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l'Eterno». Era questo l'inno a Dio per mezzo del quale questo genio terminava la sua vita mortale, ed è questa l'inspirazione del nostro Costa.

Se noi avessimo tutto il Cosmo, potremmo meglio persuaderci che la cosa sta così. Peccato è che, oltre i sei canti pubblicati dal Ponthenier, altri non conosciamo. Parecchi canti, scrive il Rezzasco, restano manoscritti, più fortunati d'altri bruciati per caso, e questa fu una delle molte ragioni onde l'autore impaziente si svogliò del resto. 9)

Forse la terza parte, che avrebbe trattato il trionfo del Divino Amore, poteva dirci di più sulla fonte vera dell'inspirazione.

Il concetto dunque è stato inspirato dal grande romantico. Riguardo alla forma, nessun dubbio che il Costa pensò di trarla da Dante. Anche qui la terzina: frasi dantesche numerose; concetti danteschi. Che il Nostro abbia studiato molto Dante, è certo; e l'abbiamo visto analizzando anche sommariamente le liriche e specialmente il Colombo. Che egli abbia fatto studi speciali sul grande poeta lo provano anche i frammenti trovati da Luigi Franceschetti 10) nel carteggio del Viani. Si tratta di passi mandati in saggio al filologo reggiano mentre il poema si veniva componendo.

Eccone in breve il contenuto. Il primo è di quindici terzine: descrive l'incontro di un gigante smisurato con un serpente, il fondersi delle due nature e il loro trasformarsi in una sola forma d'immane serpente, ad imitazione di quanto Dante osserva nella bolgia dei ladri. Il secondo, di nove terzine (che il Costa, mandandole al Viani, dice appartenere al XXIX canto del Cosmo), descrive la circolazione del sangue, e l'autore stesso dichiara di imitare quanto può e sa Dante nel XXV del Purgatorio. Il terzo, di dieci terzine, è il principio della seconda cantica. Il poeta allude alla lunga interruzione del lavoro dovuta alle sventure domestiche e alle vicende politiche, e continuando dice di trovarsi nel Paradiso terrestre, dove, sparito l'angelo, che gli era stato guida fino a quel momento, due spiriti l'accolgono, e l'un di essi gli parla del gran volume dell'Universo.

Dunque al poeta non mancò il concetto totale dell'opera perchè vediamo che egli l'aveva combinato ben avanti, mancò fatalmente la lena. E il concetto totale dell'opera è nobilissimo, tale da farci rimpiangere che egli non l'abbia compiuto. Se è vero che l'autore che pubblica un'opera svela fino a un certo punto il suo cuore agli uomini, il Costa il suo cuore l'ha svelato. Secondo lui una bontà suprema regola il destino del genere umano, e non c'è

merito più nobile, felicità più pura e più benevole quanto il cooperare al compimento dei suoi disegni. E concetto più degno della sua bell'anima il Costa non poteva scegliere. Educato a nobilissimi sentimenti, ad altissima cultura, affinato dai dolori che la vita non gli risparmiò, egli avrebbe scritta indubbiamente, se non quel che intendiamo di solito un'imitazione dantesca, l'opera più vicina, fra le tante tentate, al concetto nobilmente divino di Dante.

SILVIO BELLotti.

NOTE.

1 Per la biografia di Lorenzo Costa, vedi ANTONIO CROCCO, Della vita e degli scritti di L. C., Genova, 1868; MICHELE SARTORIO, Cenni biografici preposti alla stampa di due canzoni del Canzoniere, Genova, tip. della Gioventù, 1892; e in appendice ai tre volumi della raccolta degli Elogi di liguri illustri, del Cav. Luigi Grillo, Genova, 1873, Berretta e Molinari; MICHELE SARTORIO, Lorenzo Costa, in Giornale degli Studiosi, n.o 18 (29 aprile 1871); Rezzasco CaRLO, Lorenzo Costa, n.o 45 dell'Effemeride della Pubblica Istruzione.

2) Pubblicata da A. NERI, Sarzana, Ravani, 1876. Quella a Genova è nell'Antologia poetica del BICCHIERAI, Lemonnier, Firenze, 1865. Per le Liriche in generale: LORENZO COSTA, Canzoniere, Genova, Tipografia della Gioventù, con prefazione dell'Em.° Cardinale Gaetano Alimonda (pubblicazione fatta per le feste colombiane e dedicata alla March. Costa in Gavotti).

3) Per il Colombo: Discorso sul Colombo di GIULIO Rezzasco, Genova, Ferrando, 1847. Analisi del Colombo, Poema Epico di L. C., fatta da Filippo Acquarone, Zecchi e Bono, Genova, 1846. Cristoforo Colombo, libri VIII di L. C., prima edizione Ponthenier, Genova, 1846; 2. edizione, Unione tipografica, Torino, 1858.

4) CROCCO, Della vita e degli scritti di Lorenzo Costa.

5) ZUMBINI, Studi di Letteratura straniera. Firenze, Lemonnier, 1893, p. 74.

6) ZUMBINI, opera citata, p. 107.

7) Del Cosmo di Lor. Costa, Canti VI, Pellas, Genova, 1846.

8) GIOVANNI GOFFREDO HERDER, Idée sur la philosophie de l'histoire de l'Humanité, trad. Ed. Quinet, 3 vol., Paris, Levrault, 1827-28.

9) Io cercai invano presso il nobilissimo Sig. Marchese Gavotti, genero del Costa, traccia di altri canti oltre i sei noti. Invano il Sig Marchese mi permise cortesissimamente di far lo spoglio di quanto egli religiosamente conserva del glorioso poeta.

10) Il Franceschetti si occupò molto del Costa, ed anch'egli cercò invano presso il Sig. Marchese Gavotti altri canti e frammenti del Cosmo.

VI.

FEDERICO ALIZERI.

Girolamo Boccardo scrive di Federico Alizeri nel Supplemento alla sua Nuova Enciclopedia Italiana: «Alizeri Domenico, erudito italiano, nato in Genova il 28 dicembre 1817, morto nel 1883, professore dell'Ateneo Genovese. La sua vita si riassume negli importanti lavori di Storia Artistica che ha pubblicati e che, pieni di scienza e di notizie, non mancano pure di merito letterario: Guida di Genova e sue adiacenze; Storia delle Arti in Liguria dalla fondazione dell'Accademia ligustica; Notizie dei Professori del Disegno in Liguria dalle origini al secolo XVI. Malgrado molte cose inutili, queste due enormi compilazioni sono delle più utili a consultarsi perchè si occupano della Storia Artistica dell'Italia ».

1)

Salvo l'accenno alle molte cose inutili, quanto riferisce il Boccardo è onorevole per l'Alizeri. Osservo tuttavia che il Supplemento è del 1889 e che l'infaticabile economista non vi parla del commento a Dante, composto e a lui dedicato dal suo concittadino, laddove un ricordo anche fugace di questo lavoro avrebbe conferito maggior fondatezza alla lode di erudito italiano. Aggiungo poi che i dati cronologici sono inesatti.

Tratteremo più innanzi del Commento. Intanto mi sia lecito integrare e rettificare la breve biobibliografia. 2)

Federico Alizeri nacque in Genova il 20 dicembre 1817 da Giuseppe Alizeri e da Laura Bianca Grondona, nella via di Brera, e fu battezzato nella chiesa di Nostra Signora della Consolazione. Compì i suoi studi tutti nella città nativa, dove si laureò in Giurisprudenza e Belle Lettere. Fu insegnante coscienzioso e zelante, prima di Latino e poi di Lettere Italiane, nel Regio Liceo Colombo di Genova dal 1850 al 1880, Dottore Collegiato per la Facoltà di Filosofia e Belle Lettere della Regia Università, Accademico di

merito nell'Accademia ligustica di Belle Arti, socio corrispondente dell'Accademia romana dei Quiriti. La Società Ligure di Storia Patria l'ebbe per molti anni Presidente attivissimo alle classi delle Belle Arti.

Ebbe stile forbito e studiatissimo il periodo, segno dei tempi in cui egli visse. Infatti appartenne ad un periodo della nostra vita nazionale che chiameremo felice per la forma, perchè tutti si adoperarono, anche in Genova (e le accademiche adunanze della Villetta Dinegro ne sono una prova) per imitare i buoni modelli.. Si sente bene spirare ne' suoi scritti l'aura dei puristi; e specialmente del padre Cesari e del Giordani, allora considerati come divinità inappellabili in fatto di lingua.

Egli, per quanto si dice, poetava estemporaneamente, tanto che gli alunni si divertivano a proporgli soggetti da trattare lì per lì nella scuola.

In politica fu d'idee conservatrici, le quali, consonando poco con quelle allora predominanti, gli impedirono di ottenere quegli onori che si convenivano al suo nobile ingegno. Si disse eccessivo nei biasimi e nelle lodi: fu cattolico fervente, e una prova l'abbiamo in quella franca professione di fede che, nel compire il Commento, dettava, inconscio forse della sua dipartita, poco prima che un aneurisma lo togliesse quasi improvvisamente di vita.

Il Pelati lo chiama anche, sulla fine dell'Elogio che compose per la sua morte, uomo d'ingegno, di bontà singolare di vita, e di non comune dottrina, ottimo marito e padre di famiglia, cittadino specchiato, ornamento e decoro della sua Genova. Riguardo alla stima che di lui avevano i suoi concittadini, mi si conceda di ricordare che il periodico Elleboro, dopo aver ricordato come si fossero nominati per l'Università di Genova, nell'anno 1882, i professori di Letteratura latina (il dottor Eusebio), di Filosofia teoretica (il canonico Bertinaria), di Storia (il cav. Belgrano), di Geografia (il cav. Buffa), raccomandava Federigo Alizeri per la cattedra vacante di Letteratura Italiana.

Federigo Alizeri moriva il 13 ottobre 1882, a San Biagio di Polcevera, ove restò sepolto. Il Municipio di Genova gli assegnò un posto nel civico camposanto di Staglieno; e qualche pratica fu tentata da una sua figlia per trasportarvelo, ma senza alcun esito. L'Alizeri cominciò assai presto a scrivere.

Nel 1839 iniziava già la pubblicazione di un'opera che fa conoscere assai bene la sua disposizione a trattar con garbo di cose d'arte. È intitolata: I migliori monumenti sepolcrali della Liguria, ed è pubblicata coi tipi del Ferrando. Illustra in questo bel la

voro le tombe antiche trovate a Genova, come il mausoleo del Cardinale Luca Fieschi e le tombe dei Doria a San Fruttuoso, il tutto illustrato con incisioni dovute ai migliori pittori del tempo, quali l'Isola, il Cambiaso (Domenico), il Varni, il Peschiera.

Poscia si diede ai giornali, e i suoi primi scritti di questo genere videro la luce sull'Espero, giornale fondato intorno al 1841 e da lui diretto fino al 1846, nel quale anno fu soppresso a causa, allora si disse, «< delle tendenze dei relatori, i quali al governo eran sembrati un po' troppo liberali ».

Acquistò subito fama di buono e purgato scrittore, e l'editore Pagano gli affidò l'incarico delle descrizioni delle feste genovesi fatte per le nozze di Vittorio Emanuele, allora soltanto principe, con Maria Adelaide; descrizione pubblicata poi in volumetto a parte.

Nel 1845 pubblicava alcuni suoi studi critici d'arte nella Galleria della imperial Regia Accademia di Belle Arti di Firenze e inseriva nell'Abbozzo di un calendario storico della Liguria, compilato da Luigi Grillo, un suo racconto garbatissimo.

Nell'anno 1846 diè fuori la Guida per la città di Genova, frutto di cinque anni di ricerche fatte nella città e negli archivi della città. Quest'opera ebbe altre due edizioni; una nel 1871 e l'altra nel 1875. La critica vi trovò lacune ed errori, ma convien pensare al tempo in cui fu scritta.

Nel 1847 diede alla stampa 1 Fasti di Pio IX raccontati al popolo italiano, libro che risente di una viva ammirazione per il papa, che sì dolci, ma ahi! anche così vane speranze suscitava nei cuori degli Italiani.

Due anni dopo, per incarico del Comune, narrava in apposito Commentario le cose accadute in Genova nel marzo e nell'aprile di quell'anno. L'opera rimase inedita, ed è tutt'ora conservata nell'Archivio del Comune. Nel 1856 tradusse elegantemente la Guerra di Spagna dal latino di Jacopo Bracelli; e nel 1858 pubblicò la tragedia Simon Boccanegra,3) seguìta poi da un'altra, intitolata Dina, che non fu mai rappresentata. 1)

Dal 1864 al '66 egli attese a stendere l'opera che più gli procurò fama, cioè Le notizie dei Professori del Disegno in Liguria dalle origini al sec. XVI. La morte gl'impedì di scrivere altri tre volumi sull'Architettura. Nel 1868 gli sorrideva la pubblicazione del giornale Il Parini, artistico e letterario.

La sua attività continuò sempre colla pubblicazione di Memorie e di Articoli di giornali. Nel 1882, l'anno della morte, pubblicava il programma dell'Elleboro, periodico di scienze, lettere ed arti.

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