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solo perchè le parole di Dante non lasciano dubbi sul fatto che il fiume sboccante ora nel mare a ESE di « Chiaveri » ha, per il Poeta, il nome di Lavagna, ma anche perchè abbiamo elementi per credere che questo ultimo nome sia spettato, nell'ultima età medioevale come ai giorni nostri, anche al corso che, sorto dal monte Lavagnola (metri 1118), a greco del Colle della Scoffera, scende per la valle di Fontanabuona in direzione generale ONO-ESE. E giova consultare al riguardo qualche carta cinquecentesca o quattrocentesca di tipo corografico: qualche carta di tipo continentale.

La più antica carta speciale della Riviera di Levante di cui abbiamo notizia è quella di Giovanni Antonio Magini la quale ha per titolo: Liguria | overo Riviera di Genova | di Levante (cm. 47X37,5). Incisa dal belga Arnold (Arnoldo de Arnoldis) nel 1597 o poco dopo, essa è stata opportunamente riprodotta dall'esemplare rarissimo conservato nella Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma nella dotta opera ricostruttiva che Roberto Almagià ha consacrato all'Italia del Magini (il primo atlante delle varie regioni italiane, pubblicato postumo nel 1620), iniziando così degnamente la serie delle pubblicazioni del Comitato Geografico Italiano. 47) In questa carta il nome Lavagna sembra, a tutta prima, spettare solo al corso a valle della confluenza della Sturla (il torrente Graveglia, sboccante a levante di Carasco, non è in essa rappresentato), poichè al braccio destro del fiume. scendente in direzione generale ONO-ESE, attraverso la valle di Fontanabuona, è assegnato il nome, errato, di « Grouria ». Ma non è detto che il nome Lavagna, trascritto presso la foce, nel mare, con la corrispondenza al nome classico (« Lauagna f., olim Entella »), non vada riferito piuttosto al complesso della piccola rete idrografica. Certo è che si legge il nome Lauagna trascritto lungo il predetto braccio destro del fiume nella carta d'Italia di poco posteriore alla metà del quattrocento del Tolomeo laurenziano, 48) fonte per l'«< Italia nova » che accompagna la Geografia in terza rima di Francesco Berlinghieri (verso il 1480). Ed è molto probabile che anche al tempo di Dante il nome Lavagna si estendesse al braccio destro, superiore, del fiume, oltrecchè al tratto a valle della confluenza del Graveglia, cioè alla corrente principale che solcava la contea di Lavagna, ove fin dal 1130 appaiono i Fieschi: la contea denominata dalla terra «< in lavania » ricordata in due carte della prima metà del secolo X, acquistata da Genova nel 1198 e resa famosa dalle cave di un'ardesia pregiata, detta appunto lavagna, che, ridotta in lastre sottili, ha sostituito in tanta parte della Riviera l'an

tica copertura a tegole di legno (scandulae) dei tetti, tuttora rappresentati, ad esempio, in qualche tratto della valle dell'Olba (Orba).

Aroldo Chiama crede, contro l'opinione comune, che la Siestri dantesca vada identificata con un piccolissimo gruppo di case (3-4) della valle del Neirone (affluente sinistro dell'alta Lavagna): gruppo già ricordato in un documento del secolo decimosecondo, e a cui spetta il nome di Sestri, segnato nel quadrante al cinquantamila. Dando all'espressione « si adima » il valore di « si avvalla, scende dall'alto », il Chiama pensa che la determinazione «< Infra Siestri e Chiaveri» vada riferita precisamente al tratto della valle della Lavagna che Dante avrebbe dominato, collo sguardo, dall'alto, percorrendo la via romea posta in prossimità di questa Sestri o Siestri interna, da cui in tre quarti d'ora di cammino si raggiunge Roccatagliata, allora importante feudo dei Fieschi. 49) L'ipotesi, indubbiamente ingegnosa, se anche non possa provarsi, o anche solo pensarsi con particolare fondamento, che il nome di Lavagna si estendesse ai tempi di Dante anche al corso del Neirone, trova difficilmente qualche consenso. Non si può addurre alcuna prova decisiva che l'espressione si adima abbia nel passo in questione il senso preciso voluto dal Chiama, che dà particolare rilievo alle condizioni morfologiche del solco fluviale considerato. E l'ipotesi del Chiama cade di fronte a un argomento che appare decisivo. Dell'oscura piccola borgata interna, il cui nome può richiamare al pensiero antiche discussioni sulla collocazione della Segesta Tigulliorum di Plinio, 50) e risulta segnato solo nel quadrante al 50.000 della nostra Carta d'Italia, senza figurare nell'elenco ufficiale delle frazioni di Comune, non è traccia negli scrittori o in una particolare serie di documenti del tempo di Dante, mentre la notorietà relativamente grande, anche per l'importanza delle comunicazioni colla valle della Trebbia, di Sestri (ricordata anche nell'Itinerario di Antonino), che assumerà più tardi il nome di Sestri Levante, risulta allora ampiamente attestata, oltrecchè da numerosissimi documenti d'archivio, 51) dalla continuità della tradizione cartografica. 52) Non pare ammissibile che, parlando di Siestri, Ottobuono Fieschi, Conte di Lavagna, pensi una Siestri diversa da quella nella cui « valle», in loco de Sala, egli ha deciso di alzare, il 28 settembre 1275, in ricordo della sua legazione in Inghilterra, un ospedale sacro a S. Tomaso di Cantorbery (Canterbury: parte orientale del Kent, estrema contea SE), 53) una Siestri diversa dal Sigestrum dove Oberto Doria, movendo nel febbraio del 1273 contro il vicario di Carlo I d'Angiò, aspetta aiuti mercenari d'oltre Giogo: « stipendiarios

milites Papienses de ultra jugum cum longis lanceis ». 54) Contro l'identificazione della Siestri dantesca nell'oscura borgata interna della valle del Neirone può valere, indirettamente, anche il fatto che nella carta d'Italia del Tolomeo laurenziano, delineata circa un secolo e mezzo dopo la composizione del canto decimonono del Purgatorio, il nome Lavagna è assegnato alla corrente che solca la valle di Fontanabuona. E un nuovo argomento per la identificazione di Siestri nell'odierna Sestri Levante può essere offerto dalla considerazione che nelle carte portolaniche del tempo, che Dante indubbiamente consultò, i fiumi venivano rappresentati di regola solo con un'interruzione nella figurazione della costa, ossia soltanto alla foce.

Dante dovette vedere cogli occhi suoi la « fiumana bella » ; l'ultimo tratto se non tutta la valle inferiore del Lavagna che il Bassermann chiama « giardino altrettanto rigoglioso quanto i campi di Luni ». 55) Allora, quando già da circa mezzo secolo sulla sinistra del fiume (presso il palazzo dei Fieschi che ancora serba, malgrado il lungo abbandono, le grandi finestre quadrifore) la basilica era stata condotta a termine da Ottobono, e da quasi un secolo era stato gettato da Ugone Fiesco il ponte detto ora «< della Maddalena» che Dante probabilmente varcò, la linea di costa doveva essere, presso lo sbocco della « fiumana bella », assai diversa dall'attuale, perchè negli ultimi sei secoli il lavorio dovuto al moto radente delle acque sospinte dai venti dominanti è stato qui particolarmente intenso. 56) Probabilmente il Poeta, movendo per terra da Siestri - dove, nel quarto decennio del decimosecondo, i Genovesi avevano alzato il castello nell'erto promontorio che può, tuttora, essere detto «isola », poichè l'istmo, che raggiunge appena due metri e mezzo d'altezza, è coperto dalle onde, durante le grandi mareggiate — sostò a « Chiaveri » che, nel quinto decennio del secolo decimosecondo avea visto sorgere un altro castello genovese. E percorrendo qualche tratto della via Aurelia, che solo verso il termine dell'età repubblicana toçcò « Cemenelum >> (Cimiez), presso « Nicaea », Dante potè raggiungere Génova, forse scendendo per l'attuale « salita Noci », che serba tuttora la caratteristica impronta dei ripidi cammini che il viaggiatore del primo trecento doveva inevitabilmente percorrere anche quando era alle porte di tante città e di tanti borghi di Liguria.

Al tempo del presunto soggiorno dantesco, Genova, la cui popolazione, malgrado le lotte assidue che armano, gli uni contro gli altri, «paire, frai, barba e coxin », non è lontana dai centomila abitanti, è veramente soggiorno che merita l'ammira

zione dei forestieri i quali, come i convenuti al Capitolo generale dei Frati minori nel 1302, di cui canta l'Anonimo contemporaneo, <«<e per carrogi e per contrae, | an visto torre e casamenti | tropo beli convenenti ». 57) Alte torri poderose, come la fosca minaccia degli Embriaci, vigilano, temibili fortezze, i palazzi severi che serbano nel loro interno meraviglie d'arte e, come quelli di Damasco, insospettata freschezza di giardini. Le basse case di legno, facile preda agli incendi che l'ira fratricida ha reso così frequenti, cedono generalmente il posto alle ricche case di pietra e mattoni, di tre o quattro piani, oltre al terreno (in pietra, generalmente, fino al secondo piano), con stanze, con caminate abbellite da affreschi, con agili colonne alle finestre, e supporti per i lunghi remi posanti dalla lotta col mare. Le cave di Capo di Faro (Code-far) e dei dossi di Carignano e di Albaro offrono la materia prima alla costruzione; la pietra nera di Co-di-monte (promontorio di Portofino) offre l'elemento primo, per la decorazione in cordoni e sagome. Nei fondaci, le merci più varie e preziose: piume e pelliccie; perle, cammei, topazi, smeraldi, rubini, zaffiri e diamanti; vasi per acqua di rose e miracoli di oreficeria; lana di Provenza e di Sardegna, tela di Costanza o della Sciampagna e seta di Calabria o di Scio, filati di Sicilia, di Spagna e di Scozia, arazzi di Francia, drappi fiamminghi, turcheschi e tartari; vetri di Altare e corallo di Capodimonte; filigrane di Barberìa e pietre d'Oriente; bibbie, romanzi di cavalleria miniati, pentole dorate di Bugia; noci moscate dell'ultimo Levante che Genova importerà, con altre droghe, e particolarmente pepe, in Germania, per le vie dell'Adige e dell'Adda. Presso la darsena, son tracce della colonia pisana così fiorente (attorno alla Chiesa di S. Torpete, costruita verso la metà del XII) prima della lotta terribile, da cui trarrà non lieve beneficio Marsiglia; è la prigione che avrebbe accolto nel 1298, dopo Cùrzola (il frammento ambrosiano lo vorrebbe prigioniero in altro scontro, presso la riva meridionale anatolica), Marco Polo. Presso il molo, ricostruito nella seconda metà del dugento, «con saxi e mata e con cazina », con tale dispendio «< chi pu costa in veritae | car no var una citae », vigilato da « un gran fanà», alla distanza ď« un miiar» da quello di Capo di Faro, trovasi assai largamente rappresentato l'elemento greco, come il lucchese presso la riva sinistra del Bisagno, attorno alla chiesa di Santa Zita, e il fiorentino presso San Giorgio e San Donato. Legate alle corone son le belle navi dominatrici: la forza di Genova «che per grevi accidenti | ne armora ben duxenti ». Attorno alle << logge », ossia ai luoghi di Dante e la Liguria.

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pubblico convegno dell'elemento straniero, e per le vie e le piazze della città murata che ha già varii cunicoli sotterranei per lo sfogo delle acque e conta, a somiglianza dei centri musulmani, varii bagni pubblici, tra cui quello « pro usu hominum » in Fossatello, ricordato in un documento del 1308, è tutto un mondo pittoresco «<e de citae e de riuera » e di gente «< strangera », legata talvolta a Genova da trattati analoghi a quello del 18 gennaio 1303 che concede agli amalfitani libertà di « vendere, permutare et negociare de rebus et mercibus eorundem ». Gli uomini, se anche è andata in disuso la lunga tunica, a pieghe sfarzose, rappresentata nel codice parigino degli Annali di Caffaro (generalmente bigia; bianca per i magistrati del Comune), vestono pur le toghe il cui ricordo farà dire a Paolo Foglietta, nella seconda metà del Cinquecento: << Pareimo tutti Tullij e Salamoin »; indossano panni rossi o neri, e portano berretti a foggia di cocolla, mentre le donne cingono il capo d'un velo. Cosicchè, verso il tempo in cui Genova afferma il suo predominio nel Mediterraneo che sarà, sei secoli dopo, lumeggiato da uno studioso austriaco, 58) l'Anonimo può così cantare dei suoi cittadini: «< cascaun par un marchese.... e le done si ben ornae | paren reine in veritae » (ed. Parodi, I, V. 2, 5-6). 59)

Del soggiorno di Dante in Genova non abbiamo alcuna prova diretta, decisiva; ma le prove indirette sono tali da farci ritenere che in Genova Dante, effettivamente, fu. Se Genova non appartiene a quella che potrebbe dirsi la prima serie dei luoghi italici visitati dal Poeta, cioè quella per cui abbiamo l'affermazione incontestabile di documenti, analoghi a quelli di Sarzana, essa appartiene indubbiamente alla seconda: cioè alla serie dei luoghi per cui le attestazioni dei biografi trecenteschi (Boccaccio) e, in genere, dei più antichi commentatori sono così esplicite da rendere grandemente verosimile l'ipotesi d'un effettivo soggiorno dantesco. Semplice ipotesi è quella che il Poeta sia stato in Genova, ospite dei Fieschi, per pratiche di Alagia vedova di Moruello Malaspina che già aveva accolto il Poeta in qualche suo castello di Lunigiana. E semplice ipotesi che acquista particolare credito solo dopo il racconto del Foglietta, è quella che spiega, come una ritorsione all'offesa personale, gravissima, ricevuta da Branca d'Oria, 60) l'invettiva feroce :

Ahi, Genovesi, uomini diversi

d'ogne costume, e pien d'ogni magagna,

perchè non siete voi del mondo spersi?

(Inf., XXXIII, 151-3).

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