Slike stranica
PDF
ePub

fa quello che tanti suoi fratelli della novella e del dramma fanno in simili casi, va pel mondo alla ricerca dei genitori. Destino vuole che si fermi alla corte di Tissaferne, vi diventi comandante delle milizie, e sposi, come abbiam visto, Aspasia. Zenobia d'altra parte, qualche anno dopo la fuga di Tanodisse, sentito che il marito è in lotta collo suocero, vuol cercar di salvarlo; lascia perciò anch'essa il palazzo ospitale di Vologese, e si reca in Armenia, dove, a tutti sconosciuta, diventa ancella di Aspasia, di cui lo sposo sta combattendo il suo.

Il primo atto si apre appunto con un dialogo tra Aspasia e Zenobia che si fa chiamar Idoride, dall'acqua in cui fu per perder la vita. La prima è felice, perchè il marito ha trionfato del rivale, anzi l' ha ucciso:

et cosi vada

Chiunque i congiunti occide, e 'l (1) padre sforza ! »

(2)

ė

Ma tanta esultanza, e cosi feroce imprecazione sono come fredde lame pungenti pel cuore di Idoride, la chiameremo così anche noi, che a stento sa trattener la piena del suo affanno; una parola però bisogna la dica di pietà per l'ucciso, di rimprovero ad Aspasia, e questa ne è scossa; pure si giustifica con un lungo discorso ch' io non starò a ripetere è la strage della sua famiglia compiuta da Radamisto, è uno sfogo contro il crudele che, non senza un fato divino, cade ora per le mani dello sposo di lei, figlia e sorella alle vittime. Poi, informato così il pubblico di parte dell' antefatto, di quella almeno che la riguarda, essa entra nel tempio, e lascia Idoride sola col Coro delle gentili donne antiche che l' hanno seguita,

[blocks in formation]

e cui ripete per filo e per segno tutta la sua storia (1). Non la riporto, perchè il lettore la conosce di già. Osservo soltanto come il carattere di Radamisto, anche in bocca. della donna amante, non sia sostanzialmente trasformato da quello che Tacito ci ha dipinto, anzi scolpito. Il buon Benivieni l'aveva trovato già foggiato, e perfettamente foggiato, e in tal maniera lo riproduce; anzi, dirò cosa che a tutta prima può sembrar strana, ma che non è perciò meno vera, Radamisto morto, in questo dramma spira una vita più viva di tutti gli altri vivi; e si capisce, appunto quando si pensi che questa non gliel' ha infusa il Benivieni, ma il suo primo creatore.

« O Radamisto mio

Troppo al imperio, al dover poco intento! » (2):

è la caratteristica di lui quale abbiamo riscontrato nel ritratto che ce ne dà lo storico latino; ma era valoroso anche, lo dice Tacito, e non può non ricordarlo la douna appassionata che gli ha perdonato tutti i torti, per non ricordare che i pochi istanti d'amore, e che acconciatasi a servire, pur di veder di salvarlo, lo sa invece ucciso dallo sposo di colei ch'ella serve. Al qual pensiero non può resistere : l'animo vuol vendetta. Invano il coro la prega di riflettere, di soprastare, chè Idoride

«Ma se dentro mi sprona il duol protervo?
Hor suso, rimembrando essere ancilla,

Entro nel Tempio dietro alle vestigie

Della mia Donna, et dicendolo arrosso ». (3)

(1) Era il solito mezzo convenzionale, per mettere al corrente

lo spettatore di ciò che aveva preparato l'azione e il nostro faceva nè più nè meno di quello che facevano gli altri.

(2) c. 11.b

(3) c. 14.a

Qui finisce il primo atto. Il Coro inneggia ai tempi ormai lontani in cui la gioventù paesana era data ad opere leggiadre di pace e di pubblica utilità, alla caccia nei giorni brumosi, alla pesca nei giorni di sole, e le spose accoglievano al ritorno i mariti carichi di preda . . . .

Ahi mutati costumi!

Hoggi recan (1) le spoglie
Delle civili schiere,

Et rosseggianne i fiumi;

Ahi torte, ahi crude voglie!

Il padre, il figlio, il servo, il signor (2) fiere! (3)

Nel secondo atto Aspasia è impensierita, perchè gli auspici non furono favorevoli: Idoride invece, di ciò lietissima, si lascia sfuggire una parola imprudente. Giunge intanto Tanodisse; accolto con grida e feste dal popolo di Armatica, brevemente racconta i suoi successi, come per sei mesi tenne assediato Radamisto in Artamissa, poi, venuto a singolar tenzone, lo uccise. Sennonchè :

« Miracolo fu grande, ben due volte
Sentii tremar la mano, et parea quasi
Che' (4) ferro rifuggisse lui ferire
Vidine i sola scolorare in Cielo

E scuoter parve sotto i piedi il suolo. . . » (5).

Idoride appena sa trattener le lagrime, il Coro impreca a Tissaferne che fu causa della morte del figlio solo

(1) Ms. rechian.

(2) Ms. Signore.

(3) c. 14.b

(4) Ms. Chel.

(5) c. 15.b

Aspasia gode della vittoria del marito, e quando questi le vuole affidare l'urna contenente le ceneri di Radamisto, perchè la deponga nel domestico tempio, essa rifiuta; ben l'accoglie Idoride, cui è dato anche nuovo incarico di cercar erbe per medicare il gran siniscalco ferito, e piange. Rimasta sola, parla all' urna parole pie

tosissime:

« O di huomo si fatto angusto homai ricetto,
O di dolce frutto secco stelo,

O bello, o chiaro, o famoso, o robusto,
O molte dote in si breve urna accolte!
Maladetto colui che a questa foggia
Mi fa tenerti si consunto in mano: (1)
Consorte mio fedele, dunque qua drento
Sei tu? anzi non sei fumo ombra et polve.
In si fatta maniera mi ti accosti?
Cosi mi è dato abbracciare il mio sposo ?
Anzi m'è tolto, lassa, il più sperarlo
Tanto e si grave è della morte il colpo,
Che il presente e il futuro in un recide,
Et del passato la memoria langue.
Deh perchè non ti vidi al punto estremo,
Non distendesti a me l'esangue mani
Dandomi alcuni amorevoli avisi,
Ultimi saggi, debiti ai più cari?

Non ho degl'occhi tuoi, quando spiravi,
Chiusi piatosamente le palpebre,

Nè furon quelle tue profonde piaghe
Dalle mia calde lagrime rigate,

Di pretiosi odori il corpo sparso

(2)

e pensa pure al figlio, e poi di nuovo al marito, e poi anche a sè:

(1) Questi due versi sono aggiunti di mano dell'autore. (2) cc. 17. 17.b

[blocks in formation]

Se duol dei nostri casi l'ombre assale.

Chi 'l (1) creda? et io tornar ombra desio... » (2).

Partita Idoride, vien sulla scena Tanodisse. Prima riflette al contegno di Aspasia che vorrebbe più pietosa; poi ripensa il suo passato, e quasi senza accorgersi, e come spinto da qualcosa che è più forte di lui, si ferma su tutto ciò che esso ebbe di doloroso, nè può sottrarsi al presentimento di nuovi dolori vicini e più gravi. Così si chiude l'atto, e anche il Coro teme.

Nel terzo atto cominciano, secondo la nota teorica del Giraldi, (3) a prepararsi gli impedimenti. Parlano fra di loro Ostane, gran consigliere, e Artagese, suo amico; dei quali il primo non può perdonare a Tanodisse l'uccisione di Radamisto. Sopravviene Idoride. Profondamente turbata nel vedere Ostane, già affezionatissimo allo sposo suo, gli dice d'affrettarsi, chè la festa offerta da Tanodisse al legato romano è cominciata; ma quando ei le risponde che non ci va, con animo femminile presentendo il terreno adatto, quasi non fosse fatto suo, gli insinua come Aspasia e lo sposo congiurino a danno del Re, e l'abbiano incaricata di cercar erbe micidiali; poi, visto che le sue parole hanno fatto effetto, lo lascia. Naturalmente Ostane non si lascia sfuggir l'occasione di rovinar Tanodisse: chiama Ctesia, medico di corte, e gli ordina di attendere il ritorno di Idoride, per esaminare le erbe che ella reca. Queste son trovate, manco a dirlo, terribilmente velenose; si che Ctesia esclama: « Tiestea cena, ohimė tristi vivande !». Rimasta sola col Coro che la rimprovera, Idoride si sfoga: il desiderio di vendetta

(1) Ms.: chil.

(2) c. 18.a

(3) cfr. Fr. Flamini. Il Cinquecento (in Storia Letter. d'Italia ecc., Milano, Vallardi) p. 254 sgg.

« PrethodnaNastavi »