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È strano che, mentre all' articolo XI la cittadinanza chiede la conferma delle concessioni fatte da Massimiliano, al XXI chieda ex novo la concessione dei navigli; ma si può supporre che i supplicanti non si riferissero al documento del 1515, poichè la somma allora richiesta non era stata, come sembra, pagata per intero. Scorgesi infatti nei documenti una grande lentezza nel pagamento, che non appare finito. Il 12 luglio 1515 (il giorno seguente alla pubblicazione dell' istromento) una grida (1) ordinava che provvisoriamente, finchè non venisse calcolata una migliore ripartizione della taglia, ciascun cittadino o abitante di Milano pagasse sei lire imperiali per ogni staio di sale da levarsi dalla gabella o comperarsi pei propri fittabili e coloni (2). Ma un tale sistema di ripartizione riusciva difficile ed inadatto, come quello che non colpiva i commercianti ed i capitalisti, ma i soli possidenti. Se ne accorse il governo e il giorno stesso pubblicò un'altra grida (3) ordinando che ciascun cittadino pagasse, entro il giorno seguente, il sesto della somma onde era stato tassato per la taglia di 200 000 ducati imposta regolarmente il giugno 1513 in seguito a vendita del dazio. Con questa nuova disposizione il duca veniva a chiedere di più, forse prevedendo, come fu infatti, che avrebbe riscosso meno

(1) A. st. c. Lett. Duc., 1513-23, fol. 109 t. Questa grida manca al Formentini.

(2) Il provento del sale nel Milanese trovasi già convertito fin dal secolo XIV in una tassa fissa ripartita, in ragion di popolazione, per ciascun comune rurale che era obbligato a levarlo e pagarlo, lo consumasse o no. Il comune, a sua volta, distribuiva questa tassa per ciascun possidente, il quale dava ai propri contadini la somma necessaria a levare quella data quantità di sale. Francesco I Sforza ordinò questa ripartizione, la quale era per staia di 24 libre grosse. Alcuni vorrebbero attribuire a Beno de' Gozzadini, podestà di Milano nel 1257, la introduzione di questa tassa fissa sul sale, ma non si hanno prove sufficienti Due giorni dopo si pubblicò una. nuova grida, confermante quanto era stato detto nella prima ed esortante a pagare al più presto le sei lire per ogni staio. A. st. c. Lett. Duc., 1513-23, fol. 109 t. Manca al Formentini.

(3) A. st. c. Lett. Duc., 1513-23, fol. 110. FORMENTINI, Ducato, pagine 655-56.

del domandato, giacchè nel documento si dice che la città avrebbe dovuto pagare subito 25 000 ducati (100 000 lire imperiali) e gli altri poi e, domandando il sesto della taglia antecedente, veniva a chiedere 133 000 lire imperiali invece di 100 000. I cittadini si mostrarono ben renitenti a pagare: il 16 luglio ci fu bisogno di un nuovo eccitamento ('): il 3 agosto il duca si meraviglia di non aver riscosso dai contribuenti che 80 000 lire, di cui circa 24 000 date da tre soli sovventori, ed esorta il Vicario e i XII di provvisione ad adoperare ogni mezzo per riscuotere il rimanente (*). Infine, dopo un altro eccitamento del 7 agosto (3), un' ultima grida del 19 settembre imponeva di pagare entro il domani il resto dei 50 000 ducati (*), il quale è difficile supporre sia stato pagato in soli cinque giorni (il 15 settembre entrarono i Francesi) insieme ai residui del primo conto, mentre tanta fatica era occorsa per ottenerne una parte.

*

La seconda concessione è quella « de jure exigendi super datio macinae (del grano e farina) civitatis Mediolani et contra datiarios

....

(1) A. st. c. Lett. Duc., 1513-23, fol. 111. (2) Ne pubblichiamo il tratto più caratteristico. « Essendone referto che de le libre ducentomillia del imposta facta a la cità nostra de Milano per satisfare al pretio de la vendita quale la comunita ha hauto da noy in li presenti urgenti bisogni del stato nostro, fino a questo giorno essere solum riscosso circha libre cinquantaseimillia ne hauemo preso non pocho admiratione. È vero che noy hauemo hauto fin a la quantità de libre 80000 mediante la subuentione facta a la cità per li infrascritti nostri citadini, Johanne Fr. Merauilia de libre 15000, Jo.. Petro Porro de libre 4750 et Fr. d'Ada de libre 4000. Il che non è a satisfactione del obligo quale ha verso nuy la comunità nè de quello che recercha il bisogno nostro ad questi tempi de guerra.... » (A. st c.: Lett. Duc. 1513-23, fol. 106 t.).

(3) A. st. c. Lett. Duc., vol. cit, fol. 111.

pa

(*) A. st c.. Lett. Duc., vol. cit., fol. 121 e FORMENTINI, Ducato, gine 659-660. Non occorre dire che questa e le altre gride eccitanti al pagamento della taglia si trovano anche in Archivio di Stato, nei registri Panigarola ove, come si sa, venivano inseriti tutti gli atti pubblici.

dicti datii, qui sunt et per tempore erunt, libras duodecim mille octocentum imperialium omni anno, et ubi reperiretur dictum datium fuisse venditum vel alienatum quod suppleatur super datio douanae (o della mercanzia) ipsius civitatis Mediolani, et hoc in illis terminis et per modum et formam prout ipsi datiarii solvere tenentur ducali camerae, ratam debite refferendo ». Cedevasi dunque il diritto, non di esigere direttamente il dazio o la dogana, ma di percepire dagli impresari (1) la somma annua di lire 12 800 (circa 72 000 delle nostre) e, come si rileva dalle ultime righe, quando questi impresari facevano il versamento alla camera ducale.

Quanto poi all' accennata possibilità dell' essere questo dazio alienato o venduto, bisogna notare che quando fu imposta la famosa taglia di 200 000 ducati (giugno 1513) si cedette in compenso la rendita del dazio al sette per cento sul capitale pagato e, sebbene il Prato, il solo a dare questa notizia, nulla aggiunga a specificarla, possiamo supporre si trattasse del dazio della macina, considerando l'articolo XX delle petizioni 7 gennaio e il primo delle petizioni 7 luglio ove il re di Francia concede alla Città un reddito di 10 000 ducati sul dazio della mercanzia (dogana) non facendo alcuna menzione dell' altro, probabilmente non più dispo nibile. Ma anche questa rendita fu percepita realmente dalla dissanguata Città? Forse no o solo per qualche rata, giacchè nelle citate petizioni il comune, lamentandosi che una metropoli come Milano non abbia redditi straordinari a cui ricorrere nei momenti di bisogno, domanda che Francesco gliene conceda qualcheduno e il re concesse appunto, come vedemmo, i 10 000 ducati sul dazio della mercanzia.

L'istrumento entra quindi in un altro campo ove le concessioni assumono l'aspetto di vere riforme. Il duca concede in perpetuo alla città di Milano il diritto di eleggere il Vicario e

(') Il dazio consumo era percepito dal governo e appaltato ad impresari.

i XII di provvisione, i sindaci, il tesoriere della comunità e tutti gli ufficiali da essi dipendenti e inoltre i giudici delle strade e delle vettovaglie coi loro notari (o segretarii), aggiungendo al solo Vicario e XII il diritto di pesare o far pesare il pane di farina e di frumento.

Riguardo al Vicario di provvisione si stabilisce innanzi tutto che sia scelto nel collegio dei giurisperiti, mentre per l'innanzi il duca lo nominava a proprio talento (') e fin dal 1385 lo aveva scelto tra' forestieri: riforma di non lieve importanza perchè il Vicario, come capo del municipio, aveva varie e molteplici attribuzioni e, come presidente del tribunal di provvisione, aveva autorità non solo amministrativa ma anche giudiziaria in tutte le cause concernenti l'amministrazione municipale (2).

Si fissa poi, in via provvisoria, il modo di elezione. I cittadini dovranno scegliere 150 deputati, ai quali spetti l'elezione del Vicario e dei XII, meno due che saranno scelti dai giurisperiti nel proprio collegio. Però, fino a che non siasi trovata la forma per eleggere i 150, la loro facoltà vien deferita ai collegi e ai luoghi pii della città.

Questi 150 di cui qui per la prima volta si fa menzione, richiedono una parentesi. Alcuni storici, compreso il Lualdi (3), vogliono vedere in essi i rappresentanti del consiglio generale dei

(1) Vedi in Archivio st. c. sotto il titolo: Amministraz. comun. Sinossi storiche, i manoscritti attribuiti dal Giulini a un G. M. Visconti (1682).

(2) Secondo il Visconti (mss. cit., Ufficio del Tribun. di provv.) questo vicariato sarebbe una trasformazione della pretura urbana di Roma, a cui spettava la cura dell' annona. Il SALOMONI, Memorie sugli Ambasciatori di Milano, Milano, 1806, dice che già nel 1279 esistevano i XII, ma ad essi presiedeva il vicario generale del principe, sostituito nel 1369 da un vicario propriamente detto di provvisione.

(3) Storia (manoscritta) del Consiglio generale, esistente in Archivio st. c. L'abate Ignazio Lualdi, piacentino, fu archivista del municipio di Milano. dal 1770 al 1787 e lasciò molte opere manoscritte che illustrano l'Archivio stesso. Vedi LUIGI AMBIVERI, Cenni intorno alla vita dell' ab. Ignazio Lualdi in Strenna Piacentina, 1886.

novecento, ridotti allora a centocinquanta. Noi non crediamo potersi mettere anche questa riforma in conto a Massimiliano, poichè di tale riduzione non si ha alcuna notizia esplicita nelle carte d'archivio, nè si sa che i centocinquanta siano mai stati nominati durante il dominio dello Sforza, mentre sappiam pure che due volte nel 1513 furon convocati i novecento ('): anzi in una grida del 3 settembre 1515 (uno degli ultimi atti del nostro duca, assai importante perchè ci rivela la stanchezza dei Milanesi anelanti omai al dominio Francese) vediamo che il duca, impaurito del movimento in favore di Francia, proibisce qualsiasi riunione dei XII, dei XXIV, dei collegi e dei luoghi pii, sotto pretesto che tali riunioni assumono un carattere ostile al governo, e non fa parola dei centocinquanta. Tuttavia, se Massimiliano non ebbe intenzione di ridurre a tal numero i decurioni e di affidare anche la loro elezione alla città (mentre fin dal 1396 la troviamo fatta dal Vicario e XII per delegazione del principe), colla venuta dei Francesi i famosi elettori vennero assunti come decurioni e il 21 novembre ne venne ordinata l'elezione per deliberare sulle concessioni di Francesco I (2), mentre in una grida del 1° luglio 1518 il Lautrec annunzia esplicitamente la riduzione dei 150 a sessanta e ordina ai nuovi eletti di radunarsi per la nomina del Vicario e dei XII di provvisione (°).

I cittadini concretarono più tardi il modo di eleggere questi rappresentanti e lo proposero al re Francesco nelle prime petizioni, domandando venissero confermate le concessioni fatte da Massimiliano intorno agli uffizi cittadini. Ciascuna parrocchia doveva eleggere due sindaci che avrebbero eletto alla loro volta quattro rappresentanti per porta i 24 così scelti dovevano nominare

(1) L'8 gennaio per prestar giuramento e l'11 giugno per deliberare sulla domanda dei capitani Svizzeri. (Vedi A. st. c.: Dicast. Gov. polit. M. Sforza.)

() Vedi A. st. c.: Gov. polit., 1516, 21 e 22 novembre; e LUALDI, op. cit., p. 165.

(3) FORMENTINI, Ducato, pag. 118.

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