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insistere su questo parallelismo, che sostiene esser compiuto e perfetto pur nella disposizione materiale, e che cerca dimostrar tale con l'aiuto anche d'una tavola.

E. R.

B. A. BETZINGER, Di mondo in mondo. Florilegio dantesco colla traduzione tedesca di contro. Von Welt zu Welt. Ein Dante-Album mit deutscher Uebersetzung. Freiburg i. Br., Herder'sche Verlagshandlung, 1896; pp. 308. — Il Betzinger, scelto dal divino poema un copioso numero di versi, li ha distribuiti secondo svariate categorie di concetti, riproducendovi il testo dell'originale conforme l'edizione milanese dello Scartazzini, e accompagnandolo con la versione ora del Filalete, ora del Witte, ora anche sua propria. Una breve appendice contiene alcuni schiarimenti, che attestano del grande entusiasmo del B. per Dante: e il volume si chiude con un indice alfabetico che serve a render pratico e pronto l'uso dell'opera.

E. R.

Les plus anciennes traductions françaises de la Divine Comédie publiées pour la première fois d'après les manuscrits et précédées d'une étude sur les traductions françaises du poème de Dante par C. MOREL, chancelier de l'Université de Fribourg (Suisse). I partic: Textes, 8°, pp. v-623; 11° partie: Illustrations. Paris, Librairie universitaire, H. Welter, 1897. E. STENGEL, Philologischer Kommentar zu der französ. Uebertragung von Dante's Inferno in der Hs. L. III. 17 der Turiner Universitätsbibliothek (Supplément zu: Les plus anciennes traductions françaises, etc.). Paris, Librairie Universitaire, H. Welter, 1897. - Le traduzioni antiche francesi, della cui pubblicazione dobbiamo essere grati al Morel, sono tre; quella d'autore anonimo dell'Inferno (pp. 3-191) che si trova nel ms. L. III. 17 dell'Universitaria di Torino; quella parimente anonima dell'intero poema, contenuta nel ms. 10201 della Biblioteca Imperiale di Vienna e ch'è della seconda metà del secolo XVI (pp. 193-586), e alcuni canti (pp. 587-603) di quella del Bergaigne, di cui ci restano frammenti nei manoscritti della Biblioteca nazionale di Parigi, Nouv. acq. franç. 4119 e 4530. I testi sono accompagnati da schiarimenti a piè di pagina e da una breve serie di annotazioni diverse aggiunte in fine del volume e che riguardano le versioni di Torino e di Vienna; schiarimenti e annotazioni, della cui opportunità pochi saranno convinti per le buone ragioni esposte da R. MURARI nel Giornale Dantesco, anno V, pp. 556 sgg. L'introduzione, annunziata dal M. nel titolo della sua opera, ancora non è comparsa; allorchè essa sarà venuta alla luce - il che auguriamo avvenga presto - discorreremo più ampiamente di tutta l'opera. Una parte però delle cose, che il Morel avrebbe trattate nella sua introduzione, è contenuta nel volume dello STENGEL, che, sul punto di pubblicare il testo torinese, ne smise il pensiero, avendo risaputo che a ciò attendeva il Morel, ma che, d'accordo con questo, imitabile esempio di concordia e cortesia scientifica, diè alle stampe lo studio già da lui compiuto sul testo torinese, come supplemento alla pubblicazione del Morel. In questo volume con la dottrina e la competenza a tutti note lo Stengel non solo commenta filologicamente il testo torinese canto per canto, ma ce ne dà il glossario, e in un'ampia introduzione discorre del ms. torinese descrivendolo e studiandone le vicende; e della versione dell' Inferno ricerca quale sia stato il testo seguito dal traduttore, per concludere che non è proprio quello che nel ms. torinese sta di fronte alla versione, il quale in taluni punti si direbbe ispirato dal testo francese; esamina quindi

il modo in cui fu condotta la versione, e tratta della struttura ritmica che in essa troviamo (terzine di alessandrini rimate come le dantesche); infine indaga quando, dove e da chi si possa ritener composta la versione. La quale, secondo lo Stengel, non è opera di alcuno di quelli i cui nomi sono stati messi innanzi dai dotti (Bergaigne, Alione), nè, come i più han ritenuto, di un italiano, ma di un francese che probabilmente la scrisse per un principe della corte di Torino, verso la fine e a questa conclusione è condotto lo Stengel da criteri linguistici del secolo XV. Il volume delle Illustrazioni contiene la riproduzione di alcune pagine miniate del codice torinese e dei due parigini ricordati, e inoltre tre delle miniature del ms. ital. 2057 della Nazion. di Parigi, le quali sono del resto ormai tutte pubblicate (Paris, Welter, 1896). Su queste miniature vedasi il giudizio del Kraus nel Literaturblatt für Germanische und Romanische Philologie, 1898, colonne 301-302. G. VANDELLI.

L. OSCAR KUHNS, Some verbal resemblances in the Orlando Furioso and the Divina Commedia. In Modern language notes, vol. X, n. 6, giugno 1895. Ricordate le rassomiglianze che si hanno tra certe parti della Divina Commedia e dell' Orlando Furioso, presenta una lista di passi di quest'ultimo per esemplificare ciò che può dirsi l'incosciente influenza dantesca nella dizione dell' Ariosto.

Rime e Prose di BARTOLOMEO CINTHIO SCALA, con note ed introduzione di Ausonio Dobelli. Città di Castello, Lapi, 1898; 16°, pp. 124 (Collezione di Opuscoli danteschi diretta da G. L. Passerini, n. 53-54). È una specie di romanzetto psicologico, misto di prose e di rime, che il Dobelli ha tolto da un codice dell' Estense, e nel quale egli inclina a vedere una più sicura e diretta imitazione della Vita Nuova che in realtà non sia. L'operetta sarebbe scritta verso il 1530 da un Bartolomeo Scala pesarese, cortigiano del card. Ercole Gonzaga, del quale poche notizie ha saputo rintracciare il Dobelli: congettura che egli possa esser nipote del più celebre umanista contemporaneo del Landino e del Poliziano.

Discorso di GIACOPO MAZZONI in difesa della Commedia del divino poeta Dante a cura di Mario Rossi. Città di Castello, Lapi, 1898; 16°, pp. 128 (Collezione di Opuscoli danteschi diretta da G. L. Passerini, n. 51-52). Ristampa dell' edizione cesenate del 1573.

F. MELE, Una scena della Commedia e una del Don Chisciotte (Revista crítica de historia y literatura españolas, portuguesas é hispano-americanas; año III, núm. 3). Ad un articolo di A. Dobelli, il quale credeva di scorgere una relazione diretta fra qualche luogo della D. C. e del Don Quijote (v. Giornale dantesco, anno V, quaderno XI, e Bull., N. S., V, p. 78) risponde con buone ragioni il dott. E. Mele. Secondo il Dobelli, quando il cavaliero della trista figura vede levarglisi innanzi minacciose le ali de' mulini a vento ed in questi ravvisa giganti cosiffatti « que á cada uno le sirven de piernas dos grandísimas torres, y que los brazos semejan árboles de gruesos y poderosos navíos », ripete immagini della D. C.: dove a Dante (Inf. XXXI) par di vedere molte alte torri, e Virgilio lo ammonisce « sappi che non son torri ma giganti »; un de' quali << com' albero in nave si levò ». Ma il fatto stesso di scambiar mulini per giganti sarebbe reminiscenza dantesca; con questo di nuovo, che a Dante si pre

sentò invece un' immagine opposta, e dov' era Lucifero agitante le ali egli pensò ad << un mulin che 'l vento gira », intraveduto di lungi fra la nebbia o nell'incerto crepuscolo (Inf. XXXIV, vv. 4-7).

Ma la relazione più notevole sarebbe fra l'episodio di Ciampolo (Inf. XXII) e quella disgraziata avventura di D. Quijote con i forzati ch' ei volle liberare per amor di Dulcinea. I demoni corrispondono alle guardie, i barattieri a' galeotti, Virgilio e Dante a' due compagni d'avventura; e come Ciampolo di Navarra racconta al Poeta la storia degli altri, così il capo de' galeotti fa col cavaliero. Quanto sia di arbitrario in simili ravvicinamenti, mostra nel suo garbato articolo il Mele; fermandosi anche a respingere il sospetto di quelle reminiscenze più minute e non meno singolari, che il D. vede, per esempio, tra le parole: << tantas letras tiene un no como un sì» ed il verso « del no, per li denar, vi si fa ita >>.

Il Mele aggiunge qualche acconcia osservazione sulla fortuna di Dante nel cinquecento spagnuolo, di tanto minore che nel secolo precedente, e quasi offuscata da' raggi onde fulgeva allora il Petrarca in Ispagna, nella corona de' minori lirici italiani. Per ciò che riguarda il Cervantes, è ben certo chei dovè conoscere la D. C., come tutta la nostra letteratura, da cui attinse largamente nella Galatea e nel D. Quijote medesimo (1); ma da questo alle relazioni volute dal Dobelli ci corre. Perchè non si tratta soltanto di quella poca o casuale rassomiglianza fra i luoghi suindicati, che il Mele ha ragionevolmente discussa; ma bensì di una profonda disarmonia estetica fra due opere tanto diverse, onde è impossibile pensare che le immagini dantesche si spoglino di tutta la loro grandiosa e molteplice significazione per diventare episodi d'una narrazione romanzesca. In questa ricerca, spesso così difficile e sottile, delle fonti, occorre che i riscontri di particolari trovino appoggio in una convenienza più ampia, più comprensiva, dell' insieme: altrimenti si corre il rischio di veder << gigantes que.... no solo tocan, sino pasan las nubes », là dove non sono che mulini a vento. P. SAVI-LOPEZ.

G. BOSSETTI, Il Trionfo di Dante, poema. Torino, Roux Frassati, 1898; 16°, pp. 159. Non è inutile alla storia del culto di Dante registrare (sia pure che qui non sia luogo da darne giudizio per l'arte) il poema del signor Bossetti, che già ne pubblicò nel 1874 alcuni canti, e l'ha ora dato alle stampe intiero per festeggiare il cinquantesimo anniversario dalla proclamazione dello Statuto. È una visione in venti canti in cui l'autore, tratto miracolosamente in alto, narra d'aver visto Dante e Beatrice scendere co'maggiori nostri poeti a Superga; ed ivi accolti da Carlo Alberto e dalle ombre degli altri Sabaudi ne visitano le tombe, conversano con loro, vanno col Re a Torino, s'incontrano col Cavour e col Gioberti, volano a Vercelli, Palestro, Novara, Magenta, Milano, Solferino, San Martino, Venezia, Curtatone e Montanara; e finalmente a Firenze in Santa Croce intrattenutisi con que' grandi che vi riposano, assistono all'inaugurazione del monumento a Dante stesso, sulla piazza, nelle solenni feste del 1865. Il poema. è in terzine, e l'imitazione dello stile dantesco v'è palese. G. M.

(1) Il Mele annunzia un suo studio Di alcune fonti italiane nel Don Quijote.

CARLO DRIGANI, Responsabile

210-3-1899. Firenze, Tip. di S. Landi

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SOCIETA DANTESCA ITALIANA

(FIRENZE)

La Società Dantesca Italiana, costituita per accomunare gli studi dei dotti italiani e stranieri intorno Dante e per renderli più divulgati ed efficaci, intende ora principalmente a un'edizione critica delle opere del sommo Poeta. Ne è stato pubblicato il primo volume, contenente il De vulgari Eloquentia a cura del prof. Pio Rajna.

Il Comitato centrale ha sede in Firenze (Via della Dogana, 1): vi sono o possono essere Comitati regionali, dipendenti dal centrale, dovunque, nella penisola o all'estero, si trovi un numero di Soci sufficiente a costituirli. Dove non sono costituiti i Comitati regionali, i Soci corrispondono direttamente colla Presidenza del Comitato centrale.

La quota annua da pagarsi da ciascun Socio è L. 10; e possono esser Soci anche gli Enti (Istituti d'istruzione, Biblioteche, Municipi, ecc.) e tutti quelli, che pur non essendo speciali cultori di Dante, vogliano concorrere ad onorare con questo mezzo il sommo Poeta. Ricevono il nome di Soci promotori coloro che, oltre alla quota annua danno alla Società per una sola volta lire cento almeno; il nome di benemeriti coloro che per una sola volta le facciano una largizione di danaro, non inferiore a cinquecento lire, ovvero qualche dono di gran valore, specialmente in libri od in opere d'arte, che comecchessia si riferiscano a Dante. Il socio benemerito non è tenuto alla quota annua.

I Soci hanno diritto a un esemplare di quelle pubblicazioni che vengono fatte coi fondi sociali. Quanto alle altre che la Società abbia promosse ed aiutate, sarà loro concesso, nell'acquisto, il maggior vantaggio possibile.

Gli Autori e gli editori di studi danteschi sono pregati di favorirne possibilmente due copie alla Direzione del Bullettino; i direttori di riviste, di fare il cambio con questo, o almeno di mandare i numeri che contengano qualche articolo riferentesi a Dante.

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