Slike stranica
PDF
ePub

«< Veniciam tignosi 67) tuti degni de bruxar »; egli intuisce che la distribuzione dell'elemento genovese su tante aree terrestri diverse per condizioni geografiche, potrebbe tradursi facilmente in un duraturo influsso civile. E poichè dalla conoscenza diretta ch'egli ha d'una parte, forse assai esigua, dell'elemento genovese è indotto a ritenere che l'attività genovese sia esclusivamente diretta all'acquisto egoistico di ricchezza, e non miri alla produzione di beni oggettivi e durevoli, Dante è coi Genovesi eccezionalmente severo. Ma la stessa estensione formale della condanna alla totalità dell'elemento genovese distribuito nelle più diverse plaghe terrestri, ossia la stessa forma dell'invettiva, presuppone in Dante a cui può anche sfuggire il valore spirituale «< celato nell'apparente idolatria del commercio estesa alla stessa cultura >> 68) un grande concetto della potenzialità dell'elemento genovese: potenzialità di cui è documento notevolissimo l'influsso civile più volte secolare, esercitato sull'isola di Scio. Non diversamente l'amore della sua Genova nativa, dilaniata fra il 1264 e il 1270 da discordie e tumulti, minacciata dalla forza di Venezia, detta a Bonifacio Calvo, prima dell'augurio di vittoria sulla rivale il grave giudizio: «Questa gente selvaggia genovese Ove senno e valor nessuno apprezza Irta sempre di odio e di contese »> (Parafrasi, dal provenzale : A. Restori).

Ipotesi, ma ipotesi grandemente probabile è quella del soggiorno di Dante nella città che l'epinicio di Ursone (1241) aveva proclamata più gloriosa d'ogni altra, dall'ultimo Levante all' ultimo Occidente (v. 654-85; 810-29), e l'enciclopedia geografica di Edrîsî, dettata a mezzo il secolo decimosecondo alla corte di re Ruggero, aveva celebrato per eccezionale virtù guerriera e civile, per l'altissimo spirito dei suoi figli: 69) nella città di cui l'Anonimo, esaltatore della forza navale dei suoi cittadini correnti tutti i mari della Terra (» lor naviglio è sì grande per tuto lo mar se spande »), canta la grande flordezza economica:

Zenoa è citae pinna

de gente e de ogni ben fornia:

con so porto a ra marina
porta e de Lombardia. 70)

E non si può escludere, in modo assoluto, che l'Anonimo il quale accenna particolarmente al porto di Genova possa qui, col termine Lombardia, riferirsi al solo entroterra appenninico del porto stesso, poichè nello stesso componimento che esalta Genova <«< guarnia de streiti passi | e de provo e de loitam | de montagne

forti xassi», ricca di « merchantia | de Romania e d'otrar mar | e de tuti li aotri logar», fastosa di «xamiti, drapi dorai » e sfolgorante di fondaci che «se la fosse cosa honesta » non dorebbero esser chiusi mai, nemmeno alla domenica, egli dice epressamente (v. 65-8):

che se Lombardo o atra gente

ge vennem per qualche accidente,
la vista de le belle yoie

gi fan torna le borse croye.

Nè il valore territoriale che il termine Lombardia ha per l'Anonimo può dirsi fissato là dove egli, personificando la sua città nativa in una donna «pinna de seno e de bontae | d'onor, costumi e cortesia », dice di Genova (« richa d'ogni beneixon | terra, dinar e possession »): « non è soa par in Lombardia » (ed. Lagomaggiore, LXXXVI, v. 11). Può anche ammettersi che il bisogno di spiegazione etimologica basti a spiegare l'espressione : « porta è di Lombardia ». Certo è che la spiegazione etimologica contenuta già nel Liber derivationum, tuttora inedito, di Uguccione (oriundo pisano; m. nel 1112), vescovo di Ferrara, maestro al futuro Innocenzo III, 71) guida Giovanni Balbi ad un'affermazione analoga, pienamente giustificata dalla funzione effettivamente esercitata, per la sua posizione geografica, dall'emporio genovese alla fine del dugento: «a Janua, porta, dicta est Janua quaedam civitas potens, nobilis, pulcra et dives iuxta mare sita et etiam quasi introitus et porta lombardiae, tuxiae, provinciae ». 72) Risulta, ad ogni modo, anche dal passo degli Annales Januenses relativo all'aiuto inviato, su navi genovesi, nel 1274, da Alfonso X di Castiglia al Marchese di Monferrato (« Guglielmo Marchese ») il quale nove anni prima ha favorito la calata del « Nasuto», che ai tempi di Dante esisteva accanto al valore ampio del termine Lombardia anche un valore stretto, che non comprendeva il territorio genovese. 78)

Dante conobbe indubbiamente la forma dialettale Zenoa (Zenoua nell'atlante Luxoro), oltre alle forme Gienoua o Gienova, corrente nelle opere volgari (Novellino; 7) volgarizzamento del Tesoro) e la forma «Janua» (ricordata nelle carte del Vesconte) su cui è foggiato il nome che egli dà a chi parla il dialetto genovese e allo Stato di Genova. 75)

Quando sia apparsa per la prima volta la forma lanua o Ja76) che dopo il Mille sembra sostituirsi definitivamente alla forma classica di Genua (conservata nelle carte di Hereford del

nua

l'ultimo dugento), ") preferita dal Petrarca, 78) non è possibile stabilire con sicurezza. Ma che la comparsa della forma Ianua o Janua sia da ritenersi anteriore al 987, anno in cui essa appare in una lettera originale del vescovo genovese Giovanni ricordata nel Chronicon quattrocentesco dello Stella pubblicato dal Muratori, "") credo si possa argomentare non solo dal fatto che la forma lanua s'incontra in tutti i manoscritti della lettera di San Gerolamo (331-420) citata dal Mannucci, ma anche da un altro elemento. Nella tipica rappresentazione dell'Italia in figura di aquila conservataci dal prezioso Solino ambrosiano del primo trecento 80) ove sono tipi cartografici dell'età imperiale, ricorre la forma lanua, dovuta più probabilmente all'archetipo da cui il codice venne copiato, che non al bisogno, sentito dal trascrittore del codice, di sostituire alla forma fissata nell'originale (Genua) - che egli mostra di comprendere solo imperfettamente là dove trascrive la dicitura relativa alle sorgenti del Pola forma viva al suo tempo.

Dante non ci ha lasciato nessun accenno descrittivo sulla città che il Petrarca chiama «imperiosam urbem, lapidosi collis in latere, virisque et moenibus superbam »81) e di cui Fazio degli Uberti, che la dice «< racchiusa tra il Bisagno e la Poncevere >> (III, 5) e ricorda un costume, propriamente non esclusivo alle sue donne, 82) così canta:

Nobile e grande è la città di Genova,

E più sarebbe ancora se non fosse

Che ciascun dì per sua discordia menova. 83)

Ma che Dante abbia soggiornato nella città di cui il portolano di Pietro Versi descriverà nel 1444 quasi un secolo e mezzo prima del famoso Specchio del mare fiammingo 84) — il dromo d'atterraggio, 85) risulta grandemente probabile, se si tien conto dell'invito rivolto al Poeta da Giovanni del Virgilio:

Dic Ligurum montes, classesque Parthenopeas,
carmine quo possis Alcide tangere Gades.

(Egl., I, 29-30).

Quando Giovanni, maestro d'eloquenza latina a Bologna, chiede al Poeta (<< Pyeridum vox alma »), che ha cantato in volgare («< carmine laico ») i tre Regni (« triplicis confinia sortis indita pro meritis animarum »), di affidare la propria fama a un carme latino, che solo può essere inteso da tutto il mondo d'Occidente, tenendo egli in poco conto il volgare (<«< clerus vulgaria tempnit »),

gli propone, oltre ad argomenti mitologici e bucolici, propriamente classici, due temi moderni: i monti di Liguria e le squadre del re di Napoli. Quanto alle squadre del re Roberto, non è necessario pensare che il Poeta abbia dovuto effettivamente ammirarle nel golfo di Napoli perchè egli possa avere gli elementi necessari per esaltarne la pompa e la forza politica. 86) Ma, quanto ai monti della Liguria, appare più che fondata la supposizione che Giovanni del Virgilio parta dalla considerazione che al Poeta non fa difetto un elemento necessario all'originalità della sua rappresentazione: l'osservazione diretta della montuosità ligure, tipica per ripidità di cammini.

Stretto orlo costiero, addossato all'erto pendìo alpino-appenninico, ove un popolo rude di cacciatori e pastori errante sugli aspri gioghi petrosi venne a contatto con un popolo di pescatori che fin dalla remota antichità si addestrò negli urti collo straniero venuto d'ogni riva del Mediterraneo, creandosi così, nei millennî, due tipi interferenti di vita economica e sociale, 87) la Liguria vive nell'opera dantesca, in tutte le sue caratteristiche salienti. Splende nell'opera di Dante la bellezza delle impervie pendici tra Lérici e Turbìa; traspare il dialetto che porta l'influsso dell'asperità e della dolcezza del suolo, oltre quello della diversità degli elementî etnici approdati, nei varî tempi, agli ancoraggi della « Riviera ». Ma più grandeggia la forza delle correnti migratorie liguri, creatrici perenni di ricchezza per singolari attitudini mercantili, adattate agli ambienti geografici più diversi, alle varie aree terrestri dall'abilità ardita dei navigatori liguri che due secoli prima del prodigio di Colombo, ispirava la concezione del « folle volo » d'Ulisse. 88)

PAOLO REVelli.

NOTE.

1) Oltre a questa redazione del 1448 pubblicata a Parigi nel 1520 dall'ASCENSIO (in aedibus I. Badii Axensii), e riprodotta nella collezione del Cambier (Italiae illustratae.... scriptores, Francoforte, 1600, XII), si ha la redazione della quale il Mabillon ha pubblicato, da un manoscritto appartenente a Cristina di Svezia (ora Vat. Reginense), l'introduzione: ossia la lettera sulle quattro famiglie patrizie genovesi scritta dal Bracelli a Enrico de Merla o Merlo, legato di re Carlo VII di Francia (G. Mabillon et M. Germain, Musaeum Italicum, I, p. 225-7). Di questa redazione si conservano in Genova due copie manoscritte: una all'Universitaria, l'altra alla Beriana. E si ha anche una terza redazione, senza titolo, acefala e mutila. Delle tre redazioni si occuperà, in un suo prossimo studio sull'opera geografica del Bracelli, Giuseppe Andriani che già trattò

del Bracelli a proposito del portolano di Francesco Monno, del primo seicento (Universitaria di Genova), da lui particolarmente illustrato nei riguardi della Liguria («< Atti Società Ligustica », 1917) e dell'Asia Minore (« Bollett. d. R. Soc. Geografica Italiana », 1918). Cfr. il vol. che verrà edito dalla « Società Ligure di Storia Patria >> in occasione del IX Congresso Geografico Italiano, Genova, 1924.

2) Palat. lat., 948, 105 r.; Italia illustrata, Regione settima, Vers. di L. Fauno, Venezia, D. Giglio, c. 164 v.: « tutta questa contrada [fra il Po e l'ultimo tratto del corso del Ticino: centri principali, per il Biondo, « Mortara buona terra, e Laumelo hora picciola, ma ricca già, e celebrata molto ne le istorie »], posta quasi in isola, da Laumelo [che darà nome alla Contea, le cui vicende furono illustrate da MARIO ZUCCHI: Lomello, Misc. Storia it., Torino, Serie III, t. IX] è chiamata Laumelina, e vi sono alcune terre e vichi, e secondo Plinio, vi si fa assai, ed ottimo lino »>.

3) L. GALLOIS, Les noms régionales de la France, Paris.

4) Vana riuscirebbe, probabilmente, la ricerca intesa a stabilire in quale tempo appare per la prima volta la forma Magra.

5) Qui si astrae dagli « inclusi » e dal dominio sul territorio della Repubblica eserci tato temporaneamente, nel trecento, da Roberto d'Angiò e Carlo VI di Francia, e, nella prima metà del quattrocento, dal Marchese di Monferrato e dal Duca di Milano. Come appare dallo studio dello Sforza, relativo alla storia di Pontrémoli, e rileva anche Ubaldo Mazzini, la Macra fu ritenuta generalmente linea di confine fra Liguria e Toscana anche dopo che Génova estese il proprio dominio al di là della riva sinistra del fiume su Santo Stefano, Sarzana, «< castella e ville vicine fino alla Parmignola » (Valdimagra e la Magra, in «Dante e la Lunigiana», Hoepli, 1909; cfr. p. 94).

6) C. DESIMONI, Sulle Marche d'Italia: « Atti ď. Soc. Lig. di Storia Patria», XXVIII. 7) « Colle della Tenda » nella carta <<< Italia nuova » del Magini (1608) dove l'APpennino s'inizia a levante dell'alto Tánaro.

8) U. VALBUSA, La catena del Monviso, in Riv. Mens. del Club Alpino Italiano, 1920 e segg.

9) Il planisfero a colori che ornò l'altare di una cappella nella cattedrale di Hereford (Inghilterra occidentale), a circa 22 chilometri dall'attuale confine gallese, e fu scoperto nel 1682, è assai più ricco di nomi che non quello avente una superficie circa cinque volte maggiore (10 metri quadrati) scoperto uel 1834 in un antico convento di monache dell' Hannover, presso il limite della landa di Luneburgo. Il planisfero di Ebstorf risulta indubbiamente posteriore al 1270; può ritenersi posteriore, forse di qualche anno, al planisfero di Hereford (1276-1283). Ĉfr. K. Miller, Die ältesten Weltkarten, in 6 fascicoli, Stuttgart, 1895-8.

10) C. 246 Inf.: cfr. f. 11 v.

11) « Atti dell' VIII Congresso Geografico Italiano », Firenze, 1922, I, p. 297.

12) Lucano (<< pel medioevo e per Dante.... miniera di notizie storiche, geografiche, astronomiche », anche perchè « possiede la scienza della magìa»: V. USSANI, Lectura Dantis, 1917; cfr. p. 15), il poeta latino più ricordato da Dante, dopo Virgilio e Ovidio, dice dell'Appennino (ch'egli sembra ritenere, dopo l'Olimpo, il più alto monte della Terra), accampato tra il mare Supero e l'Infero: « Fontibus hic vastis immensos concipit amnes, Fluminaque in gemini spargit_divortia ponti. In laevum cecidere latus veloxque Metaurus....» (Phars, II, 403-5). E Mela dice espressamente: «Ad destram sunt sub Alpibus Ligures, sub Apennino Etruria » (II, 4).

1320-21

13) L'Italia nella Divina Commedia, Milano, Treves, 1923 (pp. 243 in-4. gr., con la riproduzione diplomatica, a grandezza naturale, del planisfero vaticano-palatino di Pietro Vesconte e una carta, « L'Italia di Dante », ricostruzione sommaria d'un commento grafico trecentesco alla D. C.). Cfr., inoltre, il mio scritto: Dante e le carte genovesi del suo tempo, nella rivista Gazzetta di Genova, nov. 1921. 14) Dalle ricostruzioni millenarie dei planisferi di Orosio e di Isidoro possono dedursi le seguenti conclusioni: 1.° Orosio che usa la denominazione Ligusticus sinus nel senso di « Golfo di Genova >> o di « parte interna del Mar Ligure », usa il nome Alpes Cottiae » in senso orografico, estendendolo a tutta la sezione occidentale delle Alpi, mentre indica col nome di « Alpes Poeninae » la sezione a levante delle sorgenti del Reno; 2. Isidoro, che ricorda Genova col suo nome classico (Genua), comprende fra le quattordici o quindici regioni italiane anche la « Gallia cisalpina » i cui limiti sono difficilmente determinabili.

Delle undici regioni italiane ricordate da Alberto Magno (De natura locorum) cinque possono considerarsi come corrispondenti ad altrettante regioni dantesche. 15) MILLER, op. cit., fasc. IV, 1896: Die Hereford Karte, con due carte intercalate nel testo, e una tavola a colori, che riproduce il planisfero.

16) Non si può escludere che il nome

[ocr errors]

Alpes Cottiae » (il Biondo comprende in questa denominazione anche il gruppo del Monte Rosa), si sia esteso, verso mezzogiorno, sino a comprendere l'area delle Apuane.

« PrethodnaNastavi »