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Luogo è nel mezzo là dove 'l Trentino
Pastore e quel di Brescia e 'l Veronese
Segnar poria, se fesse quel cammino'.
Siede Peschiera, bello e forte arnese
Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi',
Ove la riva intorno più discese.

Ivi convien che tutto quanto caschi
Ciò che 'n grembo a Benaco star non può,
E fassi fiume giù pe' verdi paschi.

Tosto che l'acqua a correr mette co3,
Non più Benaco, ma Mincio si chiama
Fino a Governo dove cade in Po.

4

Non molto ha corso che trova una lama
Nella qual si distende e la 'mpaluda,
E suol di state talora esser grama.
Quindi passando la vergine cruda
Vide terra nel mezzo del pantano,
Senza cultura e d'abitanti nuda.

1

Segnare, cioè benedire e dar la cresima. Intende d'un luogo ove tre Vescovi aveano giurisdizione.

2 Il Tasso dice, C. 1, st. 67:

Inverso Gaza, bello e forte arnese

Da fronteggiare i regni di Soria.

3 Co per capo, sincope Lombarda.

4 Lama, bassa pianura. Dante usa altrove questa voce per valle o per qualunque luogo concavo e basso. Venturi la deriva dal latino, e cita il verso d' Orazio, lib. I, epist. 13:

Viribus uteris per clivos, flumina, lamas.

Grama, trista, infelice; qui, povera d' acque, e funesta ai circonvicini per le nocive esalazioni.

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Li per fuggire ogni consorzio umano
Ristette co' suoi servi a far sue arti,
E visse, e vi lasciò suo corpo vano.

Gli uomini poi che 'ntorno erano sparti,
S' accolsero a quel luogo ch' era forte
Per lo pantan ch' avea da tutte parti :
Fer la città sovra quell' ossa morte;

E

per colei che 'l luogo prima elesse, Mantova l' appellar senz' altra sorte.

Già fur le genti sue dentro più spesse,
Prima che la mattia da Casalodi
Da Pinamonte inganno ricevesse '.
Però t'assenno che se tu mai odi
Originar la mia terra altrimenti,
La verità nulla menzogna frodi.

Ed io maestro, i tuoi ragionamenti
Mi son sì certi e prendon sì mia fede
Che gli altri mi sarien carboni spenti.

Ma dimmi della gente che procede, Se tu ne vedi alcun degno di nota: Che solo a ciò la mia mente risiede.

Allor mi disse: quel che dalla gota Porge la barba in su le spalle brune, Fu, quando Grecia fu di maschi vota

1 Prima che la mattia, la pazzia dei Conti di Casalodi, ch'eran signori di Mantova, fosse vinta dall' inganno di Pinamonte, che li balzò di seggio, e si pose in lor luogo.

Sì ch'

appena rimaser per le cune,
Augure, e diede 'l punto con Calcanta
In Aulide a tagliar la prima fune.
Euripilo ebbe nome e così 'l canta
L'alta mia tragedia in alcun loco,
Ben lo sai tu che la sai tutta quanta '.
Quell' altro che ne' fianchi è così poco,
Michele Scotto fu, che veramente
Delle magiche frode seppe il giuoco'.
Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente
Ch' avere atteso al cuojo ed allo spago
Ora vorrebbe, ma tardi si pente 3.

Vedi le triste che lasciaron l' ago,
La spuola e 'l fuso e fecersi indovine:
Fecer malie con erbe e con imago 4.

Ma vienne omai, che già tiene 'l confine D' amendue gli emisperi e tocca l' onda Sotto Sibilia Caino e le spine";

1

Euripilo, indovino Greco, citato nel lib. I dell' Eneide, detta tragedia, cioè poema di stile grandioso. V. la n. 2, p. 364. 2 Michele Scotto, astrologo scaltrissimo di Federigo 11.

3 Guido Bonatti, carissimo al Conte Guido di Montefeltro, compose un libro di astrologiche imposture. Asdente, ciabattino di Parma, uomo senza lettere, che tirando a indovinare così a occhi e croce, ci coglieva, quanto ogni altro del mestiere. (VEN.)

4 Or parla in genere di tutte le malefiche incantatrici.

5 E già jernotte fu la luna tonda, aggiunge dopo. Così col plenilunio indica il giorno, e dicendo che la luna tramontava

E già jernotte fu la luna tonda': Ben ti dee ricordar che non ti nocque Alcuna volta per la selva fonda.

Sì mi parlava ed andavamo introcque 2.

nell' indomani del plenilunio indica l'ora. Dice Caino e le spine con poetico scherzo seguendo la goffa opinione, da lui stesso derisa nel C. xi del Paradiso, che le macchie della luna rappresentino Caino in atto d' innalzare e di offerire al cielo una forcata di spine.

1

Introcque credesi formato dall' inter hoc, che nei tempi della bassa latinità si usava per frattanto. Dante stesso nel lib. 1. de Vulgari Eloquentia, cap. 13, lo chiama vocabolo fiorentino. (AN.)

CANTO XXI.

Quinta bolgia dell' ottavo cerchio: i Barattieri, immersi nella pece bollente. Bella similitudine dell' arsenale di Venezia. Paura di Dante, scortato da dieci demonj minacciosi ed armati. Loro nomi.

Così di
Che la mia commedia cantar non cura,
Venimmo e tenevamo 'l colmo, quando
Ristemmo per veder l' altra fessura
Di Malebolge e gli altri pianti vani:
E vidila mirabilmente oscura.

ponte in ponte, altro parlando

'Quale nell' arzanà de' Veneziani

Bolle l' inverno la tenace pece,
A rimpalmar li legni lor non sani

Che navicar non ponno; e 'n quella vece
Chi fa suo legno nuovo, e chi ristoppa
Le coste a quel che più viaggi fece;

1 Similitudine e descrizione da notarsi. Gli stessi termini tecnici servon mirabilmente ai più bei versi ed alla più perfetta armonia imitativa.

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