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ci tramandò fortunatamente i fatti, le loro cause e gli strascichi, ci dà contezza che al Malocello, al Fieschi e al del Bisagno si era unito il rapallese Balduino Salvi notaio che aveva levato grido oltre i monti che inghirlandano Rapallo, e che i quattro personaggi si erano recati a Lucca, a Firenze ed in ultimo a Pisa, ove gli atti del compromesso loro furono approvati nel Consiglio Maggiore.

E il 10 ottobre del 1254 Guglielmo Rangone, capitano del popolo e Guiscardo da Pietrasanta, podestà di Firenze, perchè Genova e Pisa cessassero dalle rivalità e fiorissero di una pace fruttuosa, condannava i Pisani a restituire ai Genovesi il castello di Lerice.

È interessante tutto l'atto nel quale Firenze dà a Genova l'epiteto di «< Urbs magnifica et illustris », ed è ancor più interessante per essere stato esteso dal notaio Brunetto figlio di Bonaccorso Latini, scrivano degli Anziani, cancelliere del comune Fiorentino, e noto maestro dell'Alighieri, il qual Brunetto ebbe l'occasione di conoscere in quel giorno Guglielmo da Varazze, scrivano e cancelliere, che trovavasi in Firenze in qualità di sindaco del comune di Genova. 2)

Lo stesso annalista Bartolomeo Scriba racconta che «< ad ipsam sententiam audiendam pro comuni Janne fuit Gulielmus de Varagine notarius et syndicus ».

Più fortunata fu la seconda missione affidata allo Scornisciani. Il 16 maggio del 1258, Riccardo de Villa, podestà, ed il consiglio di Pisa elessero Rainerio Gualterotti, Marzucco Scornisciani, giudice, e Ubaldo Gessulino per far pace col comune di Genova, che era in lite con Guglielmo, conte di Capraia, col giudice d'Arborea e con altri fautori del comune pisano, con consenso però del doge di Venezia, alleato di Pisa.

La solenne procura «< ad componendum paciscendum et transigendum cum comuni Janue » è stipulata in Pisa, « in solario superiori domus Arlocti Bancherii ubi fiunt consilia », a rogito di Upechino Bonaccorsi, notaio creato per autorità imperatoria di Federico II, e pubblico scrivano della concelleria pisana. 3)

Genova era allora sotto l'interdetto sin dal 14 febbraio del 1258, giacchè sotto tal data maestro Andrea Spiliati da Firenze, cappellano e suddiacono pontificio, subdelegato del cardinale Riccardo,

del titolo di Sant'Angelo, incaricato da Papa Alessandro IV, lanciava da Viterbo la scomunica contro il podestà, il capitano, i consiglieri e gli ufficiali di Genova, i quali, quantunque per tre volte redarguiti, sprezzando i moniti pontifici, non avevano risarcito i danni, inferti a Giovanni Cenci, mercante romano, stato predato da alcuni Genovesi. 1)

Lo Scornisciani e i suoi colleghi vennero a Genova per istudiare il modo di comporre il dissidio.

Si pensò subito al successore del maggior Piero.

Gli ambasciatori pisani insieme con Giovanni del Canale e Filippo Storlato, eletti il 12 maggio sindaci, procuratori e nuncii di Venezia, essendo infermo il terzo collega Marco Quirino, e con Ugo Fieschi, Oberto Pasio e i due trovatori Percivalle d'Oria e Lucchetto Grimaldi, sindaci, procuratori e nuncii di Genova, giunsero a Viterbo il 29 maggio, e tosto si presentarono al cospetto del Pontefice, dicendo che erano stati inviati « pro audiendis tractandis et firmandis que essent tractanda et firmanda ». Alessandro IV li accolse benignamente, promettendo che li avrebbe fatti chiamare cogli ambasciatori veneti e pisani, il che successe il primo giugno, e le tre parti esposero le loro ragioni.

Le credenziali degli ambasciatori di Genova furono riprovate per vizio di forma, e dopo un lungo carteggio degli ambasciatori con Rainerio Rosso, podestà, e Guglielmo Boccanegra, capitano del popolo di Genova, questi scrissero il 19 giugno di compromettere ogni vertenza nel Pontefice.

E il 3 luglio del 1258 « post multas varias altercationes et contenciones » fra lo Scornisciani, e gli altri ambasciatori, 5) Alessandro IV pronunciò la sentenza in pubblico concistoro, essendo pur presenti i cardinali Ottaviano Ubaldini, fiorentino, del titolo di Santa Maria in via Lata, ed Ottobono Fieschi, genovese, del titolo di Sant'Adriano, entrambi ricordati dall'Alighieri, ed un certo << Castellano de Passiano ianuense notario », che credo quel notaio Castellino da Passano di cui rintracciansi parecchi ricordi nelle carte genovesi. ")

L'annalista Bartolomeo Scriba, parlando dell'ambasceria al Pontefice, dice esser convenuto « ex parte Pisarum Raynerius Marzupus iudex ».

Ed il Giustiniani negli Annali della Repubblica di Genova ripete che «< Pisani eziandio pur d'ordine del Pontefice li mandarono Raniero Marzupo legista ».

Gli Annali di Pisa non ci offrono notizie speciali, ed il Roncioni soltanto, contrariamente agli atti ufficiali, scrive che Pisa

mandò al Pontefice Andrea Marzucchi, Bartolomeo delle Brache e Filippo Vernicchioni.")

Sta il fatto che negli Annali nostri l'errore di lezione è evidentissimo, giacchè dei due ambasciatori pisani Rainerio Gualterotti e Marzucco Scornisciani, risultanti da due documenti sincroni, si formò un Rainerio Marzupo.

Il 27 maggio del 1276 Carlo I d'Angiò, re di Sicilia, concedeva un salvacondotto a Marzucco Scornisciani e agli altri ambasciatori, sì genovesi che pisani, i quali, ad istanza del pontefice Innocenzo V, avea in Roma ricevuti al suo cospetto. 8)

NOTE.

1) Dante e i Pisani, Pisa, 1873, pagg. 129-132.

2) Pergamene originali, in Materie Politiche, Mazzo V, Archivio di Stato in Genova; Historiae Pat. Mon., Liber Jurium, I, c. 1186 e segg., col cognome errato Sanctonisciani. Nell'indice del Liber Jurium, c. 1662, i compilatori, riferendosi ai due atti del 27 luglio 1254 e 3 luglio 1258, chiamano in entrambi il Marzucco Marzuchus Sancto Nixiani, laddove nel testo del secondo atto avevano scritto Marzuchus Scor

nisciane.

3) Pergamena originale inedita, in Materie Politiche, Mazzo V, Archivio c. s. 4) Pergamena originale inedita, c. s.

5) Tutti i documenti, riguardanti questa pratica, furono già da me pubblicati (Documenti intorno ai trovatori Percivalle e Simone Doria, in Studj medievali, Vol. II, fasc. I, anno 1906, p. 123 e segg.)

6) Liber Jurium, I, c. 1271 e segg:

7) Istorie pisane, in Archivio storico italiano, t. VI (anno 1844), p. 546.

8) C. MINIERI RICCIO, Il regno di Carlo 1 d'Angiò, in Archivio storico italiano, 1877, p. 37.

LA CASA FIESCHI «MALVAGIA ».

Le ultime parole, che escono dalla bocca di papa Adriano V (Purg., XIX, 142-145) contengono un bell'elogio per la buona Alagia, ma con questa riserva:

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pur che la nostra casa

Non faccia lei per esempio malvagia.

Il chiosatore Benvenuto da Imola, interpreta il malvagia per "lubrica ed impudica,, poco curandosi che malvagio può attribuirsi a persone di pessima qualità, o scellerate, di ambo i sessi.

Benvenuto da Imola avverte che Dante (traduco dal latino) << discorre con onestà e cautela; giacchè afferma che la nipote è buona, purchè non imiti l'esempio delle altre di casa sua. Dopo ciò infatti dà ad intendere cautamente che le donne di quei del Fiesco furono nobili meretrici, quale fu, se la fama non mentisce, la moglie di Pietro de' Rossi di Parma, valorosissimo cavaliere. Che dire di Isabella moglie del signor Luchino, potentissimo e giustissimo tiranno in Lombardia?»>

Con buona pace di tutti i chiosatori, che si ricopiarono dal Benvenuto allo Scartazzini, tolgo dal Da Erba l'annuncio delle nozze Rossi-Fieschi così concepito:

« 1328, 15 ottobre Sabato. Pietro Rossi fiolo di Guglielmo e fratelo di Rolando menò per molie Gineta fiola di Carlo dal Fiesco di Genova, e vene questa a Parma deto dì accompagnata da molti nobili di Genova così dal Fiesco come d'altri in hora di vespero, e la domenica, lunedì e martedì seguenti grande et honorate nozze con gran convivii furono celebrate da maggiori uomini e donne di Parma nel maggiore palazo del episcopo, dove smontò

detta sposa e non restò cittadino nè forestiero, terazano o soldato che potesse avere cavalo che non gli andasse incontro a detta sposa con ogni trombe, trombeti, zallamelle, tamburi et altri istrumenti ». 1)

Il Cronista non potrebbe essere più esatto e più minuzioso. L'Alighieri, morto nel 1321, non potè aver mai notizia di questo matrimonio; nè quindi accennare alla Fieschi (sposa del parmigiano Pietro de' Rossi) nel Purgatorio.

Isabella Fieschi, la vergine magna et formosa, come la dipingono i cronisti dell'epoca, sorella della Ginetta e figlia di Carlo del Fiesco (fratello di Alagia), ha per la prima gettato a piene mani il fango in quella famiglia, che, oltre la tradizione d'un non mai interrotto guelfismo e d'una beneficenza inesauribile, avea pure gelosamente conservato l'onore delle sue donne. Gli esempi di Beatrice, sorella di Adriano V, rimasta vedova nel fior degli anni di Tommaso II di Savoia, e della zia Jacopina, moglie del biondo Opizzo d'Este, meritarono elogi dagli analisti di Altacomba e di Fer. rara. Nè si conosce la sorte di Leonetta, sorella maggiore di Ginetta, sposa del cugino in quarto grado Gerardino di Filippino de Langusco, conte di Lomello, a' quali Clemente V, il 12 agosto del 1308, accordava dispensa per le nozze.

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Luchino Visconti « nobile cavaliere, uomo di corpo e di volto bellissimo, ben formato e sano in tutte le sue membra » era già vedovo di due donne, prima di condurre all'altare Isabella. Gli sponsali furono un turpe mercato politico, giacchè Isabella era ancor sotto la tutela della madre e del fratello maggiore Luchino, segno evidente che non era uscita di maggiorità. Federico Federici, grande raccoglitore di memorie nostrane, a metà del secolo XVII scriveva: «< Pacificati i guelfi e i ghibellini nel 1331.... desiderando i Visconti avere interesse nello Stato di Genova per stabilire maggiormente l'autorità e grandezza loro, procurarono che Carlo Fieschi maritasse Isabella sua figlia in Luchino Visconte, nel quale era pervenuta la Signoria di Milano, il che si effettuò con poco felice riuscita di questo matrimonio per la soverchia vanità di questa per altro splendidissima donna, alla quale furono sorelle di animo e di genio del tutto differente Ginetta, moglie di Pietro Rosso, signore di Parma e di Lucca, e Soborgia, moglie di Alberto del Carretto, marchese di Savona, ed un'altra che fu moglie di Godifier de Chalant, governatore di Ginevra e Senatore di Roma ». 3)

Il contratto nuziale Fieschi-Visconti, che fu già argomento di un mio studio, ha la data dell'8 febbraio 1331. In virtù di esso Teodora, vedova di Carlo Fieschi, conte palatino e di Lavagna,

Dante e la Liguria.

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