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Siffatta educazione spirituale, e preparazione intellettuale egli portò negli studi danteschi. Egli fu un dantofilo: un dantofilo, però, che non scrisse opere integre e voluminose di esegesi dantesca, dantofilo che non seguì la genesi e lo sviluppo di certi atteggiamenti mentali e spirituali del poeta; ma un dantofilo che sapeva a memoria tutta quanta la Divina Commedia.

« Dantis Aligherii Comædiam memoriter teneo ». Così disse di sè nell'epigrafe che dettò, per il busto in marmo che gli fu eretto nel Liceo di Novara. Tutta la sua produzione dantesca non è molto ricca, nè molto voluminosa, nè molto varia. Sono cinque saggi, ch'egli prima di morire, avrebbe voluto raccogliere in un volume di studi danteschi. Si aggiungano le sparse e sporadiche notizie che si potrebbero spigolare nel carteggio di quel valente studioso che fu Carlo Negroni 10), e si avrà un'idea compiuta della sua attività di dantista. Nel 1874, egli pubblicava una Lettera filologica a Pietro Fanfani 11), che non è un lavoro, ma il programma d'un lavoro ch'egli aveva in anima di compilare su <<< Dante e gli scrittori greci ». Invece d'indagare, come altri poi hanno fatto, entro quali limiti ed attraverso quali traduzioni, Dante abbia acquistato conoscenza di alcune opere greche, egli si proponeva d'istituire un raffronto tra le invettive che si leggono nelle opere degli scrittori greci e quelle di Dante.

Quando il Fanfani propose di emendare, nel v. 51 del C. XXXI del Purg. in « parte» la lezione tradizionale « sparte », sostenendo doversi interpretare « le mie membra (parla Beatrice) ora sono in terra »; il Grosso, con la collaborazione di Carlo Negroni, sostenne, con ricchezza di citazioni e riferimenti che rivelano buona conoscenza di lingua antica, la lezione tradizionale, ed infirmò anche l'interpretazione del Fanfani, perchè parte, in Dante, non vuol dire ora, al presente, ma intanto. 12)

Nel 1881, pubblicando un saggio Degli studi di Jacopo Ferrazzi su Torquato Tasso e delle postille di T. Tasso alla Commedia di Dante 18), che, variamente rimaneggiato, venne, più tardi, ristampato sull'Alighieri (1889. I. 7), il Grosso si proponeva di dimostrare quanto ricco materiale linguistico il Tasso abbia derivato dal divino poema, attingendo anche dall'opera di Dante ric

chezza di pensiero e d'immagini. Nel 1886 Carlo Negroni, Giovanni Tortoli e Stefano Grosso pubblicavano, in un opuscoletto, tre lettere, circa il modo d'interpungere e leggere il v. 84 del C. V. dell'Inferno. I tre eruditi «< con varie ragioni e persuasioni sostenevano che le parole dal voler portate non alle colombe della protasi, ma alle ombre sottintese nell'apodosi avrebbero dovuto essere riferite ». 14) Interpretazione che distrugge, da sola, il fascino dei versi danteschi. Si direbbe che le colombe volino, attraverso l'aria, non per virtù del remeggio delle ali, immobili e distese, ma spinte quasi dal desiderio, dalla volontà di raggiungere il nido; l'atto materiale, perciò, si affina e si idealizza in un fatto spirituale, il volo s'identifica col desiderio di posare nella tranquillità del «< dolce nido ». Ogni altra interpretazione, oltre che deturpare la squisita bellezza dell'immagine, urta contro la ragionevolezza ed il buon senso.

Invece fondata e solida fu la proposta di sostituire alla lezione ali aperte e ferme al dolce nido, | volan ecc. ecc., l'altra, confermata oggi dall'autorità del Vandelli, alzate e ferme.... vegnon. Merita di essere ricordato che le ipotesi dei tre furono ribadite da Tullo Massarani, con una lettera, pubblicata, con la consueta diligenza e sicurezza d'informazioni, da Guido Bustico. 15)

In una memoria, pubblicata l'anno 1888 16), sostenne tre varianti del codice scoperto in Udine da Vincenzo Zoppi: «O degli altri poeti specchio e lume »; « E vo' che sappi che dinanzi ad essi | spiriti umani non fur mai salvati »; « E nulla pena al mondo è più amara ». Quale l'autorità del codice, quanto poca la fondatezza delle varianti proposte dal Grosso, non occorre rilevare, specialmente dopo le acute e solide osservazioni del Torraca. 17)

Tale l'attività ch'egli dedicò agli studi danteschi. La quale, se non portò un contributo valido d'idee, d'interpretazioni e di critica del testo, se non si concretò in opere solide e durature, basta a documentare con quanto amore egli abbia studiato il divino poema e con quanta opportunità abbia sentito l'umile ma imponente bisogno di fermarne una lezione sicura e ragionevole.

CAMILLO GUERRIERI CROCETTI.

NOTE.

1) Per le onoranze a Stefano Grosso nel R. Liceo Parini di Milano. Ragionamento e Note Bibliografiche del Prof. SILVIO PELLINI, Novara, 1907.

2) V. Nuovo Giornale dantesco, 1921, I, e Lettere di dantisti, primo gruppo, Città di Castello, 1901.

3) G. BUSTICO, Giosuè Carducci e Stefano Grosso (Bollettino storico della Provincia di Novara, gennaio-marzo 1920). BUSTICO, Stefano Grosso nel bel volume Dantisti e dantofili, Novara, pp. 53-64.

4) Per altri e più ampi riferimenti, v. PELLINI, op. cit., pp. 28-29.

5) S. GROSSO, Ragionamento su G. Ferrari, Novara, Miglio, 1870, p. 32.

6) V. PELLINI, op. cit., p. 27.

7) V. PELLINI, op. cit., p. 45.

8) L'anno 1851 lesse a Novi l'orazione «< dell'Enciclopedia negli studi »>.

9) Per le solennità centenarie della vittoria di Lepanto, ecc., Novara, Miglio, 1883. 10) V. G. BUSTICO, La mostra dantesca della Biblioteca Negroni, Novara, Cattaneo, 1921.

11) Pubblicata, per la prima volta, nel Nuovo Istitutore di Salerno, fu riprodotta in Critica della istruzione pubblica e privata, Torino, 1874, nn. 24-25, 1875, n. 4. 12) L'avverbio «parte» e í Commentatori di Dante, lettere di S. GROSSO e C. NEGRONI, Novara, Miglio, 1880.

13) Bologna, Romagnoli, 1881; v. anche Propugnatore, 1881, vol. I, parte I, pp. 266-298. 14) Alcune varianti di punteggiatura e di lezione nell'episodio dantesco di Francesca da Rimini, esposte da C. NEGRONI, da GIOVANNI TORTOLI e da S. GROSSO, Novara, Miglio, 1886.

15) G. BUSTICO, La similitudine dantesca delle colombe in una lettera di T. Massarani. (Estr. dal Bollettino delle Biblioteche Civica e Negroni «Novaria ». Anno 1920, fasc. I-II).

16) Su tre varianti di un codice antico della Comedia di Dante recentemente scoperto in Udine, Udine, Doretti, ediz. di 500 esemplari.

17) FR. TORRACA, Nuove rassegne, Livorno, Giusti, 1894, p. 109; v. anche Giornale stor. d. lett. it., 1898, XII, 484.

VIII.

ERNESTO GIACOMO PARODI.

Nella storia degli studi intorno a Dante e alla Liguria, Ernesto Giacomo Parodi sta in prima linea; poichè dei tempi, dei sentimenti, dell'opera del Poeta fu, senza contrasto, il conoscitore più completo e più geniale nella nostra età; e alla sua e nostra Liguria seppe innalzare un monumento duraturo, descrivendone ciò che, spiritualmente, è più nobile e veramente essenziale: la lingua. Anzi, direi quasi che alla sua fama di glottologo contribuiscono in modo speciale gli Studi liguri, i quali tracciano la storia del dialetto di Genova dalle sue prime, tacite, e pur tanto significative manifestazioni, scorte e seguíte avidamente e acutamente nelle carte latine medievali, fino al suo pieno e robusto affermarsi e vigoreggiare. Gli Studi liguri, ai quali il Parodi si preparò sin dagli anni più giovanili, con due serie di ricerche lessicali genovesi, e che dovevano comprendere l'esame di tutti i più cospicui volgari della Liguria, non furono condotti a termine; ma si videro accompagnati dalle illustrazioni dei dialetti di Taggia e d'Ormea; e costituiscono, senza dubbio, la descrizione più completa che abbia oggi un nostro dialetto, un contributo impareggiabile per l'esplorazione delle parlate dell'alta Italia, un vero modello d'acume e di finezza infallibili.

Da Genova, dov'era nato il 21 novembre del 1862, e nella cui Università aveva ottenuto la laurea in lettere, passato a Firenze per perfezionarsi nell'Istituto di Studi Superiori, il Parodi seguì i corsi di Gerolamo Vitelli, e, con passione ed entusiasmo, di Adolfo Bartoli e Pio Rajna, ma soprattutto di quest'ultimo. Al Rajna, maestro così nobile e alto non meno di scienza che di dirittura morale, il Parodi serbò sempre affetto e gratitudine filiali, che più d'una volta espresse anche in pubblico, in ricorrenze solenni, con trepida commozione. Per consiglio del Rajna, studiò 1 rifacimenti e le traduzioni italiane dell'Eneide' di Virgilio prima del Rinascimento, Le Storie di Cesare nella letteratura italiana dei primi secoli, e avviò l'edizione critica del Convivio dantesco, chiarendone intanto, in un lavoro rimasto inedito, ma condotto con metodo e perizia inappuntabili, i rapporti de' vari manoscritti fiorentini.

Ma al suo spirito ardente, in quei primi anni così fervidi e laboriosi, interessavano in special modo le indagini linguistiche. Così, andato, per insegnar storia, al Liceo di Arpino, di Arpino illustrò, non senza novità metodiche, il vocalismo; vinta una borsa di perfezionamento all'estero, preferì come sede Lipsia, e alla scuola del Brugmann, uno degli acclamati corifei de' neogrammatici, descrisse le « Sorti di e ed o nel latino, davanti a n (m) in sillaba chiusa. » Tuttavia, veri, efficaci eccitamenti non poteva ricevere che dall'Archivio glottologico italiano, il quale, diretto con disciplina ferrea e illuminata da G. I. Ascoli, raccoglieva lavori d'una lucidità e squisitezza metodica sempre ammirabili. Tornato in Italia, continuò gli studi sul dialetto nativo e della sua seconda patria, Firenze (dove rimase senz'interruzione dal '92 in poi), diventando subito competentissimo, anzi il più competente, anche nella conoscenza dei vernacoli toscani e della storia della lingua italiana.

Fissò il suo acutissimo sguardo pure su altri dialetti romanzi (il catalano, lo spagnuolo, il veneto); scoprì e determinò una legge romanza generale; potè entrare da vero signore nella linguistica latina e greca; ma soprattutto rivolse la sua attività inesauribile, con inesauribile amore, al suo genovese e al suo

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