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Si fece infatti a Venezia un formale processo, ma da questo risultò che l'affare del fantoccio, era stato tutto alterato dal Console francese. Si era infatti abbrucciato un fantoccio, ma solo per divertire la moglie del Capitano, senza alcuna ombra di segni francesi, quindi senza reità e colpa.

Che questa versione, fosse o non fosse attendibile, il Maurepas si accontentò delle conclusioni del processo e delle avute spiegazioni, e considerò l'affare come finito.

Nella politica generale, i maneggi della Francia erano condotti in guisa, da voler molto avvantaggiare e benevolmente la Repubblica di Venezia, per abbattere la casa d'Austria in Italia, anzi scacciarnela completamente.

Nel febbraio del 1745 si prometteva al re di Sardegna, quasi tutto lo Stato di Milano, se egli avesse voluto abbandonare Maria Teresa regina d'Ungheria.

All'infante don Filippo si voleva dare il Lodigiano il Parmegiano, il Piacentino, il Cremonese. Il Re di Sardegna pretendeva per se Milano. Mantova era offerta dalla Francia alla Repubblica di Venezia. quale potenza neutra ed amica.

Il progetto poi che aveva la Francia riguardo all'Italia e che il Marchese d'Argenson comunicava ad Andrea Tron, era di creare in Italia una Repubblica, simile alla Germanica, con questa differenza che la Germania aveva un capo e l'Italia non ne avrebbe avuto alcuno. I principi doveano essere: il papa, la repubblica di Venezia, il re di Sardegna, il re di Napoli, l'infante Don Filippo, la Repubblica di Genova e il Duca di Modena. Al re di Sardegna si sarebbe dato lo stato di Milano, meno le provincie che si sarebbero attribuite all'in fante Don Filippo, e Mantova che si offriva insistentemente alla Repubblica di Venezia.

La Spagna era avversa a questo progetto; il Tron aveva poca fede e non ne era sostenitore, poi chè affermava che la casa di Savoia era cosí strettamente le

ne

gata al re d'Ungheria, dal quale aveva ricevuto in tutti i tempi tanta assistenza e protezione, che non era verosimile, che abbandonando affatto gli impegni con quella corte, si gettasse ciecamente nelle mani dei suoi nemici naturali, che erano la Francia e la Spagna. Poichè, scriveva il Tron, la casa di Savoja aveva sempre avuto la gran massima, che non fossero esclusi gli Austriaci dall'Italia, anzi che vi avessero stabilimento considerevole. Massima, certamente non mantenuta un secolo dopo, ma allora infatti la Sardegna univasi agli Austriaci, e il progetto d'Argenson circa alla nuoya organizzazione della repubblica italiana andò sfumata.

Nel Luglio del 1747 il Ministro francese si lagnava col Tron, in seguito ai rapporti del Montaigu ambasciatore francese a Venezia, dicendo che la Republica di Venezia favoriva le armate austriache, indirettamente con sussistenza abbondanti di ogni genere, e con soldati che si facevano passare sotto il nome di disertori, e che andavano ad ingrossare le armate della Regina, e per di più, che si davano soccorsi in danaro. Tron dichiarava false queste voci, ma di questa dichiarazione non contentavasi il Marchese di Pissieux che avviava per suo conto una inchiesta in Italia, di seguito alla quale, dovette però riconoscere, che il Tron avea espressa la pura verità.

Alla fine del 1747 ed ai primi del 1748 la guerra della successione austriaca volgeva alla fine.

Le prime confereuze per la pace si tennero a Breda, poi il 10 Aprile 1748 ad Aquisgrana.

La repubblica di Venezia venne avvertita, che in quella adunanza si era tramata qualche cosa contro di lei, e che si voleva rapirle qualche parte della terraferma. Andrea Tron chiese spiegazioni, ma il Marchese di Pissieux gli rispose che tali discorsi, erano favole. La Republica non s' acquetò a questa risposta, e ognor più sospettando incaricava il Tron, di assumere notizie precise. Il Tron con lunghissimo e importantissimo dispaccio datato da Fontai

nebleau 22 Ottobre 1748, tranquillizzava il senato, assicurando che della Republica di Venezia, non s'era fatto alcun cenno al Congresso, nè direttamente, nè indirettamente, e che chi pensava e scriveva differentemente, era in errore.

È però molto probabile che la Republica a mezzo dei suoi inquisitori, o del Consiglio dei X ne sapesse qualche cosa più del suo ambasciatore. Ad ogni modo il trattato di Aquisgrana fu firmato il 18 Ottobre 1748, e Andrea Tron terminò la sua ambasciata in Francia, lasciando il suo posto al successore Francesco Morosini.

Dall'Ambasciata di Parigi, Andrea Tron passava a quella di Vienna negli anni 1748 - 1751.

Al suo arrivo in quella città s'affacciò una curiosa questione di etichetta, vale a dire se gli ambasciadori di Venezia e di altri re, dovessero cedere anche in casa di un Cardinale il posto di onore a quest'ultimo. Questione però che si risolse in questo senso, e sulla quale il Tron s'intrattene facendo la storia dell'origine dei Cardinali, intorno alla quale si potrà vedere anche ciò che scrive Ludovico Antonio Muratori alla dissertazione sessantesima prima sopra le antichità italiane, e Lorenzo Cordella sulle memorie storiche dei Cardinali, ed altri, come l'amico della Religione del 1846 ecc.

Il Tron, ad ogni modo ed a lui lasciamo la responsabilità del suo racconto, narra che in origine i Cardinali non erano se non preti principali delle parocchie e Chiese di Roma, che per distinguersi dagli altri preti inferiori, si chiamarone Preti Cardinali, cioè preti delle Chiese che in allora si dicevano Cardinali. In quei tempi, continuava il Tron, della semplicità ecclesiastica, nei quali con la bontà dei costumi, e con l'umiltà del vivere e del procedere cercavano gli Ecclesiastici di distinguersi, più che con certa ostentazione e fasto, non solo li cardinali ceduto avrebbero agli ambasciatori, ma neppure sarebbero venuti in competenza, con loro, mentre come comparisce dalle

storie, cedevano ai Vescovl. Ma avendo essi in progresso nell'anno 1159 cominciato ad assumere il diritto di scegliere il papa, ad esclusione del popolo e del Senato Romano, che ne era in possesso, cominciarono essi ad accrescere in fasto e dignità e prendere per decreto dei Pontefici stessi, la mano sopra tutti i Vescovi, e ad assumere successivamente, quella preminenza che da tutti i principi d'Europa, ai medesimi venne accordata, e perciò sostengono eguaglianza di rango con tutti i re d' Europa, In fatto, perciò anche in casa propria, i Cardinali, concludeva il Tron, prendono la mano agli ambasciatori, dei quali molti protestano, e ricusano visitare il Cardinale. In tale questione il Tron dichiara doversi usare il tanto ed usitato rimedio della pazienza, col riservare ad altri tempi e congiunture, le opportunità per risarcirsene.

Affare lungo laborioso ed importante, maneggiato dal Tron nella sua ambasciata di Vienna, fu quello della Regolazione dei confini, fra l'Austria e la Republica di Venezia. Bisogna notare che detti confini fino dalla pace di Bologna. del 1535, non eran mai stati regolati, non solo, ma avevano lasciate indecise molte difficoltà che non si erano mai potute definire, perchè era necessario che qualche tratto di paese austriaco, diventasse Veneto, e viceversa. Il Tron raccomandava alla Repubblica, di non avanzar pretese troppo alte e vantaggiose, perchè l' Austria non ricercava alcun utile; che a Vienna si aveva poca fiducia degli italiani, perchè di più ingegno, e maggiore perspicacia, sospettando nei medesimi qualche inganno o raggiro. La Repubblica presentava un progetto redatto dal suo consultore Mastraca, alla Commissione Austriaca radunata a Vienna e presieduta dal Barone De Fin. Il Tron trattava col Conte Welfeld sui confini in Dalmazia, sui confini del Mantovano e del Milanese e sui servizii postali del Cadore e della Pusteria. Il progetto Mastraca dagli austriaci era trovato troppo favorevole alla Repubblica, e il Tron discuteva col generale Hash presidente di altra commissione, e colla

stessa Imperatrice Maria Teresa, ma trovava gli animi esacerbati, per le pretese della Repubblica, e procurava di togliere ogni controversia, per conservare alla Repubblica, scriveva il Tron, l'amicizia di quella potenza, che per tanti presenti e futuri motivi, si rendeva tanto necessaria.

Si ratificarono intanto i confini verso il Friuli, il Vicentino, il Tirolo, mentre si destinava ii conte Christiani governatore di Milano a regolare quelli del Milanese e Mantovano; fu firmato dal Cav. Donà un trattato aMeiden, e un altro dal Correr a Rovereto; altri trattati furono stipulati nel 1752 relativi all' Isonzo, Monfalcone e i monti Carsi, e i confini del Milanese e Mantovano. Un' ultima questione restava da regolare quella pel fiume Tartaro, fra l'illustrissimo Morosini successo al Correr, e il Conte Christiani governatore di Milano. Quest' ultimo fece una relazione avversa alla Repubblica Veneta, perchè il Morosini non era stato autorizzato a trattare, soggiungendo che così il Senato aveva trattato artifiziosamente per guadagnar tempo. Si metteva perciò in dubbio la buona fede del Senato, che aveva mandato a trattare un uomo privato, senza alcuna facoltà, per involgere la materia in lunghezza e per non venire ad alcuna conclusione; l'imperatrice e i ministri austriaci erano adiratissimi.

Il Senato avea sconfessato l'opera del Correr pel fiume Tartaro, e avea per verità, spedito il Morosini senza alcun mandato; non aveva approvato l' opera del Correr, perchè dicevasi che esso col suo trattato avea affogato il Polesine e il Padovano, e le trattative pel fiume Tartaro cominciate fino dal 1742, restavano per allora sospese, fino a che dieci anni dopo l'ambasciata del Tron, cioè nell' anno 1763 agli 11 febbraio, l' Andrea Tron stesso veniva eletto Commissario Plenipotenziario per trattare sul fiume Tartaro, mentre Commissario dell' Imperatrice Regina Maria Teresa fu destinato Don Polo de Ryda de la Sylva consultore presso il governo generale della Lombardia

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