Slike stranica
PDF
ePub

cioè l'ira palese; e con le seconde, pronunciate da lui, quand' egli è già nello stato d'animo indicato dalla similitudine [di colui che ascolta un grande inganno che gli sia fatto, e poi se ne rammarica], l'ira ascosa o accumulata nel petto.» Pel Maruffi Flegias è dunque il simbolo dell'ira nel suo più largo significato, ed è simbolo conveniente perchè egli diè fuoco per ira e vendetta al tempio di Apollo. Col sesto cerchio non ha nulla a che fare; perchè non fu eretico nè miscredente.

A. BOSCHINI, Alcuni documenti intorno a Jacopo Del Cassero cittadino fanese del secolo XIII. Pesaro, Stab. tipo-lit. A. Nobili, 1898; 16°, pp. 23. Di questi documenti rese già conto il Bullettino (N. S., III, 11-12; pag. 199200); colgo l'occasione che il signor Boschini ristampa ora le sue pagine, per offrire agli studiosi un'antica e non incuriosa testimonianza sulla morte di Iacopo Del Cassero. È una chiosa trecentistica ad una frase del veneziano Sabelo Michiel (vissuto nella metà del secolo XIV) nel suo libro Il Filogeo, là dove, in fine a una lettera amorosa, egli conclude: « O donna crudele, se non mi mandi pace, mandami le ferute al cuore che privò Iacomo dal Cassaro del dolce vivere. » Non sarà inutile avvertire che tanto l'autore quanto il commentatore si mostrano studiosissimi di Dante. Ed ecco la chiosa, che do secondo un manoscritto della biblioteca di Oxford, Canonici Ital. 32, non offrendone la lezione varietà che qui importi registrare dagli altri due manoscritti dove essa chiosa si legge.

<< Messere Iachomo dal Chassero fue uno gentile homo de.... [il copista lasciò in bianco lo spazio d'una parola: è facile supplire Fano] et cavaliero, lo quale fue grande provixonato di signori da la Schala in tempo de messer Alberto et de messer Mastino, et fue grande nimicho del marchexe Francescho da Este. Unde, andando lo dicto da Venexia a Padua cum barcha suxo per Brenta, et essendo dissotto ad Origiagho a la segonda volta de l'aqua de verso Venexia, ello fue arsalito da uno grande chapo de assassini lo quale nominato era Marchone; et essendo cum molti chompagni, ucixe lo nobile cavaliero et grande parte di sua famigia, a peticione del dicto marchexe. Et dapoi sempre per questo malificio fue dicto a quella volta dell'aqua la volta de Marchone, e chusì è dicta fine a ogi. Unde l'autore ecc. >>

Volli sincerarmi della cosa, e riscontrai che veramente anche oggi si chiama la volta del Marcon una svoltata che fa il canale di Brenta tra le Porte della Mira e la Malcontenta. Ciò non accresce, del resto, autorità alla affermazione del chiosatore; il quale potrebbe benissimo aver raccolta una tradizione che arbitrariamente riferisse al fatto di Iacopo Del Cassero l'origine di un nome precedente a quel fatto o indipendente. G. MAZZONI.

PAGET TOYNBEE, Dante's seven examples of munificence in the Convivio, IV, 11. (Romania, 1897, XXVI, 453-460). — Non vi può esser questione sull'identità di quattro tra le sette persone che sono ricordate nell'indicato luogo del Convivio per i loro beneficii e messioni, cioè Alessandro il Grande, il Saladino, Bertrando de Born e Galasso da Montefeltro, per quanto di questi ultimi due, come l'A. mostra, non sia facile dire per qual ragione fossero quivi ricordati da Dante. Chi sia invece il Conte di Tolosa è ancora un'incognita, e l'identificazione che s'è fatta del Marchese di Monferrato con Guglielmo Lungaspada e del Re di Castiglia con

Alfonso X non è appoggiata a nessun valido argomento. Il Toynbee nota che l'epiteto buono applicato da Dante a ciascuno di essi è l'epiteto caratteristico dato ai mecenati dei trovatori nelle antiche biografie provenzali, delle quali l'Alighieri, come anche certuni degli antichi suoi commentatori, ebbe senza dubbio cognizione. Ora tra quei mecenati troviamo « lo bon reis Anfos de Castela » cioè Alfonso VIII, re di Castiglia, 1158-1214; « lo bos coms Raimons de Toloza », cioè Raimondo V, conte di Tolosa, 1148-1194; e (sebbene senza l'epiteto caratteristico)<< lo Marques Bonifacis de Monferrat », cioè Bonifazio II, Marchese di Monferrato, 1192-1207, primo re latino di Salonica; i quali tutti erano ben conosciuti come munifici patroni e protettori dei trovatori. Non esita quindi l'A. a identificare il Re di Castiglia, il Marchese di Monferrato e il Conte di Tolosa menzionati da Dante con questi tre munifici principi, e non ha nessun dubbio che essi debbano quell'onorevole menzione, tra gli esempi di munificenza, al fatto che essi figurano in modo distinto nelle biografie provenzali dei trovatori come facenti il<< bel cambio », che Dante loda si altamente, delle vane ricchezze col cuore dei valenti uomini.

LEWIS FREEMAN MOTT, The system of courtly love studied as an introduction to the Vita Nuova of Dante. Boston, U. S. A., Ginn and C., 1896; 8o, pp. 153. — È da dolersi che l'autore di questa tesi per laurea non abbia riferiti i testi, che egli coordina in serie, nella loro forma originale, ma li abbia tradotti: si perde così forse il precipuo interesse del lavoro, che intende a studiare il determinarsi e formarsi via via del frasario amoroso ch'ebbe il suo massimo onore nell'arte de' bolognesi e de' toscani nella seconda metà del secolo XIII. Il signor Freeman Mott segue esse formule da' Provenzali e Francesi fino a Dante; bene informato, di solito, de' recenti studii, ma, a dir vero, con poca finezza di critica, e mal valendo a risalire da tale spoglio a concetti generali e a dimostrarli in modo evidente. La conclusione non può non essere accettata: è un fatto che Dante trovò innanzi a sè, per le sue rime amorose, un materiale copioso di espressioni; e lo studioso americano ha ragione nel dire che egli se ne valse magistralmente per cantare le più sottili analisi della sua passione. Ma conveniva meglio mostrare come lo spirito che il poeta infuse in quelle viete formule fu tale da rinnovarle, mentre tanto aggiungeva loro di vaghezza la sua incomparabile maestria d'artista. Quanto in questo lavoro riguarda Dante è, anche per ciò, di minor utilità del resto: a ogni modo, esso porge agli studiosi di lui un assai ricco repertorio di riscontri de' quali potranno valersi nell'illustrazione e nel giudizio delle rime sue. Per una speciale affermazione sul titolo Incipit Vita Nova che il signor Freeman Mott vuole estendere, proprio con l'Incipit, a tutto quanto il libretto, cfr. Rass. Bibliogr. letter. ital., Pisa, V, 6-7, pp. 148-150.

PROF. A. FIAMMAZZO, Per la storia del codice dantesco (Lolliniano) di Belluno. Un documento inedito. Nel periodico Studi Bellunesi, n. 10; e a parte, Belluno, tip. Cavessago, 1898; 8°, pp. 7. -- Pubblica una lettera del prof. G. Domenico Strada (Belluno, 14 dicembre 1871) al Ferrazzi, dalla quale si deduce che Giambattista Suppi, già professore nel ginnasio Bellunese, collazionò negli anni 1869-70, insieme col prof. Strada, il codice Lolliniano.

CARLO DRIGANI, Responsabile

110-1899. Firenze, Tip. di S. Landi

[graphic][ocr errors]

SOCIETÀ DANTESCA ITALIANA

(FIRENZE)

La Società Dantesca Italiana, costituita per accomunare gli studi dei dotti italiani e stranieri intorno a Dante e per renderli più divulgati ed efficaci, intende ora principalmente a un'edizione critica delle opere del sommo Poeta. Ne è stato pubblicato il primo volume, contenente il De vulgari Eloquentia a cura del prof. Pio Rajna.

Il Comitato centrale ha sede in Firenze (Via della Dogana, 1): vi sono o possono essere Comitati regionali, dipendenti dal centrale, dovunque, nella penisola o all'estero, si trovi un numero di Soci sufficiente a costituirli. Dove non sono costituiti i Comitati regionali, i Soci corrispondono direttamente colla Presidenza del Comitato centrale.

La quota annua da pagarsi da ciascun Socio è L. 10; e possono esser Soci anche gli Enti (Istituti d'istruzione, Biblioteche, Municipi, ecc.) e tutti quelli, che pur non essendo speciali cultori di Dante, vogliano concorrere ad onorare con questo mezzo il sommo Poeta. Ricevono il nome di Soci promotori coloro che, oltre alla quota annua danno alla Società per una sola volta lire cento almeno; il nome di benemeriti coloro che per una sola volta le facciano una largizione di danaro, non inferiore a cinquecento lire, ovvero qualche dono di gran valore, specialmente in libri od in opere d'arte, che comecchessia si riferiscano a Dante. Il socio benemerito non è tenuto alla quota annua.

I Soci hanno diritto a un esemplare di quelle pubblicazioni che vengono fatte coi fondi sociali. Quanto alle altre che la Società abbia promosse ed aiutate, sarà loro concesso, nell'acquisto, il maggior vantaggio possibile.

Gli Autori e gli editori di studi danteschi sono pregati di favorirne possibilmente due copie alla Direzione del Bullettino; i direttori di riviste, di fare il cambio con questo, o almeno di mandare i numeri che contengano qualche articolo riferentesi a Dante.

[graphic]
« PrethodnaNastavi »