Slike stranica
PDF
ePub

del suo tempo, poichè il decorso della zona di displuvio può considerarsi corrispondente, almeno con approssimazione, tanto all'orlo della regione dialettologica che muta solo lentissimamente, quasi insensibilmente nel corso dei secoli, come a quello della regione politica che, prescindendo da variazioni d'ordine secondario, e da «< inclusi » come la Repubblica di Noli e il Marchesato del Finale, può considerarsi come stabile almeno per qualche secolo. E, dando alla regione il nome di «< Marchia Ianuensis », Dante sentiva di appoggiarsi a una tradizione sicura e ad una realtà viva, anche perchè il nome da lui prescelto rievocava al pensiero, col nome della città gloriosa, per floridezza di commerci e per forza di navi, persino in tanta parte del mondo musulmano, il ricordo della marca obertenga: tipica area di confine, per importanza strategica ed anche per importanza politica, venendo essa considerata generalmente come zona terminale del Sacro Romano Impero, restaurato da Carlo Magno. Il nome di « Marchia Ianuensis >> veniva quindi a significare, nei primi decennî del trecento, qualche cosa di ben più definito, di più concreto, che non il nome Liguria, il quale manca alla serie dei nomi regionali d'Italia ricordati dagli autori a cui Dante attinge di preferenza i suoi dati geografici : Orosio, Isidoro, Alberto Magno. 11) Questi scrittori, a indicare, approssimativamente, l'area della Liguria fisica, cioè il complesso delle due provincie liguri (settembre 1923) e il contrapposto versante alpino-appenninico, adottano la denominazione di «< Alpes Cottiae »: denominazione d'origine orografica, e anch'essa soggetta a profonde mutazioni di significato, da quando appare, alla fine del terzo secolo (280-292), nella divisione dioclezianea, a quando essa ricorre, con la grafia erronea di «< Alpes Gottie », un millennio dopo, nel planisfero di Hereford che il Miller ritiene composto fra il 1276 e il 1283. 15) La sostituzione del nome regionale di «< Alpes Cottiae » (che nell'alto Medio Evo finisce coll'indicare, approssimativamente il plesso Alpi Cozie, Marittime, Liguri - tratto settentrionale dell'Appennino, cioè quella parte delle Alpes Appenninae che ha per orlo meridionale il rilievo delle Apuane)16) a quello di Liguria, si comprende agevolmente quando si ricordi la migrazione a cui andò soggetto quest'ultimo nome. Poichè, mentre nella divisione augustea col nome Liguria si indica la nona regione, limitata a mezzogiorno dal mare, a settentrione dalla linea del Po, a ponente dal Varo e a levante dalla linea corso della Macra- corso della Trebbia, nella divisione di Diocleziano, invece, il nome Liguria si estenderà a una regione interna, il cui limite nord giunge alle Pennine. E poi coinciderà colla sezione

occidentale della regione padana (alla morte di Teodosio il Grande, cioè verso il 395, limite grecale è il corso dell'Adda) 17) e, finalmente, col braccio superiore e medio del Po e con quello dell'Adige, quando l'Anonimo ravennate (VII secolo) comprenderà nella Liguria transpadana (denominazione in cui si sono fusi i nomi della nona e dell'undecima regione d'Augusto) la maggior parte dell'Italia settentrionale a nord della linea del Po, con Pavia e Milano, Verona e Trento. Di una «< Liguria cispadana » corrispondente, se non a tutta l'area a cui si riferiscono i frammenti di Ecateo (per cui l'area dei Liguri si estende anche ad occidente di Massilia), 18) almeno all'area su cui sono i « Ligures »> nel planisfero di Mela (dalla Valle del Varo al territorio lunense), sembra perdersi interamente la traccia. Ma effettivamente l'esistenza d'una Liguria diversa dalla transpadana, concepita in contrapposizione a questa, risulta provata dal fatto che nella divisione d'Italia dell'Anonimo ravennate la regione che comprende l'area dell'attuale Liguria è detta appunto Maritima. Questa «< provincia», il cui nome richiama al pensiero quello di « Alpes Maritimae » dato alla provincia procuratoria imperiale, oltrepassa, verso mezzodì, il corso della Macra; il che avviene anche, tanto per la regione dei « Ligures » di Mela, come per la provincia delle Alpes Cottiae della bassa età imperiale. 19) E merita speciale rilievo il fatto che nel Catholicon di Giovanni [Balbi] da Genova, terminato «< con fatica di molti anni» nel 1286, la Liguria è « quaedam provincia in qua sunt Vercelle, Novaria, Mediolanum, Papia ». 20) Queste parole sembrano richiamare al nostro pensiero un tempo considerevolmente remoto: quello in cui Claudiano, nell'epitalamio di Onerio Augusto, pone in Liguria Mediolanum. Così il giudizio del Balbi, che sembra riflesso anche nel verso dell'Anonimo genovese contemporaneo (« porta e de Lombardia »), riporta il nostro pensiero al tempo in cui, secondo il testo greco della leggenda dei Santi Nazario e Protasio (V secolo), da Milano, sede del « vicarius Italiae » la cui giurisdizione giunse sino alla valle del Tévere, si raggiungeva in tre giorni il naturale sbocco di tutta la «< Liguria » (per i Bizantini: la regione costiera), il quale era tra i porti più notevoli dell'Impero, se anche la sua importanza era molto lontana da quella raggiunta, coi noli, fin dalla prima Crociata. 21)

La grande varietà dei significati assunti nell'età imperiale e nell'alto Medioevo dal termine Liguria, il quale sembra sparire nell'età longobarda, e più particolarmente la confusione che si fa tra i nomi Longobardia e Liguria (confusione di cui è tipico riflesso la dicitura che il planisfero di Hereford estende, nell'età

dantesca, a tutta la pianura padano-veneta: «Longobardia hec et Lig[u]ria >>), spiega come il nome Liguria non appaia nell'opera di Dante. Ma questo non implica che Dante non abbia un'idea chiara, sicura, concreta della regione ligure, e che ai <«< confini dei Liguri», ossia all'area ligure, non accenni espressamente. Tanto è vero che, scrivendo, in nome proprio e del partito imperialista di Toscana, ad Arrigo, dal bacino sorgentifero dell'Arno (« sub fonte Sarni »), nell'aprile dell'anno in cui più vigoreggia la sua speranza in una radicale definitiva restaurazione dell'autorità imperiale, egli afferma esplicitamente che l'area ligure non può essere concepita come l'area estrema, ossia l'estrema terra in cui si estenda verso occidente la giurisdizione imperiale che non è circoscritta entro i confini d'Italia o fra le tre cuspidi d'Europa, ma stendesi, « de inviolabili jure » su tutte le terre emerse (« areola ista mortalium»: Mon., III, XVI, 11; «<l'aiuola che ci fa tanto feroci»: Par., XXII, 151) e sull'Oceano che tutte le abbraccia. Appena velato è il rimprovero che egli muove al suo dubitoso Imperatore: « non secus Tusciam derelinquis, pretermittis et negligis quam si iura tutanda Imperii circumscribi Ligurum finibus arbitreris » (Ep., VII, 11). E i « Ligurum fines » sono, evidentemente, identici ai «< Ianuensium fines >>> accennati a proposito del confine occidentale della lingua d'oc: << Istorum vere proferentes oc meridionalis Europe tenent partem occidentalem, a Ianuensium finibus incipientes » (De vulg. el., I, VIII, 7). Le estremità di scirocco e libeccio coincidono coi limiti ricordati nel trattato di pace del 6 novembre 1307 fra Carlo II di Sicilia e i Genovesi: il promontorio del Corvo e Mónaco. 22)

Dante conobbe direttamente, vide cogli occhi suoi il confine sciroccale della Repubblica Genovese allorchè soggiornò alla corte dei Malaspina, probabilmente presso Moruello, marchese di Giovagallo, sposo ad Alagia « buona da sè », malgrado i tristi esempi della sua casa, come ricorda Ottobuono (Purg., XIX, 142-3): a quella Adalasia Fieschi che l'8 aprile 1314 cinge le bianche bende vedovili 23) e ripara alla nativa Genova per pregare « all'ombra dell'augusto tempio che i figli del poverello di Assisi possedevano..... ai piedi della regione di Castelletto, che già accoglieva le spoglie di un figlio, del marito, del padre e dello zio Federico. » 2) Che cosa significò per i commentatori la conoscenza diretta che il Poeta ebbe della marchesa di Giovagallo, è facile supporre: basta pensare che Alagia la quale, secondo Benvenuto da Imola, << multum complacuit Danti », trascorre l'ultimo periodo della sua vita (è ricordata ancora in un documento del 19 aprile 1344)

in Genova, prima presso la Chiesa di San Siro e poi presso quella di San Donato, dominata tuttora da una bianca torre gigante, nell'area che meglio conserva le tracce dell'età dantesca. Qui importa notare che Dante fissa la sua attenzione sul confine sciroccale della « Marca genovese », perchè soggiorna alla corte del «< vapor di Val di Magra» (Inf., XXIV, 145) e della «< magnifica domina Alaxia marchionissa Malaspina », nipote a papa Adriano V che egli incontra nel quinto girone colla gente che piange «< giacendo a terra tutta volta in giuso » (Purg., XIX, 72), e sorella a Luca Fieschi che, Cardinale di Santa Maria in via Lata, coronerà « l'alto Arrigo ».

Dante è indotto ad occuparsi con particolare attenzione della linea che segna, verso scirocco, il confine della Repubblica Genovese per la sua stessa funzione di arbitro, che gli viene assegnata, il 6 ottobre 1306, nella piazza principale di Sarzana («< in platea calcandulae »>), dalla procura di Franceschino Malaspina. Il Poeta rappresenta il Marchese nella vertenza che questi ha con Antonio, vescovo di Luni, a proposito della linea che divide i rispettivi feudi: è quindi certo che il Poeta, che attende con ogni scrupolo alla missione affidatagli, deve aver studiato, con particolare amore, con profonda cautela, tutto quanto poteva aver riferimento ai confini dei possessi del vescovo lunense, e quindi anche il decorso del confine politico genovese. A questo confine politico, cioè al solo ultimo tratto del corso della Magra « dalle falde del colle di Vezzano alla foce » (U. Mazzini), si riferisce probabilmente Folco allorchè ricorda che la sua patria (identificata ancora una volta, in conformità alla precisa attestazione di Dante, in Marsiglia, da Nicola Zingarelli, 25) malgrado i ripetuti tentativi di ridonare a Genova, dopo l'accenno del Petrarca, 2) la gloria del trovatore provenzale, vescovo di Tolosa nel 1205) è nella conca del Mediterraneo :

Di quella valle fu' io litorano

tra Ebro e Macra, che per cammin corto
parte lo Genovese dal Toscano.

(Par., IX, 88-90).

L'abitudine, invalsa nei commentatori recenti, di spiegare gli accenni geografici di Dante astraendo dalla figurazione cartografica, o limitando la consultazione a figurazioni cartografiche contemporanee, ha, più d'una volta, allontanata la possibilità d'una spiegazione soddisfacente di questo o di quel passo dantesco. Analogamente, la tendenza ad assegnare importanza decisiva a

determinati dati di geografia classica ha suggerito interpretazioni di questo o di quell'altro passo dantesco che potrebbero dirsi giustificate solo a proposito di scrittori notevolmente posteriori all'età del Poeta; ha fatto sì, ad esempio, che, dimenticando le stesse precise parole di Dante relative all'Istria compresa tutta nell'area del sì, qualche commentatore, fuorviato dalle parole del Biondo che sono una pura ripetizione delle parole di Plinio, non esitasse ad affermare che l'Italia dantesca si arresta alla corrente dell'Arsa. E così i più hanno finito per concludere che Dante, attraverso a Folco, proclama, in conformità della tradizione che risale alla divisione augustea, confine fra Liguria e Toscana l'intero corso della Macra; e qualche commentatore non ha esitato a fare ampie riserve sull'opportunità di chiamare «< cammin corto » un corso fluviale di 64 chilometri. Ma queste riserve non hanno ragione di essere, poichè nel passo in questione Dante non può aver affermato che l'intero corso della Macra sia la linea che divide la Liguria dalla Toscana, non solo perchè ciò contrasterebbe con quanto egli poteva aver raccolto dalla viva voce del popolo, durante le sue escursioni nell'alta e nella media valle della Macra, ma anche ed essenzialmente perchè l'esperienza diretta, fatta sui luoghi con tutte le cautele che potevano essergli suggerite dalla sua stessa funzione di arbitro in una questione di confine, dovette necessariamente fissare in modo particolarissimo la sua attenzione sul decorso del confine politico del Genovesato, ossia sull'ultimo tratto del corso della Macra, esteso, dalla foce del fiume alla linea di falda del colle di Vezzano, presso la confluenza del Vara, limite storico del dominio della Repubblica Genovese. 27)

Sostanziale rispondenza coi limiti della Repubblica Genovese a sud-est e a nord-ovest ha l'accenno ai limiti della Liguria impervia :

Tra Lerice e Turbìa, la più diserta,

la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole e aperta.

(Purg., III, 49-51).

Quando Dante e il suo « conforto » giungono presso la linea di falda del « monte che l'anime cura », cercano, invano, collo sguardo, un passaggio attraverso « la roccia sì erta che 'ndarno vi sarien le gambe pronte ». A dar conto della inaccessibilità della roccia nessun paragone appare a Dante più opportuno di quello di una regione tipica per ripidità di cammini: la zona co

« PrethodnaNastavi »