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17) Così ritenne anche il Gabotto, il quale ricorda che la provincia delle « Alpes Cottiae », estesa in origine ai soli municipii « di Maurienna al dì là dei monti e di Segusio al di qua», doveva comprendere allora anche Caburrum [Cavour] ma non ancora Pollentia [Pollenzo] che la Notitia dignitatum utriusque Imperii (Berlino, 1876) pone in «< Liguria», mentre Giordane, parlando della battaglia fra Alarico e Stilicone, la collocherà nella provincia delle « Alpes Cottiae ». Cfr. F. Gabotto, Storia dell'Italia occidentale nel Medio Evo, 395-1313 (« Bibl. d. Soc. Storica Subalp.», LXI, vol. I, 1911, p. 2-3).

18) Framm. 26. Ecateo, che descrive condizioni che risalgono al penultimo decennio del secolo sesto, colloca nella Ligustiké non solo Mónoikos, ma anche Massilia. E ciò in pieno accordo colla tradizione antichissima (la cui fondatezza appare confermata anche da recenti ricerche), la quale estende l'area dei Ligures, ossia del gruppo di popoli noto sotto questo nome, «< dall'Arno sino alla Provenza, anzi sino alle coste di Gibilterra» (E. Pais).

Il discusso passo di Procopio (I, 15), nella forma in cui ci è pervenuto, non permette certamente l'illazione che i Atyouptor [Ligoúrioi] si stendano solo sulla sinistra del Po, dato l'esplicito accenno che è in esso ad Alba (Pompeja).

19) Causa di confusione è notoriamente anche il fatto che i nomi di Alpes Cottiae, Alpes Maritimae (provincia gallica, nel IV secolo) hanno ora valore di regione politicoamministrativa ed ora di circoscrizione ecclesiastica.

20) Cito dall'edizione di Lione, del 1506. Il Balbi dà, intorno alla etimologia del nome Liguria, la stessa spiegazione (« dicta sic ab abundantia leguminis, unde a legumine dicta »>) che ricorre, oltrecchè in Paolo Diacono, nella descrizione quattrocentesca della Vaticana (Vat. lat. 8086: 258 ff. num.; cfr. 68 v.), trascritta « ex codice vetustissimo », cioè da un codice dell'alto medioevo, che riferisce, sostanzialmente, la divisione dioclezianea collocando nelle « Alpes cortie » (Cottiae) Tortona e Bobbio, Genova e Savona (probabilmente anche Mónaco), e chiamando Liguria la regione a nord del Po, estesa forse sino all'Adige. Leggiamo infatti nel Vat. lat. 8086, dove l'Italia appare divisa in diciotto provincie (comprese le tre grandi isole): « Liguria a legendis id est colligendis leguminibus quorum satis ferax est nominata. In qua mediolanum est et ticinum quod alio nomine papia appellatur ». È da notarsi che la stessa divisione dell'Italia in provincie appare, sostanzialmente, nel Palat. lat. 965 (cod. miscell., forse trascritto nel 1360: 268 ff., 23,4×31,8; iniziali miniate, rubriche in rosso) dove il numero delle provincie italiche sale a diciannove, facendosi del Friúli, indubbiamente compreso nell'Italia, una provincia a sè, per ragioni linguistiche che interessano particolarmente gli studiosi del neo-latino : Forum Julii est provincia per se distincta ab aliis provinciis praenominatis quia nec latinam linguam habet nec sclavicam neque theotonicam, cum ydioma proprium habet nulli italico ydiomati consimile ».

Interessa il rilevare che, mentre nella «< Descriptio provinciarum Italiae et quas olim provincias obtinebat» che forma la 23.a scrittura del Pal. lat. 965 (f. 240 r.-242 v.) l'attuale Liguria risulta compresa nella provincia delle Alpes coccie, nella 22. scrittura dello stesso codice (« Descriptio et diuisio Galliarum: f. 240 r. ») Genova appare collocata nella Lombardia: «Janua ciuitatum lombardiae opulentissima» (f. 238 r.). 21) C. MANFRONI, Storia della marina italiana, Dalle invasioni barbariche al trattato di Ninfeo, 400-1261, Livorno, 1899, pp. X-513.

22) ARTURO FERRETTO, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, in Atti d. Soc. Ligure di Storia Patria, XXXI, fasc. I e II, 1901 e 1903: cfr. II, 1275-1281, p. LXII. Cfr. anche I, 1265-1274, p. 322 (1'8 gennaio 1274 l'appalto della gabella della carne e del formaggio « dal Corvo sino a Mónaco » viene subaffittato da Federigo Cassaio a due mercanti pisani: Bonizo e Tingo) e II, p. 6 (gli Statuti dell'arte dei balestrieri, costituiti il 18 e 28 febbr. 1275 in Genova, vietano di vendere balestre « oltre il Corvo e Mónaco »>).

28) Atti d. Società Ligure di Storia Patria, XIII; FERRETTO, Codice diplomat., I, p. XLII e segg.

24) ARTURO FERRETTO, nel giornale Il Cittadino, di Genova: 22 ott. 1920; Cod. diplom., cit.

25) La personalità storica di F. di Marsiglia, Bologna, 1899, 2.a ed.; Dante, Vallardi; Bull. d. Soc. Dantesca Ital., IV, 65.

26) Folchetto che a Marsiglia il nome ha dato

d'amore, IV).

- Ed a Genova tolto (Trionfo

27) « Genova non estese mai, non perchè non le importasse, come crede il Bassermann, chè anzi lo tentò più volte, ma perchè non lo pote, il proprio dominio sulla sponda destra della Magra al disopra della confluenza col Vara» (U. Mazzını, Valdimagra.... in op. cit., pp. 102-3).

28) Questa derivazione, accolta da Ubaldo Mazzini (Lerici, in Dante e la Lunigiana, pp. 134-150; cfr. p. 136), è indubbiamente preferibile a quella suggerita dal nome

dell'erica (S. L. ASTENGO, La Liguria e La Divina Commedia, Campobasso, Colitti, 1920; « Collana Colitti », N. 61), pp. 32 in-8.o; cfr. p. 15. È superfluo il rilevare che, quando il nome di Lérice, Lérici venga connesso col nome locale del leccio, l'analogia col nome dell' Erice di Sicilia denominazione che non corrisponde sempre al solo monte San Giuliano o Gábal Hamid di al-Edrîsî, alto 750 metri e tipicamente individuato, ma talora all'intiero rilievo fra Drepanon e Panormo, che supera i 1300 metri] risulta puramente casuale. Cosicchè solo a proposito di Segesta e di Entella si potrà pensare, eventualmente, a un'omonimia dovuta a ragioni etniche, ossia alla possibilità di uno stanziamento di Elimi anche nella Liguria orientale. Il fatto che il nome dell'Erice ligure manca ai più autorevoli e più antichi codici delle tavole di Tolomeo (ad es., al Tolomeo greco dell'Ambrosiana) non per sè sufficiente a escludere la possibilità dell'esistenza dell' Erice ligure nell'antichità, esistenza ammessa dal Pais (Storia della Sicilia e della Magna Grecia, I, 56, 78, 493), che anche recentemente così scriveva: «È stato più volte notato che nell'estremità occidentale della Sicilia esistevano tra loro vicine le tre località di Segesta, di Erice e di Entella, che trovano un perfetto riscontro nel gruppo delle tre località di Segesta, Erix ed Entella situate tra il golfo della Spezia e Chiavari » (Tradizioni antiche e toponomastica moderna a proposito di Liguri, di Umbri, di Etruschi e di Piceni, Roma, R. Accademia dei Lincei, 1918, pp. 24: cfr. p. 10).

-

29) GAETANO ROVERETO, Geomorfologia delle Valli Liguri («Atti d. R. Università di Genova », XVIII), 1904, pp. 226 in-4.o. con 1 c., 3 tav., 50 incis. nel testo: cfr. p. 10. 30) L'area dell'attuale Liguria caratterizzata da maggiore franosità è quella sciroccale, a levante del meridiano di Sestri; le plaghe franose di area nota risultano generalmente comprese fra i meridiani di Sestri Levante e di Déiva, a distanza non relativamente grande dal mare, mentre nell'interno, presso il confine dell'alta Lunigiana, prevalgono anche per la maggiore difficoltà della documentazione le plaghe franose di area incerta. La franosità nell'attuale Liguria risulta notoriamente molto meno intensa che non nel contrapposto versante dell'Appennino settentrionale, tra la Scrivia e la Trebbia, e particolarmente tra il Nure e il Reno. Cfr. ROBERTO ALMAGIA, Studi geografici sulle frane in Italia, I, L'Appennino settentrionale e il Preappennino tosco-romano, Roma, 1907 (in Memorie d. Società Geografica Ital., vol. XIII, pp. 345 in-8.o). Nel Prospetto Cronologico delle principali frane (Almagià, I, p. 327) che trascura le frane di data o di ubicazione incerta, non vengono ricordate frane prodottesi nell'età di Dante; sono però citate la frana del 1222 che distrusse il paesello di Sassolato in Val Dragone (Secchia) e quella del 1335 nel versante settentrionale del Falterona, la quale seppelli il paese di Castagno.

31) UGHELLI, Italia Sacra, I, 849.

32) Unitamente al « castrum Petre Tecte» e al «< castrum de Figarolo », che devono essere distrutti (Liber Jurium Reip. Genuensis, I, 288). Fin dall'aprile del 1152 il Comune di Genova, pagando 29 lire di moneta lucchese, ottiene dagli uomini di Arcola il feudo di cinque parti «< in monte Ilicis » con la condizione che «si Januenses ibi castrum edificaverint, predicti homines de Arcula debent habere medietatem de predictis quinque partibus, preter de turre et domignone » (Liber Jurium, I, 161). Il 10 ottobre 1254 Guiscardo da Pietrasanta, podestà, e Guglielmo Rangone, capitano di Firenze, sentenziano, nella loro qualità di arbitri, che il Comune di Pisa restituisca a quello di Genova il castello di Lérici (Liber Jurium, I, 1201). Il 5 giugno 1256 il podestà di Genova promette ai procuratori degli uomini e borgo di Lerici, qualora essi cedano al Comune di Genova castello e torre, le immunità e i privilegi concessi agli abitanti di Portovenere; e l'atto viene confermato da Oberto Doria il 6 marzo 1274 (Liber Jurium, II, 39). Sul porto di Lerici: Da Uzzano (1440, mscr. Guillot; ed. 1766). 33) L'importanza che ha, al tempo di Dante, il porto di Lérici nelle comunicazioni marittime viene così riassunta da UBALDO MAZZINI: «i più passata la Magra al traghetto e varcato il basso valico di Bàrcola sul Caprione, scendevano a Lérici dove trovavano sempre il mezzo di proseguire il viaggio per mare » (Lérici, op. cit.: cfr. p. 145). 34) Carte numerate 80, oltre a tre bianche, in-4.o (« Finito lo libro chiamado portolano composto per uno zentilomo veniciano.... Impresso in la citade de Venexia.... 1490 adi 6 nouembrio»: f. 79 v.). Ripublicato da CORRADO KRETSCHMER: Die italienischen Portolane, Mit einem Kartenbeilage, Berlin, Mittler, 1909, pp. 688 in 4.o (cfr. p. 159). 35) Secondo l'Hauvette, che ricorda anche un recente lavoro di L. A. Constans (Arles antique, Paris, 1921), la comparazione delle arche degli eresiarchi ai sepolcreti di Arles «nous reporte moins à un paysage réel, qu'à la légende des sepulcres écrasés miraculeusement sortis de terre pour recueillir les chrétiens écrasés par les infidèles aux portes d'Arles» (Études sur la D. C., Paris, Champion, 1922, pp. XV-238 in-16.o; cfr. p. 208). Il passo dantesco ha una così notevole importanza per la questione generale relativa alla possibilità di dedurre, dai versi del Poeta, testimonianze indirette di una diretta visione, che recentemente il Bassermann ha esaminato particolarmente

l'accenno ad Arli trattando appunto dei dati sulle orme di Dante che si possono desumere da cenni relativi a qualche paesaggio (Arles und das Wesen der Landschaftlichen Dante's Spuren, in Deutsches Dante-Jahrbuch, Jena, 1920, pp. 110-135; cfr. per Arli la p. 129 e per Pola le pp. 134-5): il B. esclude che il Poeta abbia visitato Marsiglia, ma non che abbia visitato Arles.

36) L'Italia nella Divina Commedia, 1923; cfr. 37) Ibid., p. 218.

P. 10.

38) EUGÈNE GALLOIS, La poste et les moyens de communications des peuples à travers les siècles, Paris, BALTIÈRE, 1894, pp. 382 in-16.o.

39) 426-9: « Acta SS. Bolland », ed. 1643, genn., II, p. 15-6.

40) Le guerre d'Augusto e i popoli alpini, Loescher, 1900.

41) Trascrivo dal Palatino latino 948 (cod. lat. membr., della seconda metà del sec. XV, di 191 ff., oltre a un f. di guardia: 20X28,3; intestazioni in rosso, rubriche marginali in rosso e in nero; iniziali finemente miniate) che ci ha conservato una redazione dell'Italia illustrata la quale meriterebbe un'edizione critica, tenuto conto degli errori che si riscontrano nell'edizione principe dell'opera (Roma, 1474: a cura del figlio Gaspare), in quella veronese (1482) e nella versione di Lucio Fauno (Roma ristaurata et Italia illustrata di Biondo da Forlì, trad. in buona lingua volgare per Lucio Fauno, Nouamente da molti errori corrette et ristampate, In Vinegia, appresso Domenico Giglio, 1558, in-8.o).

42) I codici vetustiori, invece di « cacume» o di «e in cacume », per cui le citazioni di salite inaccessibili risulterebbero soltanto due, hanno « Caccume»: lezione che viene spiegata dai più col riferimento a una vetta dei Lepini dominante la valle longitudinale del Sacco.

43) Dante's Spuren in Italien, Heidelberg, 1897 (Carta alla scala di 1.2.750.000; cartina della Toscana e orlo occidentale della Romagna); 1898; trad. it. di E. Gorra, Bologna, Zanichelli, 1902 (p. 202: «Oltrepassato il dorso del Capo [di Noli] si arriva [da Finalmarina] a uno svolto di via in un luogo più ampio, in una specie di spianata, ove la rupe si sporge a guisa di piattaforma. A cagione del terreno più vicino sono discendenti declivii celati allo sguardo, sì che l'occhio, non posando su nessun punto intermedio, corre, come preso da vertigini, nel profondo, ove la piccola città appare sulla marina >>). Non appare persuasiva la rappresentazione fotografica (non dovuta all'autore) che troviamo a commento di «< discendesi in Noli », a p. 96 del libro di Vittorio Alinari: Il paesaggio italico nella «Divina Commedia» (con prefaz. di G. Vandelli, Firenze, Alinari, 1922. In questo libro sarebbe molto opportuna, oltre alle vedute di Lérici e Turbía (pp. 88-89), una figurazione appropriata di cammino ripidissimo entro questi due termini; e sarebbe anche desiderabile l'indicazione precisa del punto da cui sono state tolte le vedute in gran parte molto interessanti, come quella dell'area di Genova dominata da una torre che Dante potè contemplare.

44) Il 9 giugno 1177 sulla piazza di San Bartolomeo di Corneto, Gerardo del quondam Rolando Giudice, Conte di Corneto e .... consoli dei mercanti di detto luogo, promettono a Enrico Giudice, ambasciatore del Comune di Genova, pace e sicurtà per anni 31 ai Genovesi e agli uomini del distretto genovese compresi tra Noli e Portovenere in tutto il territorio cornetano dal fiume Mirnone sino al fiume Arrone (A. FERRETTO, Cod. dipl., I, 126. Lo schema del « Castrum Portus veneris »>, figurato nel preziosissimo codice parigino degli Annali di Caffaro, fu opportunamente riprodotto nella nuova edizione degli « Annali Genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori» curata, signorilmente, dal Municipio di Genova (I, Caffaro, trad. di C. RoccatagliataCECCARDI e di G. MONLEONE, con pref. di A. BELTRAMI, PP. IX-229 in-8°, con tav. e ill., Genova, 1923). Merita di essere ricordato il fatto che la denominazione di Portus Veneris, che già appare in una lettera di Gregorio I al Vescovo di Luni (nov. 594), potè, talvolta, estendersi a indicare l'intero Golfo della Spezia.

45) Cfr. in questo volume il denso e lucido scritto di E. G. Parodi. Quando, il 17 nov. 1922, l'insigne dantista genovese mi dichiarava, in Firenze, che questo era fra gli scritti da lui prediletti, nessuno avrebbe pensato che esso sarebbe apparso fra i suoi scritti postumi.

46) FED. FEDERICI, Famiglia Fiesca, p. 129-30 (Genova, per G. M. Farini).

47) ROBERTO ALMAGIA, L'Italia di Giovanni Antonio Magini e la cartografia dell'Italia nei secoli XVI e XVII, Fr. Perrella, Napoli, Città di Castello, Firenze, 1922, pp. 183 in-4. gr., con nove tavole fuori testo: cfr. tav. 2. - La Riviera.... di Levante appartiene alla prima redazione delle carte maginiane della Liguria, e dovette essere, almeno in gran parte, condotta sul disegno che Orazio Bracelli, «prete secolare studioso delle sacre scritture », inviò da Genova al Magini, come risulta dall'autografo maginiano del 20 luglio 1598 conservato nell'Ambrosiana, in un codice pinelliano (S. 94, f. 176-8), ossia dalla lettera diretta dal Magini a persona residente in Padova (che io credo di poter identificare in Giovanni Vincenzo Pinelli, il notissimo mecenate, cultore

appassionato di studi geografici, m. in Padova nel 1603) per difendersi dalle aspre critiche mosse alle sue prime carte della Liguria. L'Almagià ha pubblicato la lettera, preziosa per la conoscenza dei metodi seguìti dal M. nella compilazione della sua opera (p. 155).

48) Questa bellissima carta (f. 114 v.-115 r. del cod. 1. del Pluteo XXX) studiata da Assunto Mori, che ravvisò in essa una fonte della carta d'Italia annessa alla Geografia del Berlinghieri, pubbl. verso il 1480 (Atti II Congresso Geografico Italiano, Roma, 1896, p. 547), è stata riprodotta in fac-simile, in dimensioni ridotte di circa un decimo, in occasione delle nozze Almagià-Mori (Firenze, Tip. Ricci, 1917, con due brevi note preliminari).

49) « in castellania paxani sue Sigestri»: doc. tortonese del 1153: cfr. nota 51; A. CHIAMA, Siestri e là « fiumana bella», in Gazzetta di Genova, 31 ottobre 1918. Le conclusioni di questo scritto, combattute dal Ferretto (Ibid., dic. 1918 e genn. 1919) e difese dal Chiama nella stessa rivista genovese (febbr. e marzo 1919), diedero occasione anche a scritti apparsi in giornali di Genova (Il Cittadino) e di Chiavari (La Sveglia).

50) « Sestri intorno a cui contendono i dotti se abbia a ricercarsi, come tiene Plinio, entro terra, o di presso al mare.... » Così EMANUELE CELESIA (Dante in Liguria, Genova, Tip. Lavagnino, 1865, pp. 75, in-4.o gr.: cfr. p. 37), che si riferisce evidentemente alla possibilità della lettura «< intus et Segesta Tigulliorum », mentre il passo pliniano è ora generalmente accettato in questa forma: « Tigullia intus, et Segesta Tigulliorum » (ÏII, 48; ed. teubneriana, «<rec. Lud. Janus »). Non abbiamo alcun elemento per affermare che Dante conoscesse il dato pliniano sia pure solo attraverso a qualche raccolta analoga al Parig. 4860 del secolo X, che ci ha conservato gli « Excerpta pliniana» tratti da Isidoro e da Beda, o analoga al codice della Capitolare di Lucca, del secolo VIII, con estratti dalle Etymologiae di Isidoro. Cfr. R. Rück, Die Naturalis historia des Plinius in Mittelalter, in Sitz-Ber. d. Philosoph-Philolog. und d. Hist. Classe d. K. bayer. Akademie d. Wissensch. zu München, 1898.

51) Nel Codice diplom. del Ferretto, Sestri Levante appare ricordata 51 volta (26+25): la Sestri «< interna » («< Atti Soc. Lig. II, 2, p. 765) non mai.

52) Sestri, nell'atlante Luxoro (composto verso la fine del secolo XXIII: Beriana di Genova) e nella carta del Mediterraneo orientale del 1311 del genovese Pietro Vesconte (Arch. di Stato di Firenze) la quale è, notoriamente, la più antica fra le carte portolaniche datate.

53) FERRETTO, Cod. dipl.; II, p. 34.

54) Ibid., I, p. 293.

55) A. BASSERMANN, Orme di Dante in Italia: cfr. p. 383.

56) Arturo Issel, Sulla spiaggia di Chiavari, in «Atti della Soc. Econom. », Chiavari, 1908: pp. 12, in-8°,

57) Rime Genovesi della fine del secolo XIII e del principio del XIV, edite e ill. da N. Lagomaggiore, in Arch. Glottologico Italiano, II, 1876, pp. 161-312 (sono CXXXVIII componimenti: cfr. XCI, verso 39; XLIII, v. 132-4). Per quanto riguarda la descrizione di Genova, cfr. particolarmente: CXXXVIII, v. 81-4 (murao a bello e adorno chi la circonda tuto intorno con riva for de lo murao, per che no ge mester fossao); 98-104, 109-112 (zeixa g. e darsena | chi a Pisan albergo da); 119-120 (con tore in grande quantitae | chi tuta adornan la citae); 121-4, 133-7, 143-6 (e como per le contrae | sun le butege ordenae! | che quelli qui sum d'un arte | stan quasi insieme de tute parte). Cfr. inoltre la « Parte seconda» delle Rime, pubbl. dal Parodi (Arch. Glottolog. Ital., X, 1886-8, pp. 109-140), particolarm. I, 1-6, 21-2.

58) J. Caro, Genua und die Mächte am Mittelmeer 1257-1311, Halle, 1892-99, 2 voll. 59) I particolari del quadro sono tolti particolarmente dall'Anonimo Genovese (cfr. la nota precedente) e da documenti del tempo di Dante ricordati nel Codice diplomatico del Ferretto o nella viva ricostruzione del Belgrano: Della vita privata dei Genovesi, 1866 (in Atti della Società Ligure di Storia Patria, IV, pp. 79-273). Cfr. Rime genovesi, ed. Lagomaggiore, XLIII, LXXIII, LXXXV, LXXXVI («De condicione et statu civitatis Janue in persona cuiusdam domine et filiorum »), XCI (« De Dampno parcialitatum »>), CXXXVIII (« De condicione civitate Janue, loquendo cum quodam domino de Brixa »); Cod. dipl., I, p. XI (documento del 1312 relativo a mastro Giovannino, vetraio in Altare; vetrerie in Altare già ricordate nel 1289); BELGRANO, op. cit., pp. 83-9 (casse di legno, in Sosiglia, ric. nel 1251; cave di Capo di Faro, ricordate nel 1225; cave di Carignano e di Albaro, nelle concessioni a frate Oliverio, restauratore del Molo), p. 126 (orerie, coralli e gioie, ramo importante di lucro fin dal secolo XII), p. 128 (onici, calcedonie, pietre dure, anelli d'oro con topazi, smeraldi, rubini, diamanti, ricordati nel Notulario di B. Fornari del 1253); p. 152 (il miniatore De Varisio, con bottega nel Vico del Filo: sec. XIII), p. 162 (commercio genovese delle droghe, dopo le prime crociate), p. 178 (vasi per acqua di rose: doc. del 1312; romanzi di cavalleria ricord. nel 1275). Il documento relativo alla « bottega di spezieria » del 1312, nel quale

sono elencate otto dozzine di pentole dorate di Bugia (Buggea, Par., IX, 92) è nel Notulario di Ambrogio di Rapallo, cart. 10; quello relativo alla caminata [« ove far fuoco d'inverno »] che Baldovino Fornari promette di dipingere a fondo bianco e rose vermiglie nel 1250, è nel Notulario di Bartolomeo Fornari, carta 56 r. Il doc. del 1308 relativo al bagno pubblico di Fossatello è nella Miscell. Poch, della Beriana: fondo Ageno, D.bis 8.7.9. Il bagno pubblico di Rivotorbido, presso l'attuale piazza di Ponticello, è già ricordato nel 1191 (Fol. Not., I, 222); il che prova, ancora una volta, la vanità dell'affermazione che al tempo delle Crociate l'uso del bagno fosse ignoto agli Occidentali. Sul trattato commerciale con Amalfi, cfr. il codice dell archivio delle antiche compere di San Giorgio commentato da G. Grasso («Giornale Ligustico », III, pp. 163-7). Al tempo del presunto viaggio dantesco il commercio fra Genova e l'area che ha ora nome di Piemonte veniva esercitato, in gran parte, da astigiani (G. Rosso, Documenti sulle relazioni commerciali fra Asti e Genova, in Bibl. Soc. Storica Subalp., LXXII, Pinerolo, 1913).

60) UBERTO FOGLIETTA, Clarorum Ligurum elogia, Roma, 1577, p. 80 (I clienti di Branca per punire Dante, ostinato detrattore del loro patrono, «hominem in publicum deprehensum male multarunt »). Non può accogliersi il severo giudizio di Enzo Tuccio, che pure non esclude che il Foglietta abbia potuto essere raggirato dai discendenti di Branca: «il Foglietta tesseva un elogio di Branca d'Oria e, per ritorsione, non si peritò di essere, oltre che bugiardo, anche sacrilego, inventando quell'aneddoto nella vita di Dante (Giudizi di Dante su città italiane, Palermo, L'Attualità, 1921, pp. 180 in-8.o; cfr. p. 105). La vita di Branca è ricostruita, in base a numerosi documenti, nelle sue linee essenziali, dal Ferretto (Cod. dipl. II, p. XXVII e segg.) che raccoglie anche varii dati su Michele Zanche (che, secondo il Besta, non ebbe figli da Adelasia di Torres: La Sardegna medioevale, Palermo, Reber, 1907). Il Ferretto suppone che a «produrre un senso di ribellione nell'animo di Dante» contro Branca intervenga anche il fatto che Branca, volendo assicurarsi i possessi di Gallura, nel 1307 chiede in isposa per il figlio Bernabò, prossimo alla cinquantina, Giovanna, figlia a « Giudice Nin gentil» (Purg., VIII, 53) e a Beatrice Fieschi: Giovanna, che non ha ancora quindici anni, è figlia a una cugina prima di Eleonora che ha sposato lo stesso Bernabò fin dal 1275, ed è tuttora viva (II, p. XXXII-III).

61) Fra il 17 marzo e il giugno, secondo il Ferretto (Cod. dipl. cit., II, p. CXII), il quale ricorda, fra altro, che nel 1253 Nicola Doria, padre a Branca, accoglie in Genova « Michel Zanca de Sassaro ». Nello stesso anno, o in quel torno, Branca avrebbe sposato Caterina figlia a Michele Zanche (ricordato già in un documento del 15 ott. 1259) che egli ucciderà nel 1275, senza che questo impedisca le nozze di suo figlio Bernabò con Eleonora Fieschi, nipote al futuro Adriano V.

62) Uno dei suoi componimenti ha per titolo: De adventu imperatoris in Lombardia in MCCCXI (Arch. Glott. Ital., II, p. 262; ed. Lagomaggiore, LXXXV); e in esso si dice «e age faito un relugor | zo e de novo emperaor.... speranza avemo sa De piaxe | che per tuto fara paxe» (v. 99-100; 113-4). Chi fosse l'Anonimo genovese la cui opera << sboccia e vive fra la gente minuta, senz'altro motivo che l'occasione immediata »>, come dice L. F. Mannucci, (L'Anonimo genovese e la sua raccolta di rime, con appendice di rime latine inedite e tre facsimili, Genova, a cura del Municipio, 1904, pp. VII-272: cfr. pp. 209-210), non è possibile stabilire. Solo può dirsi con sicurezza ch'egli è nato in Genova e scrive fra il 1270 e il 1311: nel 1301 è «gabellator << scriba »> nella gabella del sale in Savona (« pro Comuni ad officium »); nel 1302 partecipa, in Genova, non si sa in quale veste, al Capitolo generale dei Frati Minori di San Francesco; visita varie città e borghi della Liguria fra cui Sestri (Levante) e Voltri; visita Venezia e forse Brescia; e in Genova è ascritto alla Congregazione o Confraternita di Santa Caterina d'Alessandria. Il Mannucci, che inclina a crederlo un laico, vede, giustamente, nell'Anonimo il deliberato proposito di esaltare la propria patria conferendo dignità letteraria al suo dialetto.

63) Ed. Lagomaggiore, LXXXV, v. 105-6.

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64) Poemetto in terzine composto di 33 capitoli di circa 100 versi l'uno (23 capitoli contano precisamente 100 versi; i rimanenti variano da un minimo di 72 a un massimo di 109 versi), dettato in lode di Federico di Montefeltro da un «<< oscuro notaio, vissuto alla corte d'Urbino »: conservatoci dall'unico codice, membranaceo, che contenga le poesie del Gaugelli (Vat. Urb. 692), è stato recentemente pubblicato, in edizione critica, da GUIDO VITALETTI (Per la fortuna di Dante nel secolo XV: Il « Pellegrino» di G. Gaugelli, Firenze, Olschki, 1922, pp. 49 in-4o gr. Estr. dal « Giornale dantesco» di L. PIETROBONO, XXIV, 3-4). Nel poemetto, che ha effettivamente << la struttura di una di quelle compilazioni tra dottrinali ed enciclopediche che il quattrocento amò», come dice il V. (pp. 5-6), così si parla di Genova e dei Genovesi: « La città tucta me par posta in sassi, Casamenti alti e strecte son le strade : Dentorno a quelle son de bructi passi. Sterile e magre son quelle contrade Omin perversi e tucti par

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