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conte di Valsesia, Luigi di Montjoie, il conte Artale d'Alagogna, Giacomo dal Verme, Paolo Savelli, Baldassare Spinola, ecc. ecc. Il numero e la scelta di questi personaggi provano che la Corte viscontea volle dare a quell' atto la maggiore pubblicità e un significato essenzialmente politico.

I fatti dimostrarono che queste precauzioni non erano state superflue. A Firenze, dove già prima s'era saputa qualche cosa della deposizione dell' Uzzano, questa notizia aveva sollevato un vivo fermento tra' reggitori del Comune. Di tale fermento troviamo un primo indizio nel verbale di un Consiglio di Richiesti del 18 gennaio 1403, in cui tra le altre altre cose si legge: « Giustifichisi il Chomune sopra l'esamina di Niccolò da Uzzano per lettera al Santo Padre a Roma e nella Magna e a Vinegia e a Parigi, e le lettere di Parigi si dieno a Jacopo Sassolini. E avvisisi per modo che di bocca sopra la materia possa parlare » ('). In un nuovo Consiglio tenuto il 12 marzo Bonaccorso Pitti dice: « Quod domini hortentur decem balie et de pecunia subveniatur eis, et pro excusatione Comunis super his quae Nicholaus de Uzano confessus fuit scribatur duci Aurelianensi et procuretur quod sciatur eius intentio» (). E Rinaldo de' Gianfigliazzi: « Quod justificetur Comune de infamia data comuni de confessione Nicholai de Uzano mittendo in Franciam oratorem qui etiam sentiat de intentione ducis Aurelianensis » (). E Cristoforo degli Spini: « Justificetur Comune in Franciam et in Alamanniam et Venetiis pro examinatione Nicholai de Uzano » (^). Altri oratori, come

(1) Reg. 36 di Consulte e Pratiche della Repubblica Fiorentina el 1402-1403, c. 33t, in Archivio di Stato in Firenze. Debbo la con scenza di questi brani di consulte fiorentine all'egregio giovane dell'Istituto Superiore di Firenze F. Carabellese, il quale si prestò gentilmente a trascrivermeli, per commissione del suo illustre maestro e mio ottimo amico prof. Ramorino, a cui ne feci richiesta.

(2) Ibid, c. 53 t.

(3) Ibid, c 54.

(*) Ibid, c. 54 t.

Piero di Iacopo Baroncelli e Giovanni Bicci de' Medici, parlarono su per giù nello stesso senso ().

Le lettere mandate dalla Signoria non sono giunte fino a noi (), e nessuno saprebbe dire se esse riuscirono a distruggere la cattiva impressione prodotta dalla deposizione dell'Uzzano, che dalla Corte milanese era stata certamente comunicata a' principi e alle repubbliche straniere. Egli è certo che di quanto fu detto e deliberato nelle consulte del 18 gennaio e del 21 marzo 1403 nulla seppe il pubblico (3), chè altrimenti non sapremmo spiegare il silenzio che su questo importante particolare della vita di un uomo come l'Uzzano serbarono i cronisti fiorentini, tranne, come vedremo, e si capisce il perchè, Bonaccorso Pitti. Io credo che

(1) Gli oratori fiorentini insistono sulla necessità di scrivere al duca d'Or. léans e d'informarsi delle sue intenzioni. Per intendere il significato di tale insistenza, dovremmo conoscere il vero stato delle relazioni esistenti nei primi mesi del 1403 tra la duchessa vedova Caterina e il duca d'Orléans. Io mi restringo ad osservare che in quel tempo la rivalità tra' duchi di Orléans e di Borgogna era giunta allo stato acuto, e intanto la duchessa nominava (23 febbraio 1403) suoi procuratori in Francia Prevedino di Marliano e Luigi di Montjoie, per contrarre lega col re Carlo e col duca di Borgogna, più un matrimonio pel secondogenito Filippo Maria certamente con una principessa francese (Rubrica degli atti ducali rogati dal notaio Besozzi in Bibl. Trivulziana). Se a questo fatto s' aggiunge l'altro che il duca di Borgogna offerse la sua mediazione per la pace tra Firenze e Milano (Documenti di Storia Italiana, Commissioni di Rinaldo degli Albizzi per il Comune di Firenze, vol. I, pag. 20), saremmo indotti a credere che le relazioni tra Milano e l'Orléans fossero piuttosto raffreddate, e che il viaggio che questi poco dopo disegnò di fare in Italia (Cfr.: JARRY, La vie politique de Louis de France, pag. 288 e seg.), non fosse ispirato da intenzioni molto favorevoli a' suoi cognati milanesi. Ma a Firenze erano informati di quel raffreddamento?

(2) Non si trovano nei Registri delle lettere missive della Repubblica fiorentina, e le ho invano cercate altrove.

(3) Ciò non può meravigliare alcuno. Gli appunti presi dal notaio sulle discussioni delle Consulte erano custoditi gelosamente, perchè niuno di fuori potesse sapere quello che s'era detto. (Vedi C. FALLETTI FOSSATI, Il Tumulio dei Ciompi, Roma-Firenze, Loescher, 1882, pag. 73.)

la Signoria si limitò a protestare in via diplomatica contro le accuse contenute nella dichiarazione dell' Uzzano, perchè questo era voluto dall' onore della Repubblica; ma poi fu ben lieta di chiudere, come si direbbe oggi, l'incidente, stendendovi sopra un velo pietoso. Veri o falsi che fossero i fatti denunziati dall'Uzzano, i reggitori dello stato dovevano sentire tutto il disagio di una difesa, che avrebbe lasciato molti increduli, massime tra coloro che apertamente osteggiavano i loro metodi di governo. D'altra parte in tutta quella faccenda l' Uzzano non ci faceva una bella figura. Ma l'Uzzano era uno de' principali membri dell'oligarchia fiorentina, e questa non aveva nessun interesse a spargere sullla persona di lui un discredito che sarebbe ricaduto in gran parte sopra sè stessa. Così non solo la notizia del fatto rimase circoscritta a poche persone, ma potè anche accreditarsi la voce che l'Uzzano, trovandosi prigioniero de' milanesi, avesse sopportato con invitta costanza la tortura, senza trarre un lamento, e senza dire una parola, sola che potesse far onta alla sua patria! (1).

Ma c'era un uomo che la dichiarazione di Niccolò d'Uzzano colpiva in pieno petto, e questi era Bonaccorso Pitti, l'artefice principale della macchinazione ideata contro il duca di Milano ; e però non ci meraviglieremo se egli più tardi cercherà d' infirmarla nella sua Cronaca, dicendo di aver saputo dall' Uzzano di essere stato tormentato di molta colla », e di avere scritto unicamente quello che « gli fu insegnato dire » da' suoi tormentatori (2). Quest'affermazione, che a prima vista può sem

(') La voce fu raccolta dal LITTA, che trassela certamente da ricordi di famiglia. Egli scrive che l'U., prigioniero del Visconti « per ordine del Duca fu condottto a Pavia e posto ai tormenti perchè palesasse le commissioni ricevute dal suo Comune (?); ma fra i più barbari strazii fu costantissimo, e dalla sua bocca non uscì parola che potesse compromettere il decoro e la sicurezza della sua patria. Irritato il tiranno per cotanta costanza, lo fece rinchiudere in una prigione, da cui fu tolto dalla doverosa pietà de' suoi concittadini, avendo la Signoria voluto a proprie spese concorrere alla sua liberazione. Tornato a Firenze vi fu accolto come si accolgono i martiri della patria... Famiglia da Uzzano, Tav. II.

(2) Pag. 71.

brare di un certo valore, lo perde interamente quando si esaminano i fatti partitamente e nel loro complesso, e quando si tien conto del carattere della Cronaca del Pitti, e delle relazioni personali di costui coll' Uzzano. Che questi, nella dichiarazione, abbia reclamato per sè il beneficio dell' irresponsabilità; che, tornato poi a Firenze, abbia cercato di giustificare la propria condotta, invocando in suo favore l'attenuante della forza maggiore, sono tutte cose che si comprendono facilmente: ma la sua confessione contiene troppi particolari, e questi particolari sono troppo precisi, per essere inventati da uno che non fosse bene addentro alle cose di Firenze (1). E sarebbe veramente strano che chi, senza essere bene informato, inventava le persone e i fatti ricordati in quella dichiarazione, li facesse poi così perfettamente combaciare con tutti gl' indizi e i fatti precedenti, che noi abbiamo esaminati, e che nelle parole dell' Uzzano trovano una piena conferma (2).

(1) Ne' brani da noi riportati delle consulte fiorentine del 18 gennaio e 12 marzo 1403 si parla di una confessione fatta dall' Uzzano, e nessuno degli oratori disse che quella confessione era falsa. E si che coloro i quali presero la parola in quella seduta, Bonaccorso Pitti, Rinaldo Gianfiliazzi, Cristoforo Spini, ecc. avevano tutto l'interesse di dirlo! Che l' Uzzano abbia detto il vero nella sua dichiarazione è confermato da due fatti:

1° Che egli, tornato a Firenze, non solo non ebbe alcuna molestia, ma continuò nella vita pubblica, trattato ed onorato come uno dei principali cittadini. Sarebbe questo avvenuto, se avesse detto i falso?

2o La leggenda formatasi intorno all'invitto intrepidezza con cui l'Uzzano sostenne a Milano la tortura prova che egli tornato a Firenze, non disse la verità circa il modo come s'era condotto durante la prigionia, e neppure protestò contro la confessione impostagli da' milanesi. E, se non protestò, non abbiamo qui un fortissimo indizio per ritenere che egli sapesse di aver detto e scritto unicamente il vero?

(2) È degna sopratutto di nota nella dichiarazione dell'Uzzano la parte attribuita al du:a Lodovico di Baviera. L'apparizione di questo personaggio è uno sprazzo di luce che rischiara perfettamente l'intrigo ordito intorno a Ruperto. Alla parte che avevano avuto Stefano e suo figlio Ludovico di Baviera nel promuovere la spedizione del 1401 avevamo già accennato nel lavoro più volte ricordato su Giangaleazzo Visconti e gli Eredi di Bernabò.

D'altra parte il Pitti non cominciò a scrivere la sua Cronaca che nel 1412, quando già per gravissime ragioni d'interessi era venuto in rotta coll' Uzzano, tanto che in più luoghi cerca di rinfocolare contro lui l'odio de' suoi parenti, additandolo come uno de' loro più pericolosi nemici (1). Perchè (e questa è cosa da non dimenticarsi la Cronaca del Pitti appartiene a quella ricca letteratura fiorentina di Ricordi famigliari, non destinati alla pubblicità, che serviva a conservare e trasmettere il patrimonio delle tradizioni domestiche, in un tempo in cui il sentimento di famiglia era ancor molto vigoroso ed affermavasi nell' intensità degli affetti non meno che degli odi ereditari: materiale prezioso per la conoscenza delle condizioni generali di quell'età, ma che dev'essere adoperato, ne' casi particolari, con moita circospezione, e sottoposto al più rigoroso controllo, se non vogliamo che la voce della passione, che parla così spesso in quelle pagine, non ci faccia

Noi pubblicammo, tra gli altri, un documento abbastanza significativo (n. XIX): una lettera della Signoria a' duchi Stefano e Ludovico, in cui dichiara d'aver saputo da' propri ambasciatori quanto fervore quantoque benevolentie et caritatis affectu essi sostengono presso il re gli interessi della Repubblica, e li prega di continuare in questa buona disposizione fino al compimento de' comuni desideri. La lettera è dell' 8 aprile, e il desiderio a cui allude la Signoria è quello della stipulazione dell'accordo col re. Ora qual meraviglia che il duca Ludovico, partigiano ardente della spedizione, si sia messo d'accordo col Pitti (non parliamo del Samminiato, che in tutta questa faccenda dovette avere una parte molto secondaria), per spingere il re ad affrettare l'alleanza con Firenze ? Dato il carattere dell'uomo, dati i suoi precedenti, noi troviamo naturalissimo ciò che lo stesso Pitti dichiarò all'Albizzi, che cioè questa inventione del veneno era stata trovata e fabricata con l'ajuto del duca Ludovico de Bayvera che senza luy nulla areme potuto fare. Cosi il lato dinastico e personale della politica seguita dalla Casa bavarese nella spedizione del 1401, già da noi posto in rilievo, riceve una nuova conferma dal documento che pubblichiamo. Occorre appena di soggiungere che la Corte viscontea si sa1ebbe ben guardata dal portare così grave accusa al duca Ludovico di Baviera, se le parole attribuite al Pitti non fossero realmente uscite dalla bocca dell'Uzzano.

(1) Cronaca, pp. 81, 82, 83, 87 e seg.

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