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bamini, quod Civitatis nostrae episcopatu nuper ornatus fuerim, ex qua quidem gratulatione et benevolentiam erga me vestram agnovi et meum in vos studium vetus propensamque animi voluntatem excitavi; si autem haec dignitas, aut aliae, quas praeteritis temporibus adeptus sum, aliquam mihi attulerunt voluptatem, eam certe non tam privata mei ipsius laude metitus sum, quam patriae existimatione, cui honores meos omnes alicui saltem gloriae atque ornamento esse puto. Quod vero ecclesiae administrationem mihi summopere commendetis, neque tamen vereamini quin ea semper cordi futura sit, equ'dem id vobis affirmo, nullius rei desiderio me magis affici, quam ut de episcopatu meo benemereri possim; cumque huic rei gerendae nihil praeter adventum meum istuc opportunius fore existimem, et si variis occupationibus detinear, quibus Roma discedere nequeo, tamen dabo operam, et maxime etiam enitar, ut ad patriam accedendi aliquando mihi venia concedatur, quo quidem tempore nihil facere praetermittam, quod ad recti pastoris officium spectare videatur; unde aequius ferendum erit, si interim ecclesiae minus consuli videbitur. quam causa ipsa et ipsius ecclesiae ratio expostulet. Valete feliciter. Roma, XV februarij. M. D. L.

Vester Civis et tamquam frater

F. SF. CARD. CREMON.

Giunta infatti l'estate lo Sfondrati stimò conveniente dar effetto alla propria promessa, recandosi a visitare la sua nuova diocesi, dove ben sapeva come l'attendessero le più cordiali dimostrazioni d'affettuoso rispetto. Lasciata dunque Roma sui primi del mese di giugno, egli arrivava il 15 a Cremona; ma in luogo d'entrarvi fermavasi a passar la notte nel monastero di S. Sigismondo, lontano circa un miglio dalla città. Ed il di appresso, con gran pompa ei faceva la solenne entrata in Cremona, in mezzo all'esultanza del suo popolo, dal quale, come dice un contemporaneo, spettatore oculare di quell' avvenimento, « non fu pretermessa cosa << alcuna per mostrare l'affettione che esso portava all' Illustrissimo <<< suo Pastore e cittadino così benemerito della patria» (1).

(1) CAMPO, O. c, p. XXXIV.

Ed ecco, trascorso poco più d'un

mese, dacchè lo Sfondrati dopo tant'anni si ritrovava di nuovo in Cremona, colpirlo un violentissimo malore, che il 31 luglio lo conduceva, non ancor sessantenne, al sepolcro (').

Corse allor pubblica cd insistente la voce

sicchè la raccolse

il Campi (*) che << gli fosse stato dato il veleno a termine <<< avanti che partisse da Roma ». Chi aveva interesse a render per sempre muto lo Sfondrati? La prudenza ha naturalmente vietato a coloro, che pur si fecero l'eco del divulgato sospetto, di palesar intorno a ciò quanto sapevano; e forse non sepper nulla di preciso. A noi pare difficile, sebben a tanta distanza di tempi riesca arduo il giudicar di siffatte cose, riconoscere nell' improvvisa morte del prelato cremonese, assalito forse da una di quelle violente malattie, che oggi ancora restano il più delle volte un problema per la scienza, il frutto d' un delitto. Non già che ammettiamo impossibile che il cardinale avesse de' nemici; e chi non ne ha, quando giunge all'altezza alla quale egli aveva poggiato?; ma non sempre fortunatamente i malevoli si valgon d'armi sì fiere (3). Comunque siano andate le cose, questo si può ritenere oltremodo probabile che se la morte, o naturale o procurata, non avesse prematuramente rapito lo Sfondrati, avrebbe a lui pure ornate le tempie la tiara che cinse il capo di suo figlio.

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(1) CAMPO, o. C. 1. c.; SANCLEMENTIUS, o. c., p. 159, ecc. Il lungo epitafio, inciso sul monumento, ricco, ma di poco gusto, che i figli gli fecero erigere nella Cattedrale di Cremona (vedilo riferito in SANCLEMENTE, o. c., P. 296, mon. LVII), reca: Vixit annos LVI mens. IX dies VII.

() O. c., p. XXXIV. Ripete lo stesso il SANCLEMENTE (o. c., p. 160); ma egli non fa che tradurre il Campi.

() Notiamo a titolo di curiosità che nell' imperversar della riazione cattolica si giunse poco dopo la morte dello Sfondrati a gettar anche sulla sua memoria la taccia d'eresia! Nel Compendium processorum Sancti Offitii Romae qui fuerunt compilati sub Paulo III, Iulio III et Paulo IV, comunicato da C. Corvisieri nell' Arch della Società Romana di Storia Patria, v. III, p. 261-290, 447, 471, accanto ai nomi del Contarini, del Cortese, del Fregoso, del Polo, del Madruzzi, del Sadoleto, del Seripando, ritroviam anche il suo, p. 289: Cardinalem Sfondratum substinuisse ut presbyter uxorem duxisset, dixisse sibi Moronus refert in confessione, ecc.

<< Era questo illustrissimo Cardinale son parole d'Antonio Campi, che nella sua bellissima Storia diè fuori un ritratto dello Sfondrati inciso squisitamente in rame (1) de santissimi << costumi, di somma prudenza e di grandissima esperienza nelle << cose del mondo; haveva nel conversare maniere nobili e gen<< tili, accompagnate da una dolcissima gravità, che a tutti ama<< bile lo rendevano; ma troppo longo sarei s'io qui volessi rac<< contare l'infinite lodi di così raro e veramente heroico huomo. << Non vo' già tacere, che oltre alla scienza legale, di cui egli era << peritissimo, si compiaceva anche non poco della poesia, nella <<< quale quanto fosse eccellente si vede da quel nobilissimo poema << latino, ch' egli compose in versi heroici con stile non men vago << che grave, il cui titolo è De raptu Helenae.» (2) Tocchiam or dunque brevemente, prima di abbandonare lo Sfondrati per riprender in compagnia del Mazzetti il nostro cammino, di questo poemetto, il quale, letto con qualche compiacenza nel secolo XVI ( ), non ha, ch'io sappia, dopo d' allora richiamato più l'occhio nè

(1) O. c., p. XXXI.

(2) O. c., p. xxxv.

(3) Scrive a p. 88 il MAZZETTI: « L'Accademia Veneziana (?), la quale << fioriva nel 1556, dedicò al Cardinale Madruccio i versi eroici dei cardi<< nali Sfondrati e Sadoleto, ed il Madruccio nella lettera di ringraziamento « del dì 15 giugno 1556, scritta da Bressanone alla detta Accademia, cosi <<< di questi uomini parla : « Fu lasciata in Trento (dall'abate Morlupino) una << lettera con un libro di versi heroici delli dottissimi cardinali Sidoleto e << Sfondrati . . ». « Crediamo aggiunge egli poi che il libro di cui << scrive il nostro Madruccio, sia il poema latino del Cardinale F. diviso in <<< tre libri col titolo: Il Rapimento di Elena, stampato appunto in Venezia ». La cosa pare anche a noi credibile; giovi però notare che il De raptu Helenae venne alla luce nel 1559 per la prima volta (cfr. ARISI, Crem. lit., t. II, p. 172); e che a questa stampa tenne dietro subito dopo (1560) una seconda parigina. Una terza edizione ne curò poi Giovanni Grutero (sotto il pseudonimo di Ranuzio Ghero) nelle Deliciae CC Italorum poetarum huius superiorisque aevi illustrium Pars altera, Amsterdam, CIƆ. IƆ. CVIII, P. 935-968. Non avendo a mano le precedenti, mi servo di questa stampa. Una copia ms. del De raptu sta in Vaticana (fondo Ottobon. 2890).

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l'attenzione di verun critico; sicchè gli stessi scrittori di cose cremonesi dànno, parlandone, evidentissimi segni di non averlo mai letto (').

Il De raptu Helenae, che comprende 1144 esametri distribuiti in tre libri, è una delle più fedeli imitazioni dell'Eneide che si riscontrino nel cinquecento. Il concetto fondamentale, i pensieri, la forma, tutto è in esso virgiliano; il poeta spinge anzi la sua venerazione per il grande esemplare latino a tal segno da inserire tra i suoi interi versi del mantovano (2). Riguardo al soggetto poco v'è a dire. Paride, bramoso di vendicare l'oltraggio inflitto dai greci alla sorella Esione e di conquistar Elena, promessagli da Venere, si reca a Sparta, dove con mentite profferte d' amicizia ingannando Menelao ottiene ospitalità nella reggia. Coll'aiuto d'una vecchia, nutrice d'Elena, ei seduce la principessa; quindi, approfittando della lontananza di Menelao, chiamato a Creta da politiche necessità, la rapisce. Con Paride son venuti in Grecia due fratelli suoi, Acamante e Cremone, che a lor volta s'impossessano del cuore di due fanciulle, congiunte di sangue a Menelao:

geminaeque sorores

Sanguinis Atrei, famosi criminis ambae

Participes sociaeque

Acamantem deperit Aethre,

Altera formoso Clymene est addicta Cremoni (3).

Fuggon gli amanti per la marina; ed ecco lor farsi incontro con la propria flotta Didone, che telluris inops, sed ditior auri, scampata alle frodi di Pigmalione, andava in cerca di nuovi regni. Le

(') Ad un semplice accenno sta pago anche KARL BORINSKI, Der Epos der Renaissance in Vierteljahrsschrift für Kultur u. Litter. der Renaiss., I, Leipzig, 1886, p. 200.

() E lascia persino degli esametri imperfetti per riavvicinarsi sempre più al modello Cfr. Deliciae, p. 951.

(3) Deliciae, p. 952.

due armate, temendo l'una dell'altra, già stanno per darsi battaglia, e chi sa con qual esito!;

Nec Carthago olim vel fors nunc Roma maneret (1);

quando l'ombra di Sicheo, apparendo notturna alla sua vedova, la rassicura e la consiglia ad involarsi. S' allontana celere Didone; mentre Paride da una violenta bufera, che Sicheo provoca per agevolar la fuga della consorte, è sbattuto sulle coste d'Egitto. Ivi regna Proteo, il quale, accolti i pellegrini, promette di svelar loro l'avvenire. Così avviene difatti; e nel terzo libro mescolando ai propri detti oscurità e dubbiezze, il dio marino profetizza a Paride le ferali conseguenze del ratto d' Elena; ad Enea la fondazione di Roma; a Cremone poi il suo rifuggirsi con Antenore in Italia, dove fonderà una città, che da lui prenderà il nome, e che in seno alla pace come alla guerra, alla felicità come alla sventura, rimarrà fedele ad un' eroica stirpe, la quale dominerà ne' secoli avvenire il paese: vale a dire gli Sforza (2).

Com'è facile avvertire, nel suo poemetto lo Sfondrati si propose dunque di celebrare sotto il velo di un fatto mitologico la propria patria e la famiglia principesca che sopra di essa stendeva il suo dominio (3). Da ciò ci si porge quindi argomento a giudicare che l'opera appartenga ad un periodo assai antico della vita dell' autore; e se a quest' indizio si aggiungeranno quelli che offrono la lingua e lo stile del poema, non andremo lungi dal

(1) Deliciae, p. 953.

(2) Deliciae, p. 959 e seg.

(3) Quest' intendimento egli lo dichiara già sul principio dell' opera sua (Deliciae, p. 935):

Fors antiquo sub nomine casus
Oblectet memorare novos seclique recentis -
Consilia et mores hac tempestate receptos.
Quod si haec vota parum cedent, felicior aura
Mox aderit, cum res et nostrae aetatis honores
Percurram patriaeque intexam nobilis ortum.

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