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ziali, Bono è tenuto chi el compagno trade. Uccidonsi l'un l'altro i principali, Meglio degli altri san l'arte del mare, Docti pirati a far de molti mali » (Capit. VIII, v. 85-93). 65) Ed. Lagomaggiore, CXXXVIII, v. 195-8 (Arch. Glott. Ital., II, p. 312). L'Anonimo ha esaltato poco prima (v. 193-4) la ricchezza delle navi genovesi: «si riche van le nave soe che ben var d'atre l'una doe». E altrove dice di Genova: « fioi aveiva tai e tanti | masna de servi e de fanti.... questi fiior con lor masnae | en tanto son multiplicae che tuti d'un mesmo cor | son habitai dentro e de for» (ed. Lagomaggiore, LXXXVI, v. 23-4, 29-32).

66) Preziosi i dati su queste due battaglie nella cronaca rimata dell'Anonimo il quale scrive appena giungono a Genova le notizie: «De vitoria facta per Januenses contra Venetos in Laiacio Ermenie [Piccola Armenia] anno MCCLXXXXIIIIor, die sabati XXVII madij» (ed. Lagomaggiore, XLVII); « De vitoria facta per Januenses contra Venetos in gulfo Venicianorum prope ysolam Scurzule, anno MCCLXXXXVIIIor, die dominica, intrante VII septimo setembris » (ed. Lagomaggiore, XLIX).

67) Ed. Lagomaggiore, XLVII, v. 49.

68) SANTINO CARAMELLA, La cultura ligure nell'alto Medioevo. Estr. dal « Boll. Municip. Il Comune di Genova », 31 luglio 1923, pp. 32: cfr. p. 23 (« Le conferenze di Palazzo Bianco, sulla vita genovese »).

69) M. AMARI e C. SCHIAPARELLI, L'Italia descritta nel libro del Re Ruggero, Roma, 1883; CERVETTO, 1 porti della Liguria, in « Monografia storica dei porti antichi d'Italia », Roma, Ministero della Marina; G. PARDI, L'Italia nel XII secolo descritta da un geografo arabo, in » Memorie Geografiche di G. Dainelli », Firenze, 1919 (p. 91: «Il geografo conclude [il suo quadro «completo e magnifico» di Genova] proclamando i Genovesi un popolo di altissimi spiriti fra tutti gli Italiani »).

70) Ed. Lagomaggiore, CXXXVIII, v. 69-72, 216.

71) F. L. MANNUCCI, La cronaca di Jacopo da Varagine, Genova, a cura del Municipio, 1904, pp. V-85: cfr. pp. 28-30.

72) Catholicon, ed cit.

73) « Januam declinarunt, ibique cum onore recepti, per quam plures moram traxere dies, deinde dicti marchionis mandato Lombardiam intraverunt» (cfr. Ferretto, Cod. dipl., I, pp. 316 e 364; ANNIB. BozzoLA, Un capitano di guerra e signore subalpino: Gugl. Vii di Monferrato, in Misc. di Storia Ital., R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le Ant. Prov. e la Lomb., Torino, 1922, p. 344).

74) E. SICARDI, Il Novellino e altre novelle antiche, Livorno, 1919 (cfr. 85).

75) La forma Janua (Januensis civitas) suggerisce la derivazione da Janus é le leggende intorno ai tre Giani, fondatori o ricostruttori, in tempi diversi, della città (Jacopo da Varagine, Chronicon: Giano venuto dall'Oriente con Saturno; Giano venuto in Italia con Antenore ed Enea; Giano re degli Epiroti: cfr. MANNUCCI, La cron, di Jacopo da Varagine, pp. 39-49). La forma Genua suggerisce la derivazione da un Genuinus compagno a Eridano-Fetonte (Boccaccio, De genealogia Deorum, VII: cfr. la versione di G. Betussi, 1554, al Segno del Diamante: c. 128 v.; alla voce « Phetonte »),

76) Alla fine del dugento e al principio del trecento le due forme vengono adottate promiscuamente. Il codice parigino degli Annali di Caffaro ha « Ianua».

77) Nella carta di Hereford Genua civitas è figurata presso il mare, sulla destra d'un fiume che porta il nome di «tarus ». La carta di Ebstorf ha Ganna c: trascrizione errata di Genua c. [ivitas]. A una primitiva forma Genua va riferita la forma Ganvah, che ricorre nel codice oxfordiano di al-Edrîsî. — La forma Gennes, francese, appare anche in un poema finito nel 1160: Le Roman de Rou et des Ducs de Normandie del normanno Roberto Wace (ed Plupuet, 1827, v. 474: G. SFORZA, La distruzione di Luni nella leggenda e nella storia, in « Miscell. di Storia Ital. », III Serie, t. XIX, Torino, 1922, p. 1-138: cfr. p. 76).

78) V. la nota 81.

79) Rer. Ital. Script., t. XVII, col. 960. Il Banchero crede, non sappiamo con quale fondamento, che la sostituzione di Janua a Genua sia avvenuta « verso l'anno 900 » ; e spiega che Janua è trascrizione o traduzione eufonica di Jenua, forma sostituitasi a Genua « per vezzo francese » ossia per ragione di pronuncia, durante il dominio carolingico» (Genova e le due Riviere, Genova, Pellas, 1846, pp. CXXVIII-772-112 con 29 tav.: cfr. p, XIII).

80) Già citato.

81) Itinerarium Syriacum.

82) Il passo è notissimo: Io dico che i demoni dello Inferno | Non son si neri, come stan dipinte | Le donne quivi che più non ne scerno | Che gli occhi e i denti sì son forte tinte (III, 5). Cito dall'edizione del 1826 (Il Dittamondo...., Milano, Silvestri), ricordando, ancora una volta, che le varianti offerte dai codici più autorevoli rendono necessaria un'edizione critica del Poema. A questa hanno portato contributi notevoli le ricerche di A. Pellizzari (Pisa, 1905), recentemente rinnovate, e, specialmente per

quanto riguarda i dati geografici e topografici sull'Italia, la nota di G. NICOLUSSI (« Rend. Ist. Lomb. », 1898).

83) III, 6. Nelle Croniche di Giovanni Sercambi, lucchese, vengono ricordati i versi di Fazio, con varianti rispetto al testo dell'edizione del 1826: « Molto mi piace la ciptà di Genova | E più mi piacerebbe se non fosse.... » (ed. Bongi, Istituto Storico Ital., 1892, Lucca, III, p. 226).

84) Lucas Jansz Waghenaer, Teerste Deel Vande Spieghel der Zeevaert, Leida, Chr. Plantijn, 1584 (la trad. latina è del 1586); Speculum nauticum per Lucam Johannis Aurigarium; ad essa seguono la versione inglese, spagnola, tedesca, francese, entro il 1590.

85) Il portolano che «piero di uerssi» comincia « Al nomen de dio e de Madona Sancta maria madre de la miserichordia» nel 1444, dopo di aver detto che « Gienova a porto fatto a molo e puoi stare a tutti venti e fatti forte da mezzo di e libeccio», aggiunge: « La cognoscenza di gienoua e tale che sopra gienoua e uno monte forchato che a nome due frati [Due fratelli e in uno monte acuto che a nome poraldo [Peraldo], li dui frati sono da leuante alla citta e un altra montagnia ne sopra utri [Voltri] che da ponente a gienoua alta con parechi brichi » fil rilievo che sorge a levante del Passo del Turchino, m. 532, ed è dominato dal Penello, alto 996 m., e dal Figogna, o Montagna della Guardia, alta 804 m.]. Cfr. Kretschmer, op. cit.

86) ROMOLO CACGESE, Roberto d'Angiò e i suoi tempi, I, Bemporad, 1922.

87) Cfr. il mio scritto: Terra e vita di Liguria, in Gazzetta di Genova, febbr. 1920. 88) Il ricordo del tentativo eroico di Ugolino e Vadino Vivaldi che, in compagnia di due frati minori, valicano lo « Stretto di Ceuta » (strictum Septe) nella primavera del 1291 su due navi dirette all'India, e non lasciano traccia di sè dopo d'aver raggiunta la Gozora («< Caput finis Gozole », nella carta dei Pizigani: l'identificazione nel Capo Non è tutt'altro che certa; preferibile è l'identificazione nel Capo Juby, fronteggiante la costa orientale dell'isola di Fuerteventura) è già negli Annales Januenses, di Jacopo d'Oria, continuatore di Caffaro per il periodo 1280-1294 (PERTZ, Cafari et continuatorum Annales Januenses, Hannover, 1862, pag. 331, sotto l'anno 1291, rigo 20 e segg.). Ad armare, optime, le due galee che lasciarono il porto di Genova nel maggio, << ut per mare occeanum irent ad partes Indie mercimonia utilia inde deferentes », concorsero «< Thedisius Aurie [Doria], Ugolinus de Vivaldo, et eius frater cum quibusdam aliis civibus Janue ». Ed ha tuttora eco nei secoli l'« affettuoso grido» del cronista genovese che, mentre scrive, spera ancora il ritorno di chi osò «quoddam viaggium che nessuno aveva prima tentato: « Et postquam locum qui dicitur Gozora transierunt, aliqua certa nova non habuerunt de eis. Dominus autem eos custodiat et sanos et incolumes reducat ad propria ».

Dante e la Liguria.

III.

PERSONAGGI DELLA « DIVINA COMMEDIA »
IN GENOVA E NEL GENOVESATO.

JACOPO RUSTICUCCI A GENOVA.

Negli atti del notaio Angelino de Sigestro1) ve n'è uno del 16 giugno 1268, in virtù del quale un certo Arnaldo Neto, di Maiorca, figlio del fu Arnaldo, vende a Januario Mazollo, per il prezzo di lire dodici di genovini, una schiava di nome Sofia, con tutto il suo peculio.

Alla vendita, stipulata in Genova, ante domum canonicorum Sancti Laurentii quam inhabitat Jacobus speciarius, si trovano presenti, in qualità di testimoni, Guglielmo di Negro, seniore, Jacobus filius Rustiguccii de Florentia, e Simone, figlio di Nicolò de Porta.

Il ricco ed onorato fiorentino, di cui l'Alighieri aveva sempre con affetto ritratto le opere ed ascoltato il nome (Inferno, c. VI, v. 80, e c. XVI, v. 43 e segg.), era adunque in Genova, il 16 giugno del 1268, forse allora modesto negoziante, attirato da quel gran commercio, che ivi faceva convenire da ogni paese la gente, segnatamente i Fiorentini.

NOTA.

1 Reg. III, f. 48; Archivio di Stato in Genova.

CAVALCANTE CAVALCANTI A GENOVA.

Il padre di Guido Cavalcanti, di uno dei pochi, che, secondo l'Alighieri, conobbe l'eccellenza del volgare, del poeta gentile, che chiama << primo dei suoi amici », trovasi in Genova il 25 settembre del 1264, sul procinto d'imbarcarsi, forse per ragioni commerciali, sulla tarida di Pasquale d'Arenzano, che doveva far vela verso la Sardegna, ed ancorarsi nel porto di Bosa d'Oristano.

Ed ecco l'atto, che ci rivela il nonno di Guido, cioè Tegghiaio, nome che portarono altri fiorentini:

Ego Caualcante filius quondam Teiai Caualcanti de Florentia confiteor habuisse et recepisse mutuo gratis et amore a te Alexandro quondam Bonfilii de Lucha libras triginta Ianue renuncians exceptioni non numerate pecunie doli et condicioni sine causa et omni exceptioni quas tibi vel tuo certo misso per me vel meum missum infra dies XV postquam tarida que vocatur Dricta que est Pascalis de Arençano et sociorum aplicuerit portum Bosse in Arestano seu in Bossa dare et soluere promitto sana eunte et redeunte dicta tarida vel maiori parte rerum ipsius. Alioquin si contrafecero penam dupli cum dampnis et expensis quas perinde feceris tuo solo verbo credito sine testibus et iuramento tibi stipulanti spondeo ratis manentibus supradictis et perinde omnia bona mea habita et habenda tibi pignori obligo. Insuper assigno tibi pignore pro dictis libris XXX res infrascriptas videlicet osbergium unum caligas ferri cum bragoneriis et burgis duabus sellas tres bonetam unam de soma cultram unam toagiam unam et totum aliud asnesium quod habeo penes me et quod portare debeo in ligno Pascalis predicti et sociorum ita quod de predictis rebus possessionem habeas et in virtute tua vel tui procuratoris teneas et tenere debeas donec tibi de predictis libris XXX integram habueris solucionem et tibi in voluntate tua fuerit satisfactum alioquin liceat tibi tua auctoritate de predictis rebus ultra terminum tuam consequi solucionem. Testes Ceruelinus Bonapressa Restaurus florentinus Bergulus de Florencia. Actum Ianue in domo Symonis Modiiferri die XXV Septembris post vesperas VI indicione (Anno) XXCC_L_XIIII. 1)

Si potrebbe credere che messer Cavalcante dei Cavalcanti, guelfo, sconfitto l'esercito di sua parte nel 1260 a Mont'Aperti presso il fiume Arbia, e tornati vittoriosi i ghibellini a Firenze, riparasse in Genova, ove lo troviamo quattro anni dopo.

Certo è però ch'egli tornò a rivedere il bello ovile, caramente diletto, facendoci il Villani (XII, xv) conoscere che «fra i matrimoni e parentati» che nel 1267 si fecero in Firenze tra Guelfi e Ghibellini «< messer Cavalcante dei Cavalcanti diede per moglie a suo figliuolo la figliuola di messer Farinata degli Uberti ».

E nel 1280 Guido del fu messer Cavalcante de' Cavalcanti è registrato negli Atti della Pace del Cardinal Latino, 2) segno evidente che l'ospite nostro era già morto.

Ho detto ospite nostro.

Isidoro Del Lungo scrive di aver sicura notizia dall'Obituario di santa Reparata di due « messer Cavalcante de' Cavalcanti », ambedue vissuti nel secolo XIII, e morti l'uno il 28 dicembre del 1287, l'altro (certamente il padre del poeta, che nella pace dell'80 era già orfano) il 24 giugno di anno ignoto, 3)

L'atto notarile, che ho riprodotto e che rivela il nome del Tegghiaio, come padre del Cavalcante, potrebbe fornire il bandolo per nuove ricerche negli archivî di Firenze. Ma è probabilissimo che Cavalcante dei Cavalcanti, il quale il 25 settembre del 1264 toglie a mutuo lire trecento dal lucchese Alessandro Bonfilio, dando a pegno la corazza, le pedane e i cosciali di ferro, e arnesi per le cavalcature di sua proprietà, sia proprio quel leggiadro cavaliere, cui accenna il Boccaccio, padre del poeta Guido, amico dell'Alighieri e suo condiscepolo alla scuola di Brunetto Latini, << tenero e stizzoso filosofo » come il Villani ce lo dipinge, « sdegnoso solitario », quale lo conosciamo dalla Cronica di Dino, avvezzo a motteggiare sul viso ai primi gentiluomini di Firenze, << giovane gentile » del gran casato dei Cavalcanti, che occupavano di case e botteghe quasi tutto il centro di Firenze.

NOTE.

1) Atti del Not. Giberto de Nervio, Reg. III, f. 106, Arch. di Stato in Genova. 2) Delizie Erud. Tosc., IX, 77, 94.

8) Dino Compagni e la sua Cronica, vol. I, Parte II, p. 1103, Firenze, Successori Le Monnier, 1880.

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