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costante menzione della diocesi, e non già del territorio di Cremona fatta in questi diplomi voglia significare che il Monastero al pari della Chiesa sorgessero in luogo, il quale, pur essendo sottoposto all'autorità spirituale del vescovo di Cremona, non entrasse però a far parte dell'agro cremonese (1). Se così fosse, noi potremmo spingere lo sguardo al di là dei confini dell'antico contado di Cremona, dove per spiar che si faccia non ci avviene di rinvenire vestigio nè di Gironde, nè di Fenatiche, nè di Marzole, e tentare qualche esplorazione in quelle parti del Bergamasco o del Bresciano al Cremonese limitrofe, dove si esercitava in tempo remoto e tuttavia s'esercita ai dì nostri la spiritual giurisdizione del vescovado di Cremona. E tanto più ci sentiremo spronati a far questo, se rifletteremo che la chiesa di San Vigilio, come insegna l'investitura del convento della Gironda fattane il 1 marzo 1256 da Egnone vescovo di Trento in Martino abbate mitrato, era stata donata all'episcopato tridentino dal conte Tordino del fu Pipino del luogo di Pompiano. Pompiano infatti si chiama oggi ancora un grosso borgo, situato nel Bresciano sulla sinistra dell'Oglio, dal quale però è alcun poco distante (2). Or non sarà egli naturale il supporre che i beni ceduti dal conte Tordino alla mensa vescovile di Trento non fossero di molto lontani dal luogo dov' egli dimorava e di cui era probabilmente il signore? Varchiam dunque il fiume. Ed eccoci tosto in una plaga, la quale, pur facendo parte della provincia di Ber

(1) Basti ricordar qui, per restare nel campo delle presenti ricerche, che la parrocchia di Morengo (prov. di Bergamo, circ. di Treviglio, mand. di Romano) al pari di quella d'Urago d'Oglio (prov. di Brescia, circond. e mand. di Chiari), fecero parte della Diocesi di Cremona fino al 2 novembre 1784, nel qual anno per reale decreto furono cedute al vescovo di Bergamo, il quale restitui a Cremona le parrocchie di Fengo, Acqualonga, Luignano, Ossolaro e Paderno, che gli spettavano e ch'erano nel cuore della provincia cremonese. Cfr. GIRONDELLI, Serie crit. cronolog. de' vescovi di Cremona, p. cxxxvIII, n. 358; MAZZI, op. cit., p. 188.

(2) Pompiano appartiene al circond. di Chiari, mandam. d' Orzinuovi. Cfr. A. AMATI, Dizionario corogr. dell'Italia, s. v.

gamo, è però porzione della diocesi cremonese ('). E qui sulla stessa latitudine di Pompiano ne appare Fontanella, un bel borgo, posto sulla strada che da Bergamo conduce a Cremona, alla distanza di venti chilometri da Treviglio, circa quaranta a scirocco da Bergamo e sei verso libeccio da Romano (2). Nel territorio di Fontanella, a mezzo cammino tra questa e Gallignano, son sparse poi talune frazioni, che si dicon oggi ancora le Marzole (3), e presso a queste due cascinali ci si additano sempre sotto i nomi di Fenatica e di Fenatichetta (*). Per verità niun rudero d'antico edifizio, niuna tradizione locale ancor viva possono far testimonianza che qui per l'appunto sorgessero sette secoli fa la Torre Trentina e l'annessa chiesa di S. Vigilio; ma il ritrovar riuniti nello stesso brevissimo tratto di terreno de' nomi vanamente ricercati altrove ci pare fortissimo argomento in appoggio di tale congettura (5).

(') Il terzo mandamento di Romano è formato dalla Calciana, che curialmente costituisce il secondo vicariato della Diocesi di Cremona. Calcio n'è capopieve e Covo, Pumenengo, Antignate, Fontanella, Barbata e Santa Maria di Campagna le altre parrocchie; mentre dalla Diocesi di Bergamo dipendono Romano, Bariano e Morengo. Cfr. I. CANTŮ, Bergamo in Grande Illustraz, del Lombardo-Veneto, Milano, 1861, v. I, P. I. p. 1031; AMATI, o. c., s. v., ecc. La determinazione de' rispettivi confini giurisdizionali nel comune di Romano era stata a mezzo il sec. XII cagione d'un'aspra controversia tra i vescovi di Cremona e di Bergamo, controversia decisa il 14 ottobre 1148 dal Cardinal Guido da Somma legato apostolico. Vedi D. MUONI, Antichità romane nel basso Bergamasco e cenni storici sopra Calcio e Antignate, Milano, 1875, p. 17.

(*) GRANDI, o. c., v. II, p. 18; Mazzi, o. c., p. 249.

(*) Cfr. AMATI, o. c., s. v. Le Marzole sono precisamente tre: Marzole Covi, Marzole della Volta e Marzole di mezzo le chiama l'AMATI; ma nella Carta d'Italia, dovuta all'Istituto Geografico Militare, XLVI, 11 (Fontanella) le tre Cascine Marzole si dicono « di sotto», « di mezzo », « di sopra ». (*) Carta d'Italia cit., XLVI, II. Queste due cascine non sono ricordate nè dall' Amati nè dal Grandi.

(3) Della località detta Garvisio non m'è avvenuto di rinvenir alcun

Arch. Stor. Lomb.

Anno XXI.

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Rifacciamoci adesso sui nostri passi e torniamo nel cremonese, seguendo la strada fra Soncino e Romanengo. E qui ci avverrà, giunti a duecento metri circa a levante dell'abitato di Ticengo, di valicar un ponte gettato sopra il Naviglio vecchio Pallavicino, uno dei grossi canali, che spargono la fecondità in questa ricca regione lombarda. Proprio pochi passi prima del ponte, dal Naviglio esce una «roggia » assai larga, la quale va ad irrigare il territorio di Soresina e gli adiacenti. Questa « roggia » è la Gironda (1). L'antichissimo canale, che diede probabilmente il suo nome al convento, il quale nel secolo dodicesimo gli sorgeva daccanto, scor reva desso in quell'età remota dentro il letto medesimo, dove defluiscon l'acque tranquille dell'odierna Gironda? (2) Chi pensi come il vecchio Naviglio Pallavicino non sia stato aperto se non verso la metà del secolo decimosesto giudicherà la cosa assai poco verisimile. Più soddisfacente congettura sarebbe quella che i condomini

ricordo; però non esiterei a credere che il Calvisio, « luogo ignoto », come lo chiama il Mazzi, o. c. p. 133, del quale è memoria in un documento dell' 886, sia lo stesso in cui sorgeva S. Maria della Gironda. Notisi ancora che il nome di « Torre » è portato da altri luoghi di questo território; così una frazione di S. Maria di Campagna è detta Torre Pallavicina, perchè vi sorgeva anticamente una torre, destinata a proteggere il confine contro i Cremonesi ed i Bresciani, la quale variò di nome a seconda de' possessori; cfr. A. GRANDI, o. c., v. I, p. 299. Non è improbabile che anche la Torre Trentina fosse in origine un'opera di difesa. Nè è per ultimo da tacere che della venerazione per S. Vigilio si hanno nel Bergamasco vetusti contrassegni (cfr. Mazzi, o. c., p. 98 e 388); mentre sul Cremonese non se ne ritrova traccia veruna.

(1) Carta d'Italia cit., XLVI, 16 (Soncino), LX, 4 (Soresina). Il cavo Gironda traversa Soresina; cfr. GRANDI, o. c., v. I, p. 281.

(2) È quel di Gironda, o meglio Geronda, nome che troviamo attribuito a vari corsi d'acqua su territori dove si distesero in remoti tempi popolazioni di lingua celtica; basti ricordare come Girondo si chiami ancor oggi un umile torrente dell' Emilia (cfr. AMATI, Diz. cor., s. v.), ed egual nome prenda la Garonna, allorchè, ricevuta la Dordogna a 23 chilometri al disotto di Bordeaux, allarga il suo letto in maestoso estuario. Cfr. E. DESJARDINS, Giogr. histor. et admin. de la Gaule Romaine, Paris, 1876, v. I, p. 147.

Pallavicino, incorporando nel nuovo canale, che da loro prese il nome, molte sorgive della Gironda, abbiano poi dato agli utenti di essa ab antico la facoltà d'estrarre dal Naviglio il grosso corpo d'acqua che ne porta tuttavia il nome; ma non è neppure da escludere l'ipotesi che nell'attuale derivazione della Gironda debbasi invece riconoscere un impinguamento al cavo principale avvenuto dopo il secolo XVI. Comunque sia di ciò, una cosa è ben certa ; quella cioè che la Badia di S. Maria della Gironda dovette sorgere in quel territorio, che oggi ancora è bagnato dall' omonima <roggia»; e precisamente in quella zona, che rimane racchiusa dalle strade provinciali Soncino-Romanengo, Soncino-Soresina e Soresina-Romanengo.

9. Dopo aver riferito un documento del 12 febbraio 1414, dal quale risulta che trovavasi allora in Cremona Giorgio di Lichtenstein, vescovo di Trento, in qualità di commissario di Sigismondo re de' Romani (1), il Mazzetti ritorna a spigolar da varie parti

(') La presenza del vescovo trentino in Cremona non solo si spiega, riflettendo che in quell' anno l' Imperatore trattenevasi in Lombardia ed era alleato di Cabrin Fondulo; ma altresì, e meglio, ricordando, il che pare non avvertisse il M., come un mese prima che si pronunziasse dal Lichtestein il giudizio da lui stampato, e cioè nel gennaio, cosi Massimiliano come Giovanni XXIII si fossero trattenuti per alcuni giorni in Cremona, ospiti del Fondulo. Al quale vuole una tradizione, che non sappiamo troppo di quanta fede sia degna, balenasse allora il neroniano capriccio di travolger giù dal Torrazzo, ove erano seco lui saliti, i due « luminari» della cristianità (cfr. LANCETTI, Cabrino Fondulo, Milano, Manini, 1827, vol. II, p. 335 sgg.). Non è poi da lasciar senza correzione lo strano abbaglio preso dal M. a proposito dell' atto da lui messo alla luce, nel quale trovando tra i testi. moni indicato un Joannes quondam ser Jacobi de Fundulis castellanus dicti castri, osserva: «< Ser Giacomo Fondulo (avrà voluto dir Giovanni di ser Giacomo!), « pare castellano di Riva di Trento, essendo qui chiamato castellanus dicti a castri, e leggendosi poco prima castri Ripae Trid. » (pag. 146). Ma il castello, del quale al Fondulo era affidata la custodia, non può essere che quello di Cremona, nel cui recinto stava il vescovo nel momento in cui

notizie intorno a talune famiglie cremonesi trapiantatesi sul suolo trentino, quali son quelle de' Turchi, sopra di cui già ci siamo intrattenuti (1), degli Amati (2), de' Cremonesi, de' Cavalcabò (3), de' Panvini (') e de' Giroldi (5). A proposito di quest' ultimi non sarà però inutile avvertire come il cognome « da Prato », ch'essi accoppiavan già da tempo assai antico a quello patronimico di «Giroldi », e che finì poi a prevalere su di esso, potrebbe indurre nell'animo nostro il sospetto che non già da Cremona passassero ad abitare in Trento i Giroldi, ma da un luogo detto Prato, fosse o non fosse questo tutt' uno coll' industre città toscana del medesimo nome. Sta ad ogni modo il fatto che in Cremona fiorì, sin

pronunziava il suo giudizio in castro Cremonae, in camera turris, quae est versus civitatem! Giovanni era senza dubbio un congiunto di Cabrino, il quale per questa ragione appunto gli aveva assegnato il geloso incarico di guardar la fortezza, che teneva in freno i Cremonesi. Stimo poi che ser Giacomo, detto padre di Giovanni, sia quel medesimo che nel 1406 Cabrino aveva chiamato a far parte del suo consiglio segreto insieme ad altri cinque nobili cremonesi ed a sei dottori di collegio, come ci apprende G. BRESSIANI in un suo Zibaldone, conservato in casa Dodici, a c. 290. Nè di Giacomo, nè di Giovanni sa dirci nulla il LANCETTI, o. c., v. II, Appendice, P. 344.

(1) Cfr. § 2.

(2) In una carta roveretana del 1285, citata dal M., apparisce qual testimonio un Raphael de Amatis de Cremona. La famiglia Amati era tra noi antica assai (cfr. LANCETTI, Biogr. Crem., v. I, p. 202 seg.); ma di Raffaele niuna memoria è rimasta ne' patrii documenti.

(3) Sulla discendenza de' Baroni-Cavalcabò di Sacco (Val Lagarina) da Guglielmo III Cavalcabò lungamente s'intrattiene G. C. TIRABOSCHI, La Famiglia Cavalcabò, Cremona, 1814. p. 57, 62 e sgg.; il LITTA invece, Fam. Cel. Ital. v. I, Cavalcabò, non ne fa neppur menzione; e questo silenzio è probabilmente meditato.

(4) II M. non reca però veruna prova in appoggio del suo asserto che i Panvini di Val di Sole siano un ramo della omonima famiglia cremonese. (5) Di costoro il M. tien lungo discorso nella nota 7, in cui ragiona di quel Giovanbattista Giroldi, che nel 1543 cedette la sua casa in Trento ad uso dei legati pontifici ivi convenuti per il Concilio.

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