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IL CONTE GUIDO DA MONTEFELTRO A FINALMARINA.

Racconta il Malaspini che il conte Guido da Montefeltro, triste consigliere di Bonifacio VIII (Inferno, XXVII), avea perduto con Urbino e Montefeltro, anche tutti gli acquisti di Romagna, dando due figli in ostaggio al Pontefice, dal quale fu confinato, nel 1282, in Asti.

Il conte Guido, scrive l'Ugolini, 1) d'indole così operosa, nato fra le armi e sempre uso a perigliarsi nelle battaglie, mal sofferiva l'ozio imbelle, in cui trascinava il suo esilio, ed era molto probabile che alla prima occasione lo rompesse. Ardeva da qualche tempo, per rivalità di potenza marittima, tra Pisa e Genova guerra così furiosa, da non aver termine, se non con l'esterminio di una di quelle, allor fiorenti, repubbliche. Grande sventura d'Italia e da non deplorarsi mai abbastanza.

Le insegne dei due popoli si spiegavano vittoriose in lidi remoti, e, se avessero unite le forze con Venezia, potevano aspirare alla signoria di tutti i mari, mentre invece si laceravano e distruggevano tra loro, non considerando che commettevano un fratricidio e trafiggevano la madre comune. Ma l'idea della grandezza d'Italia non era balenata in mente a quella traviata generazione, tranne che all'Alighieri, che fu solo.

I Pisani, rotto, o fugato, o caduto in mano dei nemici tutto il loro naviglio nella funestissima battaglia della Meloria, venivano ferocemente incalzati dai Genovesi, a cui si erano congiunti e Lucchesi e Fiorentini, sicchè soprastava loro l'ultimo eccidio.

In tanta angustia, avevano necessità di un capitano esperto e valoroso, che potesse fronteggiare un nemico superiore di forze e baldanzoso per fresche vittorie, e si rivolsero a Guido.

Stava egli sempre in Asti, grandemente onorato da quel popolo. Guglielmo Ventura, autore della cronistoria astigiana, lo chiama << uomo sapientissimo, forte, largo e astutissimo in guerra », soggiungendo che era soprammodo caro a Guglielmo, marchese di Monferrato, che, ammirando le rare doti dell'illustre cavaliere, di favori lo colmava. L'autore stesso fu testimonio quando, una vi

gilia di Natale, lo regalò di «venti paia di bovi, con carri pieni di vini odoriferi, farina di grano ed altri camangiari ».

I Pisani mandarono ambasciatore ad Asti Giovanni da Campiglia con l'offerta dell'ufficio di podestà di Pisa, di capitano del popolo e dell'esercito, di diecimila fiorini d'oro all'anno, per la condotta di tre anni, e di cinquanta cavalli d'armi e trenta ronzini in servizio suo.

Guido, in cui gli spiriti guerrieri non dormivano, non istette in forse: e, rotto il confine, a dì 15 marzo 1288 giunse in Pisa, ricevuto con lietissima accoglienza. Per questa infrazione del Conte alla data fede, e molto più perchè si era posto al servizio degli odiati ghibellini, papa Nicolò IV pose mano alle scomuniche, che lanciò contro di lui, dei figli, del parentado ed anche di Pisa.

Il Villani accenna alla rottura dei confini ed afferma che il Conte << partissi di Piemonte e venne a Pisa ».

Il particolare, più interessante per noi, e posto in non cale dai cronisti, emerge dagli annali genovesi di Iacopo Doria, scrittore contemporaneo, e per conseguenza più degno di fede. Egli racconta, in succinto, all'anno 1288, la tragica morte del conte Ugolino, facendoci conoscere che i Pisani mandarono a cercare il conte Guido di Montefeltro, che trovavasi confinato dalla Chiesa Romana ad Asti, e lo elessero a Podestà e Rettore della città di Pisa, donandogli ogni facoltà ed autorità in tutte le cose. « Egli era in verità (traduco il latino) meravigliosamente provvido e fortunato nelle battaglie, e rotti i confini presso il Finale, ascese una galea, ivi armata, e pervenne nella città di Pisa. Dovendo giurare in Parlamento, accertò che non avrebbe assunto il governo della città, nè tenutolo se i Pisani non avessero mantenute le promesse fatte ai Genovesi per la pace; ed essendo stato dai Pisani risposto che in tutto avrebbero osservato i suoi propositi e la pace giurata, pensarono gli uomini di Genova che il detto Conte avesse accettato il Governo per la nostra utilità, nè fu all'opposto. E tra breve tempo governò talmente la città di Pisa, che non solo non si ebbe più alcun timore dei Guelfi toscani, ma incominciarono contro essi le minacce, e tal dominio prese in detta città, che niuno portava più armi, nè osava far offesa, cosa inaudita dai vecchi nella città di Pisa. »

L'annalista Doria dà ancora una pennellata al quadro, dove fa campeggiare la figura del personaggio dantesco, e al 1289 scrive: << Essendo stato ordinato che il Comune di Genova facesse guerra ai Pisani, non potevano adempiere questo in alcun modo, come uomini incantati. Imperocchè il detto conte Guido fece per

la città di Pisa gridare che niuno osasse in alcuna maniera prendere i Genovesi, ed in alcun che offendersi; anzi, quando alcuni andavano a Pisa, li onoravano, e così cominciarono a fare i Genovesi a riguardo dei Pisani ».

Il conte Guido, che trovavasi a Finale, lembo grazioso della nostra Liguria Occidentale, feudo allora dei Del Carretto, per giungere da Asti, seguì forse la vecchia strada Asti-Alessandria-Acqui-Spigno-Carcare-Mallare, che era il tronco più battuto.

L'Alighieri nel 1298, anno della morte di Guido (morì ad Assisi il 29 settembre), nel trattato IV del suo Convito, non accecato allora da passione, ma con serenità di giudizio, ci fa sapere che <«< il nobilissimo Guido Montefeltrano calando qual buono marinaio sulla fine di sua giornata le vele delle mondane operazioni, se ne ritornò a Dio con tutta soavità e pace, siccome a quello posto, onde l'anima si partì quando venne ad entrare nel mare di questa vita. >>

E con questo giudizio, piuttosto che con la pittura del canto XXVII, s'accorda l'elogio dell'annalista genovese.

NOTA.

1) FILIPPO UGOLINI, Storia dei Conti e dei Duchi di Urbino, ed. 1859,

MARZUCCO SCORNISCIANI AMBASCIATORE A GENOVA.

Nel canto VI del Purgatorio, e per meglio dire, nel balzo secondo dell'antipurgatorio, dove trovansi i neghittosi, morti violentemente, le anime si affollano attorno a Dante, pregandolo di ricordarsi di loro nel mondo, e procurar loro i suffragi de' viventi. In quella turba spessa

pregava con le mani sporte Federico Novello, e quel da Pisa,

Che fè parer lo buon Marzucco forte.

Scrive Giovanni Sforza:

« Nino Visconti non fu il solo de' pisani che Dante trovasse nel Purgatorio. Già tra coloro che uscirono di vita per morte violenta s'incontrò in

quel da Pisa

Che fè parer lo buon Marzucco forte.

Fu questi Farinata degli Scornisciani, che alcuni vogliono ucciso da Beccio di Caprona, altri da Ugolino de' Gherardeschi.... Narra il Da Buti che Marzucco, essendo frate, si recò per il corpo del suo figliuolo, e com'era usanza, fece il sermone a tutti i consorti, mostrando con buone ragioni che nel caso avvenuto il rimedio migliore era quello di pacificarsi col nemico; e così fece, e volle perfino baciare la mano stessa che per sempre gli aveva levato dal mondo il suo Farinata.... Marzucco fu dottore in legge, e uomo di buone lettere.

A lui fra Guitton d'Arezzo volgeva quella canzone, che incomincia:

Messer Marzucco Scornigian, sovente

Approvo magnamente

Vostro magno saver nel secol stando.

Ottenne in patria parecchi carichi di onore e di utile, tra quali giovi solo il ricordare come nell'anno 1278 andò ambasciatore

a Ugolino, quando i Pisani, sconfitti e fugati al fosso dei Rinonichi, amarono far pace coi guelfi e rimetterli dentro.

Dicono che un giorno, mentre cavalcava da Suvereto a Scarlino ebbe sì grande paura di uno smisurato serpente, che era sulla strada, che votò di farsi frate, e sciolse poi la promessa; e di questo rende larga testimonianza una carta del 18 aprile del 1286, colla quale restituisce a Teodora di Galgano Grossi de' Visconti, sua moglie, la dote e i corredi. E sembra avesse in quel torno vestito di poco l'abito monacale, giacchè vien detto novizio de' frati minori di San Francesco; la qual cosa corregge appieno ciò che ne scrissero il Rambaldi e altri con lui, che tutti andarono errati credendolo appartenesse a' frati gaudenti. 1)

A questi cenni, che formano la biografia di Marzucco, aggiungo che il 26 luglio del 1254 Giacomo degli Advocati di Cremona, podestà, e il Consiglio di Pisa, alla presenza di Malvicino de Cane e di Franceschino Malabarba, capitani dei militi e dei consoli dei mercanti, dei consoli e capitani della Sardegna e dei consoli delle quattro arti, radunati nella chiesa maggiore di Santa Maria, eleggono Marzucco Scornisciani e Sigherio Conetti, giudici, in sindaci e procuratori per far pace colle città di Firenze, Lucca, Samminiato e Genova.

Il 28 luglio però il Marzucco, « cum sit gravatus infirmitate corporis ita quod officium sindicatus predicti gerere ad presens non possit », cedeva ogni suo diritto d'elezione al collega Conetti, e la cessione veniva stipulata in Pisa « in sala turris ipsius domini Marzucchi ».

Il comune di Genova aveva sin dal 15 luglio dello stesso anno eletto, per dirimere le accennate differenze, il suo cancelliere Enrico del Bisagno, conferendogli ampio mandato: e i due sindaci e procuratori, il Conetti, anche a nome del Marzucco per Pisa, e il del Bisagno per Genova, il 4 agosto del 1254 in Firenze, nel coro della chiesa di Santa Reparata, essendo pur presenti il giudice Ugo Fieschi e Lanfranco Malocello ambasciatori del comune di Genova, compromisero ogni piato nel comune di Firenze, dandosi solennemente il bacio della pace.

L'annalista genovese Bartolomeo Scriba che con ampi particolari

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