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patria. Nei trattati danteschi, tutto è riconnesso a Dio e subordinato, in ultima analisi, alla Provvidenza: il fine ultimo umano, la forma politica propugnata, la potenza e l'elezione del popolo di Roma. E nella famosa digressione del canto VI del Purgatorio, sulle discordie d'Italia — per citare uno dei luoghi più significativi della Commedia -, il poeta supera di colpo il dubbio angoscioso che Iddio, per tanto tralignare, abbia distolto lo sguardo sempre misericordioso dall'Umanità:

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E se licito m'è, o sommo Giove,

Che fosti in terra per noi crocifisso,
Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?

O è preparazion, che nell'abisso

Del tuo consiglio fai, per alcun bene

In tutto dall'accorger nostro scisso?

(Qui, sia detto di passata, si potrebbe trovare una prova del « fine indefinito» dell'Umanità, se, anzichè all'idea di progresso, l'«< alcun bene» impenetrabile, non si dovesse riferire, nel senso di un avvenimento pratico salutare, alla speranza che l'istituzione di quell'Impero predestinato da Dio per la salvezza dell'Italia «< bordello »> e dell'umanità traviata, abbia comunque ad avverarsi). Ma la fede di Dante, giova ripeterlo, per quanto sia cosa ormai incontrovertibile, è di ortodosso cattolico. Le invettive del poema e del Convivio contro i papi simoniaci o vili o adulteri o venali, non escludono la «riverenza delle somme chiavi ». E, del resto, nel De Monarchia il Pontefice è il « Vicario di Cristo e successor di Pietro, al quale non dobbiamo ciò che dobbiamo a Cristo, ma ciò che dobbiamo a Pietro»; è anzi più ancora: «una delle due direzioni » preposte sulla terra ai fallaci mortali; quella che «secondo le rivelazioni.... dischiude la felicità dell'anima ». 28) Al Mazzini un riconoscimente della potestà spirituale del Pontefice secondo il dogma cattolico, non sembra ammissibile. Egli respinge sdegnosamente le opinioni di quei critici che vogliono falsare l'immagine del poeta, quasi compiangendone i torti verso la Chiesa. Dante, dice, « fu cristiano e italiano ». Il cristianesimo di Dante deriverebbe direttamente dai Padri della Chiesa: le sue idee, appena indicate, ma vigorose e salde, intorno a un perfezionamento progressivo del principio della natura umana in una vita futura e sulla partecipazione di tutti gli uomini allo spirito di Dio, aprono la via a un ulteriore sviluppo del vero cristiano. In altri termini, Dante sarebbe un interprete, quale i tempi nuovi potevan richiedere, della dottrina del Cristo; un riformatore, un Dante e la Liguria.

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Lutero, un Giansenio, che avesse intravisto le idealità più care all'Apostolo. 2) Il quale poi, per conciliare la sua tesi con l'asserzione di Dante che Dio commette al Papato di essere una guida per la felicità celeste, aggiunge: «Per lui (Dante), il Papato non era se non un problema d'ordinamento spirituale. Nè rifuggiva dal sottomettersi ad esso, purchè non contrastasse ad alcuno dei suoi prediletti pensieri. Così Roma, sempre secondo Dante (e si ricordi che per il Mazzini, parlare di Roma voleva dire parlare dell'Italia; il che spiega la denominazione d'Italiano conferita solennemente al poeta), doveva ritenersi la « sede del doppio Papato, temporale e spirituale », il « simbolo vivente del dualismo cristiano »>.

Quella di un Dante riformatore religioso era, almeno in parte, l'opinione espressa dal Foscolo. Anche il cantore dei Sepolcri pensa essersi Dante assunto una missione divina e profetica, alla quale si vedeva consacrato, per l'amicizia dello Spirito Santo, con riti sacerdotali; il còmpito di una riforma religiosa che mutasse sostanzialmente la disciplina e i dogmi della Chiesa papale. 25) Anch'egli ripete le mille volte che Dante fu cristiano, solo cristiano, 26) e ideatore di un sistema che « ha profonde.... radici ne' libri apostolici ». 27) E il Mazzini si richiama e s'appoggia alla sua autorità: « I lettori consultino.... il Discorso di Foscolo sul Poema.... »; ma nota pure che il Foscolo « non fu un sacerdote di Dante », e che <<< troppe delle vecchie credenze sull'umana natura e sulla legge che regola le sorti delle nazioni combattevano nell'anima sua i nuovissimi presentimenti ». 28) Gli è che il Foscolo, infine, dichiarava « bizzarra » e «< illusoria » quella missione profetica e riformatrice di Dante; 29) il Mazzini invece ci crede; ci crede perchè vien sostanziandola, al solito, dei medesimi principî che sorreggono la sua dottrina. Dall'articolo sulle opere minori, appar chiaro che la riforma di Dante dovrebbe fondarsi sulla <«< religione del progresso », destinata ad effondersi da Roma. L'Apostolo ne trova indizi sin nei colloqui del poeta con i trapassati. « La coscienza d'un nesso tra il nostro mondo e un altro, tra un periodo della vita e quei che devono seguirlo, traspare a ogni tanto nel suo Poema; un senso di tenerezza generato da quella fede invade il Purgatorio e penetra quasi nelle regioni infernali; i dannati chiedono ansiosi nuove della terra perduta e bramano d'esser ricordati ai viventi ». Nessuno, quindi, avrebbe mai capito «< il bel sentimento espresso nel verso: A' miei portai l'amor che qui raffina»: verso che verrebbe a significare (è facile l'interpretazione, dopo quel ch'egli ha detto) che l'amore qui si

purifica in virtù di uua spirituale comunione con i vivi. Quando poi l'Apostolo attribuisce semplicemente a Dante la professione di un doppio potere « simbolo vivente del dualismo cristiano »>, rinnega a un tempo nel poeta e l'Impero e il Papato, tutto rimettendo all'opera dell'umanità progressiva, che deve sostituirsi all'uno e all'altro, per « fondare (son parole di una sua lettera al Lamennais 30)) la nuova Unità nelle due sfere del dominio spirituale e del temporale ». Il Papa insomma sarebbe un fantasma del Medio Evo, da cui Dante, per altezza di genio e spirito profetico, ha saputo liberarsi.

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Il Mazzini ritornò sull'argomento più tardi, nel '64, carteggiando con la Stern, che preparava un lavoro sul divino poeta. Ed era saldo, più che mai, nella sua convinzione. Alla chiaroveggente amica il cattolicesimo di Dante pareva provato da due fatti: la confessione e l'intercessione dei Santi. Di che confessione rispondeva l'Apostolo volete dire? Della dichiarazione che ognuno può fare del peccato a se stesso? Se così, l'ammettiamo pur noi, come Dante. Della confessione all'orecchio di un sacerdote? In Dante non ve n'è traccia. Intercessione dei Santi? Sia pure; ma non è adombrata in quest'espressione il legame tra noi e quelli che son morti amandoci? Non ottiene Dante piuttosto da Beatrice che dalla Vergine la sua salvezza ? 31)

Qui, più che mai, il Mazzini sottentra a Dante. Egli sì soleva confessarsi nell'intimo suo! 32) Egli sì conversava spiritualmente con i suoi Santi, con i morti nella sua fede, con Jacopo Ruffini ad esempio, per aver nuova forza-nella diuturna battaglia a risalire a Dio, al suo Dio! 88)

Solo chi s'attenga cecamente all'esegesi mazziniana e indulga alla tesi attraente e suggestiva d'una ben definitiva unità politica italiana in Dante, può ammettere che l'Italia del poeta, sede dell'Impero preordinato da Dio a salvare l'umanità, sia l'Italia del Mazzini, la nazione avviata per volontà della Provvidenza ad assumere un'iniziativa liberale, progressista e morale in pro di tutti i popoli. La somiglianza, che appare strettissima nelle pagine dell'Apostolo, si riduce, dopo un esame spassionato e un po' approfondito, alla pura apparenza o, per concedere, al metodo unitario, ben ovvio a tutti i costruttori di sistemi filosofici

e politici fondati sull'umanità intera. D'altra parte non è da credere che il Mazzini elaborasse nell'anima il primo nucleo delle sue teorie tra il '21 e il '27, nel tempo in cui prese a leggere e a meditare le opere di Dante. 34) Noi sappiamo oggi che assai prima d'allora egli aveva derivato dall'ambiente domestico e cittadino l'aspirazione attuosa a una patria unita e redenta, e desunto da tutta una letteratura italiana e straniera il concetto d'un moto sociale che guidi l'umano consorzio verso ignoti e migliori orizzonti. Nè ignoriamo che fin da fanciullo egli, per le sue relazioni con i giansenisti, covava in cuore una singolare avversione contro l'apparato dogmatico della Chiesa cattolica, sebbene il fondo delle sue credenze religiose si mantenesse, checchè dica, essenzialmente cristiano. 5) Come potè dunque istituire fra sè e il divino poeta tanta parentela d'idealità e d'affetti? e come asserire con tanta insistenza d'aver tratto da lui, soprattutto da lui, i suoi principî, o almeno quelli che chiama i «germi » dei suoi principî?

Rievochiamo la spasmodica lotta interiore ch'egli ebbe a combattere durante la fase formativa della sua personalità filosofica. Questo ardente idealista intuiva che nel lavoro di risanamento necessario per il suo guasto paese gli sarebbe spettata una gran parte; ma nel tempo stesso non sapeva rinunziare a un fine più vasto: al bene di tutti gli uomini, che, sparsi sulla terra, s'azzannano a orde, per mancanza di una comune intesa morale. Quale la via si chiedeva per conciliare il fine patrio con quello umanitario? Le correnti che ad essi si riconnettevano, e di cui gli arrivavano di tratto in tratto palesi manifestazioni, cozzavano, spesso fragorosamente, tra loro. Erano, per usare il suo stesso linguaggio, in letteratura il classicismo e il romanticismo, in politica la nazionalità e il cosmopolitismo, in filosofia l'esclusivismo teorico e l'eclettismo. Ed egli, da quella sua solitaria e asserragliata specula genovese, le spiava, le indagava affannosamente, quasi pauroso di naufragare in così deciso dualismo.

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Certi uomini, pur di fronte a un contrasto di dottrine, restano impassibili. Essi possono considerare idee, tendenze, teorie, obbiettivamente, come una serie di forme più o men luminose, che, nell'ombra dei tempi, trascorrano sopra un opposto schermo. Tutta la loro vita è circoscritta nel raggio dell' intelletto. S'interessano delle antinomie che scorgono, le valutano, le misurano; non le rispecchiano nell'anima e non ne escon turbati. Sono però uomini che non possono edificare, perchè ogni loro iniziativa creatrice offuscherebbe l'idillica serenità a cui paiono votati dalla natura. Altri, invece, appena a contatto di un mondo d'idee, lo

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trasformano in passione, lo vivono e lo soffrono profondamente. Avidi d'armonia, ruggono per ogni dissidio e insanguinano le mani nel tentativo di rompere le ferree maglie che li chiudono. E qui entra in giuoco la loro forza morale: o cadon vittime di quell'anelito, e finiscono scettici, o trovano da sè l'equilibrio spirituale, acquietandosi in un concetto che è la risultanza ideale degli stessi elementi discordi. Il Mazzini appartiene a questi ultimi. « Tu non sai scriveva al Benza, suo intimissimo, nel 1825, quando ancor s'aggirava cupo e frenetico per la selva delle teorie circostanti tu non sai di qual tormento mi sia la lettura di un libro qualunque ! ». 36) Ma l'affanno era creazione: nella crisi si plasmava e s'illuminava il futuro suo credo: i tumultuari principî di Dio, di progresso, di umanità, d'associazione, di dovere, di missione individuale tendevano a coordinarsi in quella che tra breve doveva essere la formula più concreta del suo programma: la vita unitaria della patria nella vita unitaria dell'umanità, la missione particolare dell'Italia nella missione delle nazioni e delle succedentisi generazioni. Per comprendere come in quel momento i rottami del pensiero contemporaneo si componessero lentamente, ma felicemente ad unità, basta rileggere la « tempesta del dubbio », nella quale egli ripercorse, nel 1836, dopo una nuova terribile crisi, tutto il suo giovanile cammino, per ritornare, rinfrancato, alla primissima fede.

Orbene, tra il 21 e il '27, proprio quando i varî elementi si armonizzavano in sintesi compatte che parevano talvolta erompere improvvise e talvolta approfondarsi nel buio sotto obbiezioni scorate, il giovane pensatore lesse nei trattati di Dante che, giusta la volontà e l'immagine di Dio, uno è il fine dell'umanità; che i popoli e le nazioni costituenti l'umanità, devono cooperare, come individualità minori e secondo le proprie particolari facoltà, con una individualità suprema, che tutte le raccoglie, le comprende e le modera in direzione di quel fine unico; che fra tutti i popoli quello romano, per venerande insuperate memorie, per primato di studi giuridici, per provvidenziale decreto, doveva esser sede del trono, onde si sarebbero impartite a tutto il mondo le leggi più atte a tenerlo in pace e in giustizia. E, volgendosi al poema divino, egli vi trovò riflesso, sotto aspetto poetico e religioso, quel che gli era occorso di trovare sotto aspetto filosofico nel Convivio e sotto aspetto politico nel De Monarchia:

Le cose tutte quante

Hanno ordine tra loro, e questa è forma
Che l'universo a Dio fa somigliante.

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