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lo spoglio de' registri ducali, in cui gli atti venivano trascritti secondo la qualità del contenuto. Così i lettori avranno un' idea più esatta di que' registri e del modo come venivano compilati. A quando a quando gli autori dell'inventario ci avvertono di lacune più o meno lunghe incontrate nel corpo de' registri; il che dimostra che gli atti venivano trascritti poco regolarmente e con una certa svogliatezza. Anche l' ordine cronologico non è sempre rigorosamente rispettato. Ciò non depone molto a favore della diligenza del Cristiani o del suo amanuense; ma noi dobbiamo troppo a quei poveri notai del sec. XIV, per non dimenticare, per qualche momento di negligenza, i veri e reali servigi che hanno reso all'erudizione moderna.

III.

Il regesto dell' Ambrosiana va, come s'è veduto, dal 1391 al 1397. Nel R. Archivio di Stato di Milano trovasi un registro ducale formato di rogiti Cristiani, che abbracciano i due anni 1398 e 1399. Perciò questo è come la continuazione di quello, col vantaggio che qui abbiamo addirittura gli originali, tanto più preziosi per noi in quanto costituiscono l'unico registro autentico di Atti ducali del governo di Giangaleazzo Visconti che siasi conservato finora. È un bellissimo e grande volume pergamenaceo (R. B. alias N; cm. 36,50 X 26), legato in cartone rivestito di pelle color marrone. Conta 217 fogli numerati ed uno, il primo, non numerato. Dopo il foglio 210 dovrebbe seguire il 211, ma, per errore di chi rilegò il volume, è messo con gli altri sei rimanenti al principio di esso ed al rovescio. Il registro è disgraziatamente incompleto; mancano gli ultimi sei atti, il cui contenuto appare soltanto dalla Rubrica; s'incontrano anche qua e là dei fogli in bianco destinati agli atti notati bensì nell' indice, ma poi non trascritti. Asportato a Vienna nel 1796, quando gli Austriaci abbandonarono la prima volta la Lombardia, questo importante volume non è rientrato nell'Archivio milanese che nel 1869, in se

guito a dimanda fattane dal nostro governo dopo la guerra del 1866. All'esterno, infatti, porta l'indicazione: Reso da Vienna nel 1869.

Sul dorso leggesi questa scritta, che dovrebb' esserne il titolo: Feudi ed investiture. Duca Gio. Galeazzo Conte di Virtù. 1398-1399. Ma è un titolo inesatto, perchè, oltre ad istrumenti d' investiture feudali, si trovano nel libro atti di natura diversa, come procure, trattati, donazioni, decreti, ecc., i quali uniti insieme formano una bella e svariata raccolta di documenti. Anzi il volume non è che l'unione di una serie di quaderni membranacei distribuiti per ordine di materia ed alternantisi da un anno all'altro. Essi portavano in origine una propria numerazione, alla quale fu sostituita la numerazione generale de' fogli, quando i quaderni furono riuniti in volume.

Il Giulini conobbe certamente questo registro, perchè lo cita più volte nella sua opera, servendosi d'indicazioni che trovano nel codice esatto riscontro. Ma o non ne ebbe notizia diretta, o potè servirsene solo di sfuggita, chè altrimenti sarebbe inesplicabile com'egli così diligente ricercatore e dotato di tanto acume non avesse saputo trarre tutto il partito che gli offriva una così ricca sorgente di notizie e d'informazioni storiche. Basti dire che di centoquindici documenti trascritti nel volume uno solo pubblicò ('), e fece appena cenno di quattro o cinque altri. Aggiungasi un altro fatto. Al fol. 46 trovasi il decreto 14 agosto 1398, con cui Giangaleazzo revoca tutte le donazioni da lui fatte al disgraziato suo cancelliere Pasquino Capelli accusato di tradimento. Questo decreto è ricordato dal Giulini, che cita esattamente il nostro codice. Ma egli non sa nulla invece di un secondo decreto del 23 settembre 1399 riportato al fol. 152, con cui lo stesso duca dispone a favore della città di Cremona di tutti i beni confiscati al Capelli giacenti nel territorio cremonese. È possibile, domando, che il Giulini, conoscendo la prima notizia, tacesse di proposito la seconda? E così di tanti altri documenti importantissimi non fece il menomo cenno. Io credo, adunque, che egli

(') GIULINI, op. cit., vol. VII, p. 265, anno 1399.

non conobbe che un numero limitatissimo di documenti compresi nel cod. B; della qual cosa nessuno può maravigliarsi, se si considera che esso era custodito nell'Archivio del castello di Porta Giovia, che a' tempi del Giulini non era accessibile senza grandi difficoltà.

L'Osio (è bene rammentarlo) non ebbe la più lontana notizia di questo registro ducale; e non l'ebbe neppure il Magenta, che fece nell'Archivio di Stato ricerche larghe ma incomplete (').

Io me ne sono servito più volte ne' miei lavori; qualche documento ho anche stampato (2): ma il registro meriterebbe di essere pubblicato per intero. Frattanto, in attesa che l'Archivio di Stato, o qualche sodalizio scientifico, o qualche persona di buona volontà (e di qualcos'altro oltre alla buona volontà!) si risolva a por mano a quella pubblicazione, ho creduto opportuno di farlo conoscere almeno in regesto, mettendolo così un po' meglio alla portata degli studiosi. Ho fatto, anzi, qualche cosa di più: ho riportato per intero alcuni pochi documenti, quelli che mi sono sembrati più notevoli o caratteristici e non troppo lunghi, colla speranza che forse taluno possa invogliarsi a prendere più diretta cognizione del resto.

I documenti del codice B uniti agli altri registrati nell'inventario ambrosiano, di cui si è parlato, costituiscono una buona raccolta di materiali, da cui molta luce può venire non meno a' grandi, che ai piccoli fatti della storia viscontea, che nell'ultimo decennio del trecento è tanta parte della storia nazionale. Una quantità di notizie sfuggite a' cronisti, e talora anche di notevole importanza, tornano a galla co' vecchi rogiti del Cristiani: gli studiosi vi troveranno materia sufficiente dove per assodare una data, dove per sapere un fatto nuovo, e dove anche per chiarire o cor

(1) La raccolta dell' Osio, specialmente per i tempi anteriori a Filippo Maria Visconti, è quanto di più miserevole possa immaginarsi, anzi ha tutta l'aria di un lavoro abborracciato. Il Magenta conobbe il nostro codice solo per le citazioni fattene dal Giulini.

(2) Nel mio lavoro Un matrimonio alla Corte dei Visconti in Arch. Stor. Lomb., anno 1891, fasc. 3, pag. 606 e seg.

reggere particolari mal noti o mal riferiti. Oltre ad essere un buon contributo alla toponomastica del dominio visconteo negli ultimi anni del sec. XIV, il nostro regesto ci dà notizie in gran parte sconosciute intorno a un numero rilevante di personaggi, ed alcuni anche notissimi, che da quasi ogni angolo d'Italia traevano alla corte de' Visconti, e vivevano colà, esuli o volontari, sotto l'ombra della sua possente protezione. Noi vediamo le fila, con cui il duca di Milano sapeva legare a sè gl' interessi di un gran numero di essi, e trasformarli in docili strumenti della sua politica ambiziosa e irrequieta. La sua calcolata liberalità verso i Malabarba, i Perego, gli Scrovegni di Padova; i Bugni e i Suardi di Bergamo; i Montalto, i Guarco, gli Adorno di Genova; i Pietramala e gli Appiano, i Pico e i Pallavicino della Toscana e dell' Emilia; l'illimitata generosità con cui profondeva le pingui entrate dei beni confiscati agli Scaligeri, per tenere in fede lo stuolo di condottieri ch' egli con arte finissima chiamava a' suoi servigi; la diplomazia accorta, vigilante, proteiforme, che trattava con la stessa destrezza i matrimoni e le alleanze; la servilità dei vescovi; gli ossequi de' popoli: sono questi tanti fatti che emergono dal nostro regesto, e che possono dar luogo ad importanti riflessioni.

Devo per altro dichiarare che non è stata mia intenzione quella di dare un' illustrazione de' singoli documenti, ciò che mi avrebbe obbligato ad un lavoro lunghissimo e spesso senza costrutto. Ai veri studiosi basteranno pochi cenni, per rivolgere la loro attenzione sulle cose più notevoli, per dare qualche chiarimento, o per fare dei richiami non inopportuni.

Un indice finale de' nomi di luoghi e di persone m'è sembrato richiesto dall' indole del lavoro, per facilitare le ricerche di chi avrà interesse a consultarlo.

IV.

Non credo di finire senza aver dato prima qualche notizia biografica intorno al benemerito notaio pavese, a cui dobbiamo la pubblicazione di questo regesto.

La famiglia Cristiani, delle più antiche di Pavia, è ricordata nella Relazione sulle cose della città presentata nel 1399 a Giangaleazzo Visconti come una delle nobili famiglie della Società de' Militi, guelfa pro majori parte (1). In un documento che si conserva nell' Archivio del Comune leggesi che negli antichi tempi le appartennero i castelli di Nibiolo, S. Antolino, Zenelcino e Torre delle Coste, con mero e misto imperio e larga giurisdizione (2); e da una carta citata dal Bossi (3) si ritrae che aveva il diritto di eleggere l'Abbate dell' importante monastero di S. Pietro in Verzolo, riserbata al vescovo la facoltà dell' investitura. Il primo personaggio di qualche importanza che s'incontri in questa famiglia è Guido, che fu console di Pavia nel 1172 (*); più tardi troviamo un Beltramo che fu console di Pavia nel 1197 e due anni dopo podestà di Genova (5). Nelle tempestose vicende a cui andò soggetta la città nel corso del secolo XIII e di buona parte del successivo, la famiglia Cristiani è poche volte ricordata; ma si afferma poco dopo nella persona di Francesco o Franceschino, che fu valente giurisperito, stette al servizio dei Visconti, e da Lu、 chino nel 1349 fu mandato all'assedio di Genova per assistere Buzio suo figlio naturale nel governo giudiziale dell'esercito (6). Da questo Franceschino nacque Catelano non si sa bene in quale anno, ma certamente non più tardi del 1356 (7). Studiò leggi nel patrio Ateneo sorto da poco tempo e s'incamminò per la carriera del notariato, allora assai lucrosa in Pavia, dove esisteva un fiorente Collegio di Notai. Catelano vi fu ascritto

(1) ROBOLINI, Notizie appartenenti a Pavia, vol. IV, p. 2a, § S S. 175. (2) Ammissioni al Decurionato, III, C. D. E. F. Famiglia Cristiani. (3) Ms. Chiese in Bibl. Universitaria di Pavia, fol. 657 - ROBOLINI, IV, p. 2, S V, 465.

(4) Bossi, Annali di Pavia; ms. in Bibl. Univ. ad annum III, 155.

(5) ROBOLINI, III, 206; IV, p. 1a, 66.

-

(6) CORIO, Storia di Milano, (ed. milanese del 1856). II, 156.

ROBOLINI,

(7) Ciò argomento dal fatto che nessuno poteva esercitare l'ufficio di no

taio prima de' vent'anni.

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