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sona del duca stesso, i costui figlioli, lo stato, le sue genti d'arme, la città d'Alessandria, la cittadella, le fortezze, e gliele proferiva << tanto largamente come meglio sepe e fuy possibile »· A cui il re rispondeva che « ringraziava suo cosino quale lamava << como bon fratello » (^).

Il Delfino intanto che aveva seco duemila cavalli, oltre a molta gente a piedi, artiglierie e munizione di bombarde e cerbottane (), stava a Chieri e coltivava le sue pratiche contro di Genova. Correva voce che egli a ciò stimolato anche dai Veneziani, volgesse ogni pensiero a collegarsi col duca di Savoia, col re d'Aragona e col marchese di Monferrato allo scopo eziandio di entrare in Lombardia, sotto pretesto che « Italia appartiene ad luy ad go« vernare, perche li suoij antecessori lanno gobernata per longo « tempo » (*). Qualche giorno dopo, Renato, a cui troppo premeva di tenersi amica la città di Genova, che egli si lasciava alle spalle, deliberato, ove non fosse riuscito colle buone a smuovere il Delfino dal suo proposito, a pigliar « arma contro di lui «<et qualunche gli fosse favorevole ()», aveva accolto l'invito da esso fattogli di un abboccamento con lui a Villanova. Quivi egli sarebbe venuto da Asti in cui era entrato, addi 24, accolto da Rinaldo Dresnay con straordinaria magnificenza (`)· Ma

() Vedi Documento 12.

(2) (omissis) « .... la gente del Dalfino sono cavali duemilia et molte << gente a pede ha passato (per Ceva) le soe arctegerie similmente, tra <le qualle sono bella munitione de bombarde longhe, apte aspianare grosse << mure et etiam de le picole et zarbatane infinite ».

« Ex Ceva, XVI augusti 1453.

(3) Vedi Documento 13.

(4) Vedi Documento 8.

<< Benedictus de Auria. >>

(5) Raimondo Dresnay, baili d'Asti, volle fare le cose proprio col maggior decoro possibile, trattandosi dell' entrata del cognato del suo re. Epperò fin dal giorno II erasi egli mosso con bel seguito, incontro a Renato, che si credeva avesse ad entrare il domani in Asti. Gli astigiani poi mandavano a pregare il re, perchè volesse differire di almeno un giorno il suo ingresso, acciò potessero riceverlo cogli onori dovuti. Lettera di Angelo Simo

vedendo che, contrariamente a quanto aveva promesso di fare, il Delfino non si faceva vedere a Villanova, risolvette di recarsi lui stesso a Chieri: il che fece il 21 o il 22 del mese (1). Il Delfino come seppe che lo «zio moveva alla sua volta, gli venne in<< contro e: Barba, disse, fo io ho condutto a salvatione la vra <«< compagnia di qua de li monti et se voleti la mia vi la darò », e poi presero verso un castello li presso, dove stettero a parlamento lungo tempo; dopo di che il Delfino ritornò a Chieri e il re ad Asti (2). Risultato di quell' abboccamento pare sia stata la risoluzione fatta prendere al Delfino, contrariamente ai veri interessi di Francia, di rinunciare all' impresa di Genova e di ritornare nel Delfinato. Il Delfino cionondimeno volle, prima d' uscire d'Italia, provarsi ad intavolare, di lì a qualche giorno, nuovi intrighi ed a maneggiare un tradimento. Nell' Archivio di Venezia esiste la prova di questo vituperoso tentativo « que l'histoire n'avait encore enregistré » (3). Il Delfino dunque offriva alla repubblica veneta il suo aiuto contro il duca di Milano, l'alleato di suo padre e di suo zio, e la pregava di mandargli danari coi quali poter condurre a compimento il suo disegno. Vero è però che la Signoria per tema, senza dubbio, di aggravare la condizione delle cose e di rendere più denso il nembo che già le gra

netta al Duca; Milano, 12 agosto 1243. Il re non era peranco giunto a Ceva: nè fu che al 24 che egli poneva piedi nella loro città (Vedi Documento 14).

(1) « Advisai como io Dalfino alogio iersera a Chieri; io questa matina << vo a trovarlo et la M.tà del Re questa sera o domatina se trovara con Ex Villanova Asti, XXI augusti 1453.

<<< esso.

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<< Angelus de Azayolis. »

(2) Lettera di Giacobbe di Palazzo. Asii, addi 24 agosto 1453. (3) LECOY LA MARCHE, vol. I, pag. 277. Questo valente biografo di Renato afferma però che questa pratica del Delfino fu condotta da lui, dopo essere rientrato in Francia. Com'è ciò possibile, se il Consiglio di Venezia dava al Delfino la risposta, addì 31 agosto (Vedi Libri partium secrelarum, vol. XIX, fol. 211), quando cioè il Delfino dimorava tuttavia in Italia ? Vedi anche ET. CHARAVAY, Lettres de Louis XI, tome I, pièces justificatives, N. LIX.

vava sul capo, rispondevagli, il 31 agosto, assai prudentemente, che i tempi erano poco acconci a quel disegno, e protestava però la sua simpatia alla causa del re in generale e la sua gratitudine pel Delfino in particolare (1). Nonostante però questa mala riuscita della sua pratica, il Delfino rimaneva in Piemonte, almeno per quasi tutto il mese di settembre. Il 14 di questo mese era a Moncalieri, dove venne anche un Guglielmo da Miglon ad eccitarlo a prender partito contro lo Sforza e a chiedergli in isposa per Guglielmo, marchese di Monferrato, una sua figlia naturale. Il principe francese non gli dava per allora alcuna risposta; ma si volgeva per consiglio su questo proposito all' Acciaioli, il quale gli dichiarava subito che meglio provvederebbe alle cose, se non acconsentisse alla domanda fattagli. Onde il Delfino, che già cominciava a mostrarsi desideroso dell'amicizia dello Sforza, si fece a domandare allo stesso ambasciatore, se il duca di Milano avrebbe accettato di venire seco lui ad intelligenza contro di Genova; ed aggiungeva « A casa mia e costume che i mariti domandano le << done, ma techo io non mi voglio guardare. Se il duca mi do« mandara mia figlia io gli la daro tanto quanto che se non fosse << il primogenito ». A cui l'Acciaioli, da qual diplomatico avveduto che era, rispondeva che al duca non tornava il far contro di Genova e che in quanto al resto convenivagli parlare di presenza col medesimo duca (2). Finalmente il Delfino abbandonava l'Italia, lasciando quivi Giacomo de Cellant con mille cavalli e forse coll'ordine di andare in aiuto al marchese di Monferrato (3).

Anche costui era venuto a Chieri, coll' intento di valersi dell'opera del Delfino per ottenere dal Re migliori condizioni nella sua vertenza col duca di Milano ('): ma non aveva mai voluto abboccarsi direttamente con Renato. Alla fine però si erano radunati a concertare i punti principali dell'accordo pel Re, Mons.

(1) Archivio di Venezia: Libri patrium secretarum.

(2) Vedi Docum. 15.

(3) Idem 16.

(4) Idem 17.

de Revel e Mons. de Louc; pel Delfino, il marescalco del Delfinato; pel marchese, Giacomo de Cellant o per lo Sforza, Abramo degli Ardizzi e l'Acciaioli. Il mandatario del marchese chiedeva che si provvedesse al decoro del signor suo, che era stato offeso nella persona; che gli venisse restituita Alessandria e fosse fornita di soldo sufficiente a mantenere le sue genti d'arme; infine che gli si desse mallevaria che gli articoli dell'accordo sarebbero stati osservati. Rispondevano gli oratori dello Sforza che in quanto alle prime due domande non avevano facoltà alcuna per deliberare definitivamente; ma che riguardo al soldo, era cosa assai più dignitosa, che il marchese provvedesse alle cose sue da sè, che dipendere da altri; del resto essi lo rassicuravano della ferma e precisa intenzione del Duca di volere mantenere tutte le promesse da essi fatte a nome suo. Fu conchiuso però che si sospendesse ogni deliberazione decisiva, infino a che non fossero tutti in Alessandria, dove il Marchese manderebbe una persona fornita di pieni poteri (*).

Genova intanto, che aveva creduto d'essere, per la partenza del Delfino fuori d'ogni travaglio e specialmente del pericolo di ricadere sotto il dominio di Francia, si trovava, al contrario, piena di sgomento per la ostinata rappresaglia che le veniva facendo Giovanfilippo.

S'era costui, d'accordo collo stesso Delfino, col duca di Savoia, col marchese di Monferrato, a ciò stimolati dai Veneziani, impadronito già di tutta la riviera di levante ed ora, d'accordo con Iacopone e Rolando del Fiesco, Agostino Montaldi ed altri, stringeva così rigorosamente la città di Genova rinforzato com'era anche dalle galee mandategli dal re d'Aragona che nessun abitante osava più mettere piede fuori di casa: anzi non andò guari che egli poteva penetrarvi co' suoi, e minacciare di levare il doge dal suo seggio. E forse ci sarebbe riuscito, stante la costernazione ed il timore da cui era percossa la città, se e la vigilanza del Doge e l'ardimento di Benedetto Doria, che investendolo

(1) Vedi Docum. 14.

con numeroso stuolo d'armati lo cacciava di città, non avessero resi vani i suoi tentativi di usurpare il supremo comando della republica. Respinto fuori di città, il Fieschi continuò cionondimeno, dalla riviera di levante, dove si era riparato, a molestarla inces

santemente.

Anche re Renato si era subito dichiarato disposto a venire in aiuto di Genova (') e trovandosi a dimorare in Asti, faceva, addi 25 agosto, arrestare dalle sue genti ad Agliano, Raffaello Adorno, Giovanni da Montaldo, Baldassare de' Fornari ed un Donino Bocaci, tutti genovesi, che erano dal Fiesco stati spediti o al Delfino o al Duca di Savoia, e li faceva, senza curarsi punto del tumulto che i partigiani di cotesti cittadini alzavano per questa presa, trasportare per Masio ad Alessandria e quindi a Piacenza (2). Valendosi di questa favorevole circostanza, il nostro re si adoperò subito presso il Fieschi, perchè venisse ad un accordo col doge di Genova (), ma il Fieschi non volle aderire: onde gli tenne sostenuti i suoi prigioni; non dandosi pensiero dell' odio che gliene sarebbe derivato. In una lettera da Genova, scritta l' 8 ottobre 1453 da Nicolò Soderino, oratore di Firenze, è detto infatti che « Re<< nato na acquistata tanta inimicitia dentro et difuori che se per << niuno tempo egli arà affar pruova de favori et di questa na<< tione, sono di natura che gli ricorderanno che egli ha fatto << male, che me ne rincresce et duole assay per rispecto della sua « M. et de tucta la lega (').

(') I Firentini sono contenti della venuta di Renato, ma la loro contentezza non durò molto perchè immediate costoro hebero lettere dal loro ambaxiatore in Zenoa como cl S. Delfino oltre ala gente del p fato Re Renato ha conducto de qua II m cav. e III m. fanti et molti apparati de guerra et ha mandato a Zenoa doy soy mandatari a dir al Ill duxe che vole aiutarlo mante nere in Sria ma vole Saona et cio che e de Zenoa in là fino a Niza. Qui tiensi questa sua trama del duca de Savoya et miss. Gug.lmo ad instancia de Veneciani. Ex Florentia penultimo Augusti 1453. Nicodemo

(2) Vedi Doc. 18.

(3) Lettera del Duca di Milano ad Angelo Acciaioli. Ghedi, 6 ott. 1453. () R Arch. di Milano. Cart. gen., ottobre 1453.

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