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Non posson quietar, ma dan più cura;
Onde l'animo ch'è dritto e verace,

Per lor discorrimento non si sface.

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Nè voglion, che vil uom gentil divegna;
Nè di vil padre scenda

Nazion che per gentil giammai s'intenda:
Quest' è da lor confesso;

Onde la lor ragion par che s' offenda,

In tanto quanto assegna

Che tempo e gentilezza si convegna,
Diffinendo con esso.

2 Ancor segue di ciò che ' nanzi ho messo,

Seguendo a confutare la citata diffinizione, riprova l'epiteto antica. Non vogliono, dic' egli, che il villano diventi nobile, nè che da villano discenda nazion gentile, cioè progenie nobile. Son dunque in contraddizione quando dicono che tempo si richieda a nobiltà.

2 Ancor segue ec. Ove è da sapere che se uomo non si può fare di villano gentile, o di vile padre non può nascere gentil figlio; siccome messo ho dinanzi per loro opinione; che delli due inconvenienti, l'uno seguire conviene : l' uno si è che nulla nobiltà sia l'altro si è, che 'l mondo sempre sia stato con più uomini, sicchè da uno solo la umana generazione discesa non sia... E questo è falsissimo appo il Filosofo, appo la nostra Fede, che mentire non può, appo la legge e credenza antica de' Gentili... E senza dubbio forte riderebbe Aristotile, vedendo fare due spezie dell' umana generazione, siccome de' cavalli e degli asini... Ma ciò io non consento, Ned ellino altresì se son Cristiani: e dico Cristiani, e non Filosofi, ovvero Gentili; perocchè cristiana sentenzia è di maggior vigore, ed è rompitrice d'ogni calunnia, mercè della somma luce del cielo, che quella allumina. (DANT. CONV.)

Che sien tutti gentili, ovver villani,

O che non fosse a uom cominciamento;

Ma ciò io non consento,

Ned ellino altresì, se son Cristiani;
'Perch' a 'ntelletti sani

È manifesto i lor diri esser vani:
E io così per falsi li ripruovo,
E da lor mi rimuovo:

E dicer vogli' omai, siccom' io sento,
Che cosa è gentilezza, e da che viene :
E dirò i segni, che gentil uom tene.

2

'Dico, ch'ogni virtù principalmente Vien da una radice:

Virtute intendo che fa l' uom felice

In sua operazione.

Quest' è, secondo che l' Etica dice,
Un abito eligente3,

Lo qual dimora in mezzo solamente 4,

1 Perchè a intelletti sani ec. Riprovate così le false opinioni, dirà il Poeta che cosa è nobiltà; da che proceda; e quali sieno i segni che riconoscer la fanno.

2 Ogni virtù proviene da una sola sorgente; Virtute intendo cc, Intende parlare delle virtù morali, onde nasce la vera felicità dell' uomo.

3 Un abito eligente. Dove è da sapere che propiissimi nostri frutti sono le morali vertù; perocchè da ogni canto sono in nostra podestà. (DANT. CONV.) 4 Lo qual dimora in mezzo solamente. E ciascuna di queste

E ta' parole pone.

I

1 Dico, che nobiltate in sua ragione
Importa sempre ben del suo suggetto,
Come viltate importa sempre male:
E vertute cotale

sempre

altrui di se buono 'ntelletto;

Perchè in medesmo detto

Convengono ambedue, ch' en d'un effetto;

Onde convien, che l' una

Vegna dall' altra, o d'un terzo ciascuna:
Ma se l' una val ciò che l' altra vale,
Ed ancor più; da lei verrà più tosto.

vertù ha due nemici collaterali, cioè vizi, uno in troppo, e un
altro in poco. E queste tutte sono li mezzi intra quelli; e nas-
cono tutte da uno principio, cioè dall' abito della nostra buona
elezione. Onde generalmente si può dire di tutte, che sieno
abito elettivo, consistente nel mezzo; e queste sono quelle che
fanno l'uomo beato, ovvero felice nella loro operazione, sic-
come dice il Filosofo nel primo dell' Etica; E tai parole pone,
quando diffinisce la felicitade dicendo, che felicità è opera-
zione di vertù in vita perfetta.
(DANT. CONV.)

1 Dico che nobiltate ec. In questa parte si procede per via probabile a sapere che ogni sopradetta vertù, singularmente oyver generalmente presa, proceda da nobiltà, siccome effetto di sua cagione; e fondasi sopra una proposizione filosofica che dice, che quando due cose si truovano convenire in una, ambo queste si deono riducere ad alcuno terzo, ovvero l' una all'altra, siccome effetto a cagione... Dico adunque che nobiltate, e vertute cotale, cioè morale, convegnono in questo che l'una e l'altra importa loda di colui, di cui si dice : Perchè in medesmo detto (nella lode) Convengono ambedue ch'EN d'un effetto (en per sono). (DANT. CONV.)

E ciò ch' io ho detto, qui sia per supposto.

I

È gentilezza, dovunque virtute,

Ma non virtute ov' ella;

Siccome è 'l cielo, dovunque la stella ;

Ma ciò non è converso 2.

E noi in donne, e in età novella
Vedem questa salute 3,

In quanto vergognose son tenute;
Ch'è da virtù diverso:

Dunque verrà, come dal nero il

Ciascheduna virtute da costei,

perso,

Ovvero il gener lor, ch'i' misi avanti4.

' Prova in questa stanza l'Autore che nobiltà è la radice, virtude il frutto; che nobiltà è il buon terreno, e le virtù le biade che in quello sorgono; che nobiltà è il cielo, e le virtù le stelle che in esso risplendono.

2 Ma ciò non è converso: ma non viceversa.

3 Vedem questa salute (questa nobiltà) nelle donne, e nelli giovani dove la vergogna è buona e laudabile: la qual vergogna non è vertù (ch'è da virtù diverso), ma certa passion buona... E pruovo ciò ch' io dico, mostrando che la nobiltà si stenda in parte dove vertù non sia .. Dico poi in età novella, cioè in giovani, perocchè, secondo che vuole il Filosofo nel quarto dell' Etica, vergogna non è laudabile, nè sta bene ne' vecchi, nè negli uomini studiosi. (DANT. CONV.)

4 Dunque ogni vertute, ovvero il gener lor, cioè l'abito elettivo consistente nel mezzo, verrà da costei, cioè da nobiltà. E rende esemplo nelli colori, dicendo: siccome il perso dal nero discende; così questa, cioè vertù, discende da nobiltà. Il perso è un colore misto di purpureo e di nero; ma vince

Però nessun si vanti,

Dicendo: per

ischiatta i' son con lei.

Ch' elli son quasi Dei,

Que' con tal grazia, fuor di tutti rei '.
Che solo Iddio all' anima la dona 2,
Che vede in sua persona

Perfettamente star; sicchè d' alquanti,
Ch' è un seme di felicità, s' accosta,
Messa da Dio nell' anima ben posta 3.

4 L'anima, cui adorna esta bontate, Non la si tiene ascosa;

Che dal principio ch' al

corpo

si sposa,

il nero, e da lui si dinomina. E così la vertù è una cosa mista di nobiltà e di passione; ma la nobiltà vince, e la vertù denominata da essa, è appellata bontà. (DANT. CONV.)

1 Quelli ch' hanno tal grazia son quasi Numi, e fuor di tutti rei, cioè sgombri d'ogni vizio.

2 Che solo Iddio ec. Iddio solo porge questa grazia all'anima di quelli (di colui) cui vede stare perfettamente nella sua persona, acconcio e disposto a questo divino atto ricevere.

(DANT. CONV.)

3 Sicchè ad alquanti, cioè quelli che hanno intelletto, che son pochi, s'accosta, è manifesto, che nobiltà umana non sia altro che seme di felicità, Messa da Dio nell' anima ben posta; cioè lo cui corpo è d' ogni parte disposto perfettamente. (DANT. CONV.)

4 Ora vengono i segni, coi quali la nobiltà vera si manifesta nelle quattro età della vita; e questa strofa, come pur la Tornata che termina la Canzone, nelle quali Dante lascia in pace Aristotile, son belle e chiare.

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