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Ei cominciò: qual fortuna o destino
Anzi l' ultimo dì quaggiù ti mena?
E chi è questi che mostra 'l cammino?
Lassù di sopra in la vita serena,
Rispos' io lui, mi smarri' in una valle
Avanti che l' età mia fosse piena.

Pur ier mattina le volsi le spalle:
Questi m' apparve tornand' io in quella,
E riducemi a ca' per questo calle.

Ed egli a me : se tu segui tua stella,
Non puoi fallire a glorioso porto2,
Se ben m' accorsi nella vita bella.

E s' io non fossi si per tempo morto,
Veggendo 'l cielo a te così benigno,
Dato t' avrei all' opera conforto.

Ma quello ingrato popolo maligno
Che discese di Fiesole ab antico,
E tiene ancor del monte e del macigno3,
Ti si farà per tuo ben far nimico:
Ed è ragion, che tra li lazzi sorbi4
Si disconvien fruttare al dolce fico.

1 Ca, per casa, voce usata nell'Italia settentrionale.

2 Non puoi fallire a glorioso porto, cioè di pervenire in gloriosa fama; il che assai bene gli è avvenuto. (Bocc.)

3 Fiesole, antica città di Toscana, situata sopra un colle poco lontano di Firenze, abitata un tempo da' soldati di Silla ivi mandati in nuova Colonia, i quali avendo in odio l'asprezza del sito, scesero al piano e fabbricarono Firenze. (VOL.) 4 Lazzo, aggett., di sapore aspro e astringente.

Vecchia fama nel mondo li chiama orbi1;
Gente avara invidiosa e superba :
Da' lor costumi fa che tu ti forbi.

La tua fortuna tanto onor ti serba,
Che l' una parte e l'altra avranno fame
Di te; ma lungi fia dal becco l'erba.

Faccian le bestie Fiesolane strame

Di lor medesme, e non tocchin la pianta,
S'alcuna surge ancor nel lor letame
In cui riviva la sementa santa
Di quei Roman che vi rimaser quando
Fu fatto 'I nidio di malizia tanta 2.

Se fosse pieno tutto 'l mio dimando,
Risposi io lui, voi non sareste ancora
Dell' umana natura posto in bando:

:

1 Giovanni Villani e il Boccaccio raccontano qual fu l'ori gine di questa denominazione a lungo. Brevemente i Pisani costretti a dare ai Fiorentini due colonne di porfido, le guastarono col fuoco, e poi fasciatele di scarlatto, le consegnarono; e i Fiorentini non si accorsero dell' inganno, se non in Firenze, quando le vollero alzare; onde i Fiorentini furono detti ciechi, e i Pisani traditori. (VEN.)

2 Faccian le bestie ec. Que' Fiorentini che conservano ancora la natura di bestie Fiesolane, facciano strame di lor medesme, cioè s'addentino e si calpestino fra loro stessi, e non tocchin la pianta ec., cioè non tocchino il buon cittadino, se alcuno avviene che sorga nel lor letame, nella pozzanghera de' pravi loro costumi, e che sia eguale a que' Romani che fabbricarono e abitarono Firenze, che poi divenne il nido di tanta malizia. (PORT.)

VAR. In cui riviva la semente santa.

Che in la mente m'è fitta, ed or m' accuora La cara buona imagine paterna

Di voi nel mondo, quando ad ora ad ora

Mi 'nsegnavate come l' uom s'eterna: E quant' io l'abbo in grado, mentre io vivo' Convien che nella lingua mia si scerna.

Ciò che narrate di mio corso scrivo,

E serbolo a chiosar con altro testo
A donna che 'l saprà, s' a lei arrivo.
Tanto vogl' io che vi sia manifesto,
Pur che mia coscienza non mi garra,
Ch' alla fortuna, come vuol, son presto.
Non è nuova agli orecchi miei tale arra:
Però giri fortuna la sua ruota
Come le piace, e 'l villan la sua marra 2.
Lo mio maestro allora in su la gota
Destra si volse 'ndietro e riguardommi;
Poi disse: ben ascolta chi la nota 3.

1 Abbo, dal latino habeo, usarono gli antichi per ho.. 2 Non mi garra, non mi garrisca, non mi rimorda. Arra, caparra, ma qui, predizione: siccome la caparra è parte di pagamento che si dà innanzi, così la predizione è parte di certezza che precede il fatto: Però giri fortuna ec.

3 Lo mio maestro ec. Virgilio approva che Dante abbia mostrato di ricordarsi il passo dell' Eneide (lib. v, v. 710):

Nate Dea, quo fata trahunt retrahuntque sequamur:
Quidquid erit, superanda omnis fortuna ferendo est.

Orazio avea pur detto: Levius fit patientia quidquid corrigere est nefas. E Boileau egregiamente :

Qu'à son gré désormais la fortune me joue,

On me verra dormir au branle de sa roue.

Nè per tanto di men parlando vommi
Con ser Brunetto, e dimando chi sono
Li suoi compagni più noti e più sommi.
Ed egli a me: saper d' alcuno è buono;
Degli altri fia laudabile il tacerci,
Che 'l tempo saria corto a tanto suono.

In somma sappi che tutti fur cherci,
E letterati grandi e di gran fama,
D'un medesmo peccato al mondo lerci.

Priscian sen va con quella turba grama,
E Francesco d' Accorso anco, e vedervi,
S'avessi avuto di tal tigna brama ',
Colui potei che dal servo de' servi
Fu trasmutato d' Arno in Bacchiglione,
Ove lasciò li mal protesi nervi 2.

Di più direi; ma 'l venir e 'l sermone
Più lungo esser non può, però ch' io veggio
Là surger nuovo fummo dal sabbione.

Gente vien con la quale esser non deggio: Sieti raccomandato il mio Tesoro,

Nel quale io vivo ancora; e più non cheggio.

1 Prisciano, di Cesarea in Cappadocia, celebratissimo gramatico, visse nel 6 secolo dell' era volgare. Francesco Accursio fu eccellente giureconsulto de' suoi tempi. Morì nel 1229. Fu professore a Bologna, e celebre per la sua Glossa alle leggi di Giustiniano. (AN.)

2 Colui ec. Andrea de' Mozzi. Questi fu prima vescovo di Firenze e poi di Vicenza, onde il Poeta dice: Fu trasmutato ec.

Poi si rivolse, e parve di coloro
Che corrono a Verona 'l drappo verde '
Per la campagna; e parve di costoro

I

Quegli che vince e non colui che perde.

dal qual verso fu tratto forse quel proverbio, saltare d' Arno in Bacchiglione, ch'è lo stesso che saltare di palo in frasca ; e si dice quando alcuno entra d' un ragionamento in un altro, come afferma il Varchi nell' Ercolano. (R. M.)

1 Questa Corsa del pallio che si faceva a' tempi di Dante, si è fatta anche a' tempi nostri, e l' ho veduta io medesimo più d'una volta.

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