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V.

LORENZO COSTA.

Il patrizio Lorenzo Costa) nacque a Spezia il 18 ottobre 1798 da G. B. Costa e da Picedi Angela dei conti di Vezzano, e compiuti i primi studi nel Collegio di Lucca sotto Cesare Lucchesini, traduttore di Pindaro, che l'ebbe scolaro nella lingua greca e previde in lui un sommo, li continuò a Novara sotto don Stefano Grosso, professore di filosofia greca e latina, a cui deve probabilmente l'affetto che portò poi sempre ai classici, e specialmente a Cicerone. Terminati i corsi del Liceo, attese dapprima allo studio delle discipline letterarie e filosofiche, poi a quello del Diritto, per compiacere al padre, nell'Ateneo genovese, ove ebbe a condiscepoli il mite Casanova, il Morro, il Crocco, che doveva poi tesserne la biografia. Versatissimo nella lingua latina, specialmente nello stile di Persio, che lo veniva incuorando a flagellare i vizi del secolo, egli divenne ben presto un illustre rappresentante della nostra tradizione classica, prosatore non volgare e poeta di alto valore. Fu uno dei frequentatori assidui della villetta Dinegro, dove si discuteva con amore di scienze e di lettere dal Gagliuffi, dal Perticari, da Michele Colombo, dal padre Antonio Cesari, da Andrea Maffei, e, morto il marchese di Negro, il Costa fece convegno dei dotti accademici il proprio palazzo. Non passava per Genova personaggio illustre in letteratura o scienza che non domandasse di lui e non avesse caro di salutarlo.

Rifiutò l'incarico conferitogli, con Reale Decreto, di professore d'eloquenza nella patria Università, pago del silenzio campestre della sua villa di Beverina. Sopportò con eroico coraggio le sventure famigliari che gli si accumularono quasi l'una sull'altra; la morte del primogenito, della suocera, della moglie, del padre e della madre che sopra tutti adorava. Raccolto il suo affetto sul

l'unica figlia rimastagli, che andò sposa al marchese Raffaele Gavotti, aborrì sempre dalle ambizioni letterarie e da tutto quanto potesse rivelare cupidigia di poteri e di onori.

Moriva in Genova confortato dalla sua forte fede, il 10 luglio 1861. Le sue ossa riposano a Staglieno, e sul monumento, erettogli dalla pietà della figlia, leggesi un'elegantissima epigrafe latina dettata dall'erudito Luigi Grassi. L'immagine di Lorenzo Costa troneggia sul monumento, lavoro dello scultore Robatto, <«< in corpo ed anima», come scrive il Grassi.

Come scrittore dell'italico idioma gli si rimproverano arcaismi, voci troppo peregrine e antiquate, soverchia copia di descrizioni, preponderanza assoluta di parti esornative o episodiche sugli argomenti principali; non di meno fu ubertosissimo di fantasia, copioso di elettissimi concetti, ricco di un fare robusto e antico.

Il Rezzasco scrive di lui: «Il mio Lorenzo anche nelle subite ire ond'era infiammabile, ebbe il cuor buono, come magno l'intelletto; placavasi con pari facilità; s'inchinava al vero e al nobile ovunque fosse; amò sempre di santo amore l'Italia, la sua grandezza e la sua libertà. Fu trascurato (ai suoi tempi) come se nulla avesse operato per l'Italia cogli scritti, colla parola e cogli atti. Ei fece belle cose, ma era potente di assai più belle: visse gli ultimi anni cercando quiete, non fama, sconfortato d'ogni bene che non fosse il pensiero dell'eternità, e diceva mancargli ormai ogni addolcimento alla vita ».

A sua volta Antonio Crocco scrive che «fu prestante della persona, d'animo buono e gentile e fin troppo debole; ma questa fralezza di temperamento non lo fece mai timido amico del vero o capace di servi encomi o di codardi oltraggi. Fu uomo che certo lasciò lodatissimi documenti del suo sapere e della ricca vena di poesia di cui ebbe grido fra noi; ma del quale non fu conosciuto l'animo smisurato, l'ingegno potente in quel grado che fu concesso a chi a lungo e dimesticamente potè accostarglisi, e tutti penetrare i segreti di quello spirito ingenuo insieme e ardente, e tutti conoscere i frutti di quella fervida immaginativa rimasti nascosti alla pubblica ammirazione. Del quale, perchè la sua vita fu chiusa nel ritiro delle domestiche pareti e tra lo stuolo dei pochi amici, non debbono tacersi, oltre al merito letterario, la integrità del costume, la fermezza incrollabile nella fede degli avi, l'amore alla semplicità antica, la buona ed aperta natura, e in tanta ricchezza di doti, l'aborrimento a tutto che potesse parere cupidigia di potere od onori». Lo vedevi, esclama il Crocco a un certo punto del breve elogio «spesso commosso nel meditare e celebrare le

opere degli scrittori dell'età sua, sino a baciarne lagrimando le parole ».

Era naturale che da sì vivo coro di elogi uscisse spontaneo questo desiderio del Rezzasco: «Almeno il retaggio intellettuale, ricchissimo, che egli lascia in gran parte inedito, pervenga a mani da far onore alla sua cara memoria ! »

Lorenzo Costa cominciò presto a scrivere, ed ebbe la penna facile così per la lingua latina (sappiamo che vi aveva raggiunta tanta facilità, che traduceva estemporaneamente in latino anche gli autori moderni), come per l'italiano. Molti sono i lavori suoi scritti nella lingua del Lazio, dalla prima elegia in morte del Perticari, al carme intitolato Genuense Theatrum, composto per l'inaugurazione in Genova del Teatro Carlo Felice, e al commentario su Gian Francesco Raggio; ma più numerosi ancora sono quelli dettati, da buon classicista, in prosa e poesia italiane: uno Sul decadimento morale del secolo e uno Sul progresso delle scienze e delle industrie, letti alle adunanze della villetta Dinegro; inedito è pure un dialogo tra Epitteto e Giacomo Leopardi contro l'ateismo. Corrono invece per le stampe e son ben noti i discorsi per Antonio Canova e per Luigi Biondi, in cui egli fa professione di fede classica; e il Canzoniere, nel quale scorgiamo forma eletta e nobilissimi pensieri. Molto lodata e diffusa la canzone per Genova, ardita quella per il monumento innalzato in Marengo a Napoleone I, ch'egli chiama oppressore della sua patria, 2) quella sulla libertà, quella al conte Alessandro Manzoni per la morte di Antonio Rosmini, quella infine per la morte di Cavour, rimasta incompiuta perchè si spegneva la vita del poeta mentre stava componendola.

Voltosi allo studio serio di Dante, ne desunse il colorito e il nerbo per molti episodi del suo poema su Colombo, al quale già preludia nel bell'inno in versi sciolti dedicato a Niccolò Paganini (1837), ove gareggia per la musicalità del verso coll'arte divina del celebre virtuoso del violino.

Il Costa ci diede col suo Colombo un poema di lunga vena, che vanta bellezze di prim'ordine e che doveva guadagnargli grande fama nella sua Liguria, superando tutti quelli che avevan tentato lo stesso argomento (ricordiamo lo Stigliani, il Tassoni, lo Stellini, il Barlow). 3) Il poema, che comincia coll'origine del creato e si chiude col quadro finale della cristiana civiltà, doveva però essere il preludio di altra opera di lena ben maggiore, il Cosmo.

Il Giornale degli Studiosi nel numero del 29 aprile del 1871 Dante e la Liguria.

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(anno III) così definiva Lorenzo Costa: « Uomo che lascierà documenti preziosi di eletto sapere e di ricca vena di poesia, onde avrà grido per Italia tutta ». In questa lode c'è molto di vero, se pensiamo che egli dedicò tutta la restante vita a seguire le superbe orme di quel Grande che oggi l'Italia così degnamente onora.

Nessun dubbio che il poeta abbia cominciato da tempo a studiar Dante, forse presago che un giorno avrebbe tentato di gareggiare con lui. Nell' Elogio di Luigi Biondi, mentre da buon classicista inveisce contro « gli orribili casi mescolati di lussuria. di atrocità e bestemmie », trattati dai romantici, loda la mite figura dell'Alighieri tratteggiata dal Biondi nel Dante in Ravenna. E già nel Genuense Theatrum si trova un accenno a Dante che « aprì della terra e del cielo i misteri (latius explicuit terrarum, arcanaque caeli) ».

Ma soprattutto gli accenni spesseggiano nel Canzoniere, ove trovi emistichi e interi versi danteschi, e larghi accenni al grande poema. Nella canzone a Salvatore Revelli (1851), esimio scrittore, già ricorda

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E più chiaramente è dantesco nella canzone alle Muse, pure del 1851, quando grida contro il progredire delle teorie materialistiche esclamando:

E nessun mai rimira

Lo Ciel che lusingando a sè ne tira;

e in quella per la Vergine Immacolata, la bella pittura tutta dantesca di Maria circondata

da quello stuol che in nove

Gradi la cerchia disioso e inchina.

Ma meglio rifulge lo studio del Maestro, ormai scelto a guida, nel Colombo, i cui canti sono tutti ispirati da acconce epigrafi dantesche.

L'invocazione, per esempio, è tutta dantesca:

Incomincio da te l'Italo canto
Che l'unità misteriosa intrei
Nelle dive persone, Eterno Padre,
Eterna Sapienza, Eterno Amore.

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