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sero onde armarsi in tutto punto, e « che perciò avesse fatte << grandi spese, sè trovato cum una pugnada de fumo in mano et << me hano ditto tutto chiaramente che non e possibile che me < possano adiutar de uno minimo grosso, perche lo Re non ha (1). Del resto anche il Duca non rifiniva dall' insistere, per bocca dei suoi oratori inviati a Firenze, presso quella Comunità, per ottenere da essa e danari ed uomini. Ben si adoperava Cosimo de' Medici suo amicissimo, per spremere dalla Balia quanti più fiorini poteva ; ma il risultato di questa buona disposizione di Cosimo in favore della Lega andava per le lunghe chè degli ottantamila fiorini chiesti, sperava di mandargliene saltem diecimila e degli uomini i Firentini non avevano ancor deliberato quanti inviargliene e sotto qual capitano (*); e ciò, quantunque dal campo del Duca venissero spedite notizie poco rassicuranti (3). Fu solo al 21 sett. che quella Comunità mandava alla volta della Lombardia Alessandro, fratello del Duca, con un certo numero di Micheleschi (*).

Una settimana prima, cioè addì 15, veniva finalmente firmato il compromesso tra il Duca di Milano ed i Marchesi di Monferrato, nella Maestà del Re Renato, il quale aveva stabilito una tregua, in forza della quale si leverebbero le offese « a cominciare da lune << di chi sera ali XVII del presente, in ortu solis » (5); sotto condizione però che Guglielmo restituisse tutti i castelli dell'Alessandrino, eccetto Felizzano e Cassine, che gli erano lasciati a titolo di feudo; e rinunziasse a duecento ducati annui già pattuiti in compenso di Alessandria. Avrebbe Renato voluto eziandio che il marchese di Monferrato venisse con quattro o cinquecento cavalli

() Vedi Doc. 22.

(2) Lettere di Bocaccino Allamano, di Nicodemo da Pontremoli. renze, li 22 e 24 sett. 1453.

(3) Lettera del Duca Francesco a Cosimo de' Medici. (*) Lettera di Nicodemo da Pontremoli al suo Duca. tembre 1453.

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Ghedi, sett. 1453.

Firenze, 23 set

(") Per consolatione ora ve avixo che hogi havemo facto el compromesso nuy et quelli de Monferrato et la Maiesta del Re Renato.

XV Sept. 1453. Angelus Simonetta.

Ex Alexandria,

bene in assetto, per la paga di mille ducati; ma Angelo Simonetta si oppose a questo; troppo conoscendo che il suo principe era scarso a moneta; « sicche a summa complacentia del re, il mar<«< chese gline ha promesso cinquecento et venga cum quelli li pa« riva a luy » (1).

Condotte a termine, per intanto, le cose a questo modo, il 17 dello stesso settembre, il re abbandonava Alessandria, dove e quelli del Duca di Milano e la Comunità avevano gareggiato nel fargli le spese (*), e moveva per unirsi colle genti del Colleone e venire insieme al campo dello Sforza.

Di questo movimento c' era però chi si interessava per riferirlo a cui poteva tornar utile di conoscerlo. L'ambasciatore veneziano Pandolfo Contareno riferiva a Giacomo Piccinino, che il re Renato e Bartolomeo Colleone intendevano di muovere di conserva colle loro genti attraverso le terre del Marchese di Mantova alla volta del Veronese, per ivi campeggiare; ed aggiungeva che sarebbe opportuno che esso Piccinino si collocasse tra Brescia e Verona in luogo eminente e forte sì «< che lo inimico non vi potesse de<< vedare le victualie per lo exercito vro » (3).

Ma queste non erano che supposizioni dell' oratore veneziano, perchè Renato non era proprio in grado di condurre ad esecuzione, quand' anche l'avesse pensato, un tale divisamento. Egli dunque da Alessandria prese verso Pavia. Questa sua visita alla città dalle cento torri, aveva destato un insolito movimento in tutta la corte del Duca. Fin dal 20 giugno, quando essa non era che una semplice probabilità, Scaramuccia Balbo, precettore di Galeazzo e degli altri figli dello Sforza, scriveva al suo Duca, per dirgli che questi suoi figli erano sani ed allegri e che si voleva loro insegnare a ballare ed a cantare qualche cosa, sicchè « venendo, << come si dice, re Rainiero, se ne habbia quello honore et gloria << che la S. V. et tutti noi altri desideramo » (*). Il 13 settembre,

(1) Lett. di Sceva da Corte, XX Sept. 1453, dal Castello Guazatorio. (2) Vedi Doc. 23.

(3) Vedi Doc. 24.

(4) Lettera di Scaramuccia Balbo alla Duchessa. Pavia, 20 giugno 1453.

il Duca ordinava a Bolognino degli Attendoli, che, avendo il Re desiderio di visitare la duchessa Bianca, egli accogliesse e lui e i suoi entro il castello e gli facesse il maggior onore possibile. Era questa la risposta ad una lettera, che il Bolognino gli aveva scritta il 3 dello stesso mese, nella quale gli dichiarava, che, ove non avesse ricevuti ordini precisi da lui, in proposito alle accoglienze da farsi alla Maiestà di Renato, egli : « non la receptaria << per drito de altro homo del mondo » ('). Quando fu tempo, ad impartire più precise disposizioni pel ricevimento del re, la duchessa stessa si recava a Pavia, in compagnia di Monsignor di Novara, Nicolò Arcimboldi, di Galeazzo, del conte Filippo Borromeo, di Erasmo Dionigi Billia e di Giovanni Stampa.

Animata del più vivo desiderio di far le cose proprio ammodo aveva essa già scritto al consorte, subito dopo la venuta del re, per domandargli se faceva mestieri scrivere direttamente al re per invitarlo a Pavia; e il duca le rispondeva da Ghedi, in data 22 agosto, che differisse, non sapendosi ancora dove sua Maiestà intendeva fermarsi. Ora che era giunto il momento di mostrarsi ospite veramente principesca in verso ad un principe, la cui fama aveva oltrepassata le Alpi, essa attese con tutto l'ardore a fare le cose decorosamente. Fece dunque allestire cinque camere nel castello, contigue alla sala grande ed a quella dei leopardi, << cum le sue tapazarie, lecti forniti de' sui capoceli, fece provedere << de li lozamenti opportuni per la sua compagnia in le case dei <<< cittadini et in le hostarie, per modo forano bene apparegiati li << lozamenti de le persone et de li cavalli per CCCC pet

« sone »

Il re finalmente giungeva a Pavia, il dì 19 settembre, che era mercoledì, a circa le ore venti, dopo avere alloggiato, cammin facendo, a Sale il 17, a Sannazzaro il 18. Gli andarono incontro fino oltre il ponte di Gravellone, il Podestà, il Capitano di giusti

(') Lettera di Bolognino di Attendoli al Duca. Dal castello di Pavia, 3 settembre 1453.

(2) Vedi Doc. 25. Vedi inoltre Doc. CCLXI Sforza nel Castello di Pavia, di Carlo Magenta.

nell'Opera: I Visconti e gli Milano, Hoepli, 1883.

zia, il refferendario e, dietro a loro, la duchessa con grande accompagnamento di « done inefabili e citadini milanesi e pavesi inu<< merabili, tuti e quanti a cavalo e vestiti li citadini e le done << mirabilmente » ('). Pronunciate quelle migliori parole di accoglienza che Monsignor di Novara seppe, e di scusa per non potere, a cagion della guerra, far maggiori sontuosità, si avviarono verso la città; ed ancor prima che fosse dentro dal ponte del Ticino gli vennero presentate le chiavi della città, che egli tuttavia non volle accettare; quindi entrato sotto il baldacchino, mosse verso il castello, accompagnato e seguito dal clero venuto incontro in processione solenne. Giungeva quindi in mezzo a festosi suoni di trombe e di campane, al luogo del suo soggiorno; dove il castellano Bolognino gli presentò la chiave del castello, che egli rifiutò parimenti. In seguito, Catone Sacco recitò « un sermone adeo el<< legante et ornato che el parse a tuti quanti uno Tulio fose resu<< sitato. E poi la Ill. Duchessa fece sonare in la sala fino al << tempo de la cena et sempre la se balà et fece festa tanto che'l << non se po debitamente riferire..... E per fede mia la Ill Ma<< donna duchessa a la Maiestate del Re ge ha facto tanti honori «<e pargiamenti e reverentie e a tuti quanti li soi che el seria << bastato a uno Papa e imperadore ». In questa circostanza il re creava con grande « et belle cerimonie cavalieri il conte Atten<< dolo Bolognino, Tomaso da Bologna e Antonio da Lonato » (†). La mattina del 20 il re volle ascoltare la S. Messa in S. Pietro in Ciel d'oro; dove baciò il pallio di S. Agostino, di cui ammirò grandemente l'arca stupenda. Nello stesso giorno fu dato un altro ballo in onore del re e in questo mezzo Renato creò cavalieri Gracino de Piscarolo e Nicolò Giorgi; quindi dalla Duchessa veniva condotto a visitare la libreria e le reliquie: «<et examinando et << vedendo soa Maiesta ben tucto gli piaque tanto ogni cosa che << sino poscibile seria a dire » (3).

(1) Vedi nell' Opera sullodata I Visconti e gli Sforza, ecc. Doc. CCLXII. (2) Vedi nell' Opera sullodata: I Visconti e gli Sforza, ecc. Doc. CCLXII (3) Ibidem. Doc. CCLXIII e CCLXIV.

La Duchessa, in una sua del 21 al consorte, aggiunge alle surriferite circostanze, riguardanti le feste per l'accoglimento, come avrebbe in questo stesso giorno condotto il re alla Certosa e che, nel ritorno sarebbesi tenuta una caccia nel parco o altrove, secondo l'ordine che altri avrebbe dato (').

Era, come si vede, un gareggiare di tutti nel fare la migliore impressione sull' animo del re. « Era bastato lhonore et acoglienza <facta ad questo re ad ogni imperatore » ; scriveva al Duca il 21, Niccolò Arcimboldi, vescovo di Novara; ed aggiunge: << Questo serviramo ad contentezza ed reposo de lanimo de la « V. Exc1» (2). Il Duca scriveva alla sua volta al Bolognino, da Ghedi, il 24: « Ricevuta la vra del 21, pressentito gli ho« nori fatti, ve dixemo che restamo molto contenti dela liberalità << avete monstrato ala M." de quello nro castello et del honore <et reverentia facta ala M.ta in quella nra cita» (3). Ma in pari tempo scriveva, il di seguente, ad Angelo Simonetta, perchè insistesse, acciocchè il Re venisse subito al campo (*). Le altre genti si erano già mosse in qua del territorio di Alessandria; il Colleone era già venuto ad alloggiare in Cornonovo sul Lodigiano, avendo mandato la sua famiglia a Castelnovo di Boccadadda, e il resto de' suoi uomini a Meletto al Corno vecchio, a Roncadello di Piacentino; intanto che il conte Pietro Torello teneva le sue tende a S. Fiorano e a Codogno, dove pure era Sacramoro da Parma; Evangelista Savello e Graziolo da Vicenza alloggiavano alla Somaglia, Antonello dal Borgo, e il conte Giovanni Anguissola e Giovanni da Scipione a Fombio e a Guardamiglio; Bartolomeo da Bologna alla Maccastorna (5). Dopo una settimana di dimora in Pavia il Re si risolveva di partire per Milano.

Il Lecoy La Marche, biografo del nostro Re, mette in dubbio la venuta di Renato a Milano; e, riferendo le parole del Mura

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(3) Lettera di Gentile della Molara. Da Cornonovo, 29 sett. 1453.

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