantista troverà nelle pagine del M. ricordo per es. del libro dei Capitoli, che contiene il ben noto documento della condanna di D., e del libro famoso del Chiodo (pag. 81 e 85), della pratica archivistica

(1) Ecco l'indicazione dei versi citati: Inf. I, 28-33; V, 137; VI, 69; XIII, 109-117 e 139-142; XXIV, 91-99; XXXII, 61-62; XXXIV, 25-27; Purg. III, 133-135; XIV, 5-6; XXIII, 1-3 e 10-12; XXVI, 67-72; XXXII, 11; Parad. XVI, 13-15 e 136-139; XIX, 7 e XXV, 22-24. Vedi Ragionamento, ecc.... pp. 10, 13, 24, 35-99, 42-45, 47, 65, 92, 97.

agli anni dell'Alighieri (pag. 94 e 331), e anche de' trafugamenti tristi (pag. 317; e cfr. Purg. XII, 104) che invano tentavano tôr la vergogna ad officiali colpevoli e davano doppio danno al Comune e alla Storia. P. L. R.

M. BARBI, Due noterelle dantesche (Lisetta. Il Codice Strozzi di rime antiche citato dall' Ubaldini e dalla Crusca). Firenze, tip. Carnesecchi, 1898; 8°, pp. 18. (Per le Nozze Rostagno-Cavazza). L' Ottimo ricorda fra le donne amate da Dante anche una Lisetta; ma non trovandosene altra testimonianza negli antichi: nè alcuna menzione nelle opere di Dante, non gli fu mai prestato fede. Ora il Barbi prova che nel sonetto Per quella via che la bellezza corre deve leggersi non già, come le stampe danno, Passa una donna baldanzosamente, ma, secondo la testimonianza si può dire concorde dei manoscritti, Passa Lisetta: i compilatori della Giuntina, da cui derivano le altre stampe, trovando nel Ms. di cui si servirono licenza o altra lieve alterazione di lisetta, dovettero sostituire, per dare un senso al sonetto, una donna, probabilmente per suggerimento del v. 8 Volgiti, bella donna, non ti porre. Il nome di Lisetta riappare in qualche Ms. anche nel v. 11: Quando Lisetta accomiatar si vede, e, quel che più conta, in un sonetto di risposta, Lisetta voi de la vergogna sciorre, fatto da un Messer Aldobrandino « Mezabote », o (come il Barbi crede doversi correggere) Mezzabati, avendo trovato che un « dominus Aldobrandinus de Mezzabatibus » di Padova fu capitano del Popolo in Firenze dal maggio 1291 al maggio 1292. Il prof. Rajna che attende ora all'edizione illustrativa del De Vulgari Eloquentia, non ha nessun dubbio sull'identificazione di questo Aldobrandino con quello ricordato da Dante nel c. 14 del I tr. dell'opera latina. Sembra probabile all'A. che i due sonetti fossero scambiati in Firenze appunto fra il 1291 e il '92, quando ancor fresca era la memoria di Beatrice e nuovi affetti venivano a tentare il cuore di Dante, e gli pare anche che niente s'opponga all'identificazione di Lisetta con la donna gentile. Nella seconda noterella prova che il Codice Strozzi di rime antiche, dato generalmente come smarrito, è il famoso Chigiano L, VIII, 305.

W. P. KER, Historical Notes on the similes of Dante. (The Modern Quarterly of Language and Literature. Londra, n. 1, marzo 1898, pp. 24-29). — Ecco, in breve il sunto delle osservazioni del signor Ker. Dante è il primo poeta moderno che nella poesia narrativa si valga, in modo largo, delle comparazioni epiche, derivate a Virgilio da Omero; e da lui le imparò il Chaucer, che, del resto, potè trovarne, di imitate da Dante, ne' poemi del Boccaccio. Può anzi dirsi che in tutta la poesia inglese sì fatto uso derivi da Dante, se lo Spencer studiò e imitò per le comparazioni lo Chaucer e l'Ariosto e il Tasso, discepoli in esse di Dante. Onde l'importanza dello studio che deve farsene nella Commedia. È curioso che tanto scarseggino nella poesia neolatina innanzi a Dante. Notevole è in Garin le Loherain (ediz. P. Paris, I, 264) questa:

Ensement va com loutre par vivier

Quant les poissons fait en la dois mucier,

che si può raffrontare con Inf. IX, 76. Dalla lirica provenzale Dante attinse certi modi convenzionali, ne' quali troppo s'indugiò poi il Petrarca; ma restò sempre originale, rinnovando il sentimento intimo delle espressioni. Il verso (Purg. XXXI, 116)

Posto t'avem dinanzi agli smeraldi

allude alle virtù dello smeraldo secondo i Lapidarii: «Nihil his jucundius, nihil utilius vident oculi.... deinde obtutus fatigatos colori reficiunt lenitate, nam visus quos alterius gemmae fulgor retuderit, smaragdi recreant » dice Solino (15, 24). Una immagine gli venne, certo, da Guido Cavalcanti; quella della neve che fiocca senza vento (Inf. XIV, 29), perchè già l'amico suo aveva cantato

E bianca neve scender senza venti;

ma anche qui è altro l'intendimento della comparazione. Per l'allodola (Par. XX,73), il signor Ker raffronta i versi di Bernardo da Ventadorn: « Quand vei la laudeta mover. » Le comparazioni così frequenti nel poema, dove Dante reca ad esempio l'uomo che si trovi nelle stesse condizioni in cui il poeta si descrive, hanno riscontro nell'uso frequente de' Provenzali « Aissi com cel» e simili. Le comparazioni nella Commedia, osserva il signor Ker, possono essere classificate secondo il loro maggiore o minore allontanarsi dal tipo epico ordinario. Nell'Inferno sono le più che si riferiscono a luoghi, perchè il paesaggio voleva più riferimenti a esser chiarito; meno nel Purgatorio; nessuna nel Paradiso, salvo quella sulla lentezza della Chiana (XIII, 23). Tutte queste rientrano, sia pure con largo svolgimento, nel tipo epico: invece le altre, morali, son da ricondurre all' efficacia su Dante della poesia neolatina, francese e provenzale.

V. CAPETTI, Sulle tracce di Virgilio. Estr. dal periodico La nostra scuola, Fermo 1898; 4o, pp. 3. Dopo le sagaci osservazioni del D'Ovidio (cfr. Bull. Soc. Dant. N. S., V, 109), il signor Capetti studia alcune reminiscenze o imitazioni della Commedia dalla Eneide, accettando le conclusioni dell'illustre predecessore, ma in qualche luogo modificandole. Converrebbe riferire tutte le tre dense pagine; gioverà almeno l'indicazione dei luoghi di cui qui si discute con sottigliezza ingegnosa: l'affollarsi delle anime sull'Acheronte, e Caronte nocchiero; l'imbarcarsi delle anime, destinate al Purgatorio, sulla foce del Tevere; Buonconte, per un riflesso che il Capetti vi vede da Palinuro; Corrado Malaspina; Cacciaguida. In generale il Capetti tende a dimostrare, come del resto fece anche il D' Ovidio, che Dante, più che esempi di fonti derivate, ci porge esempi di seconda creazione.

Prof. GIOVANNI PINELLI, Pro Virgilio. Commento al verso di Dante « Di te mi loderò sovente a lui. » (Inf. II, 75). Treviso, 1898; 8°, pp. 38. - I versi danteschi: - Quando sarò dinanzi al signor mio Di te mi loderò sovente a lui.

che altro esprimono, se non una promessa di Beatrice a Virgilio di pregare per lui Iddio? e qual' altra grazia si può chiedere per un dannato, se non la salvezza eterna?

Ma c'è un grave intoppo, a che Virgilio si possa credere salvo nella mente di Dante. Non dice egli di sè:

Quello imperator, che lassù regna,

Perch' io fui ribellante alla sua legge

Non vuol, che in sua città per me si vegna!

Si risponde: la parola di Virgilio non ha valore, perchè la pena, a cui egli è costretto, è precisamente la privazione della speranza, la credenza nell'eternità del castigo.

Apertasi così la via, l'A. raccoglie tutti quegli indizî, che possono venire in appoggio alla sua opinione. Lasciando da parte Catone, che Dante non trae dal Limbo per trasportarlo nel Purgatorio, c'è una redenzione che pregiudica favorevolmente il quesito. Secondo la leggenda seguìta da Dante, S. Gregorio Papa fa una preghiera per un'anima dell'Inferno, per una di quelle, verso le quali << vive la pietà quand'è ben morta ». Ottiene la salvezza di Traiano, facendolo risuscitare, pentire e salire al cielo. Traiano così per grazia divina fu posto in grado di desiderare la salvazione, condizione necessaria per ottenerla. Più facilmente potrà Beatrice impetrar la salvezza d'un' anima del Limbo.

In vero il Limbo Dante non lo enumera con gli altri cerchi infernali (Inf. XI); ed una parte degli spiriti ivi raccolti, gli eroi del Nobile Castello, non morirono nell'ira di Dio, se la fama del mondo acquistò loro grazia nel cielo, cioè larghezza di luce e di aria tranquilla. Inoltre i sospiri stessi, per mezzo dei quali si manifesta il disio senza speme, son ben diversa pena dai martirî dell'Inferno sottostante. Di più l'essersi i sospesi (si noti il vocabolo) trovati in tutto il tempo anteriore alla discesa di Cristo insieme con i giusti dell'antico Testamento ci fa parere ben singolare la loro condizione.

Ma possono essi, non battezzati, essere ammessi alla gloria del Paradiso? Alla terribile domanda, che l'Aquila si fa rivolgere da Dante nel canto diciannovesimo del Paradiso, la celeste figura risponde con la nota terzina:

Or tu chi sei, che vuoi sedere a scranna,

Per giudicar da lungi mille miglia,
Con la veduta corta d'una spanna?

(Par., XIX, 79).

Però, prosegue, il dì del Giudizio saranno assai men prope a Dio certi cristiani di sante parole, ma di opere empie, di quel che saranno tanti altri non cristiani, che furono onesti nella vita. Dunque Dante non esclude dal Cielo questi ultimi; dunque le opere senza la fede possono condurre alla salute eterna. E chi fu più santo nelle opere dei sospesi del Limbo? Così l'A., vinta la massima e sola vera difficoltà, osserva come le parole di Beatrice sarebbero una amara ironia per Virgilio ove fossero finte: nè tali possono essere, perchè uscite di bocca d'uno spirito beato. Osserva pure, come non costituisca un ostacolo il fatto, che nella Candida Rosa tutti i seggi dell'antico Testamento sono occupati, quando si pensi all' onnipotenza divina. Infine termina con l'enumerazione dei meriti di Virgilio presso gli spiriti del medio evo e nel concetto di Dante, e specialmente di quello massimo d'aver cooperato alla diffusione della nuova fede in Roma con la nota Ecloga IV. Nessuna meraviglia adunque se, in una possibile salvazione dei sospesi del Limbo, primo di essi si salvi Virgilio.

Come riassunto di tutto il ragionamento ecco la stessa conclusione dell'A.: << In conclusione, per esser stato Virgilio un altissimo poeta e virtuoso, per esser stato simboleggiato nella ragione umana e scelto quale guida di Dante, per le parole di Beatrice a lui dette in rendimento di grazie, per trovarlo relegato tra color che son sospesi nell'asilo luminoso del nobile castello, per esserci qui ancora un filo di grazia, per aver salvato Stazio, per l'opinione altissima che s'ebbe di lui nel medio evo come di taumaturgo, per aver mosso a pietà gli stessi Santi e finalmente per le parole di speranza che Dante, pur persistendo nella necessità della fede, fa pronunciare all' aquila, per tutti questi ed altri,

che si trovano sparsi qua e là nella mia dissertazioncella, non dirò argomenti ma indizi che pontano nella mia mente, sono spinto a credere alla possibile salvazione di Virgilio. >>

Ciascuno vede facilmente, che il perno di tutta l'argomentazione del Pinelli sta nella sua interpretazione delle parole dell'Aquila. Senza di quello spiraglio aperto verso il Cielo a nulla giovano e lo stato privilegiato del Limbo ed i meriti di Virgilio. « Conchiude (l'Aquila) lasciando trapelare un raggio di speranza nella infinita misericordia divina, col dire che il dì del Giudizio saranno men prope a Dio coloro, che andarono predicando Cristo, Cristo, a fior di labbro, di quelli che conobbero e seguirono senza vizio le virtù cardinali, pur non essendosi vestiti delle tre sante virtù teologiche Fede, Speranza e Carità. Vuol dire che alla infedeltà di costoro supplirà per sua larghezza lo Spirito Santo il dì del giudizio, mediante il battesimo di penitenza. Aliquis, dice San Tommaso (Summ. theol. III quaest. LXVI, art. II), per virtutem Spiritus Sancti consequitur effectum baptismi, non solum sine baptismo aquae, sed etiam sine baptismo sanguinis, in quantum scilicet alicuius cor per Spiritum Sanctum movetur ad credendum et diligendum Deum et poenitendum de peccatis. >

A questa conclusione viene l'A. dando grandissimo valore alla terzina:

E tai Cristiani dannerà l' Etiope,

Quando si partiranno i due collegi,
L'uno in eterno ricco, e l'altro inope

(Par. XIX, 109).

nella quale i due ultimi versi sarebbero oziosi, se l'Etiope che danna i cristiani non si dovesse considerare come salvo egli stesso.

Non è tuttavia da dimenticare, che la terzina tutta intera, considerata come parte della invettiva contro i principi delle terre cristiane,

che son molti, e i buon son rari,

(Par. XIII, 108).

non ha un senso così assoluto, come potrebbe apparire a chi la leggesse staccata dal contesto. Ed anche in ciò giustamente l'A. si salva da esagerazioni. D'accordo con lui deve anche essere ciascuno nella interpretazione della lode di Beatrice. Che se qualcuno fosse in dubbio, prima di ricercare un senso nuovo, rilegga le parole d'un'altra donna, d'una dannata:

Se fosse amico il re dell' universo,

Noi pregheremmo lui della tua pace,
Poichè hai pietà del nostro mal perverso.

Non c'è fra i due passi una grande analogia?

(Inf. V, 91).

B. SOLDATI.

G. MARUFFI, A proposito di Flegias. Nel Lucano mensile, Potenza, II, 8; 30 settembre 1898. Il Maruffi, confessando che la condizione speciale del luogo dove Flegias si trova non ci aiuta a determinare il simbolo ch' ei rappresenta, si ferma sui versi 18-24 del canto VIII, e, raffrontandoli col verso 81 del canto stesso dove anche parla Flegias, s'industria a dimostrare che esso rappresenta l'ira: «con le prime parole, pronunciate contro Dante, lo sfogo dell'ira,

« PrethodnaNastavi »